Il 6 settembre ha inaugurato a Bologna, nello spazio Elio Talon Art Studio, la collettiva “Dato, Varco, Complemento”, per iniziativa di Kammerdizioni. Piccola casa editrice che pubblica poesia, estetica e altre cose poco di moda. Fabio Polvani e Rossella Moratto ne sono i curatori. Polvani è artista e poeta, con alle spalle una lunga storia di “difesa militante”degli artisti verso il mercato, Moratto è curatrice e scrive per Flash Art. Gli artisti presentati (Ablatic, Vittoria Chierici, Paolo Fabiani, Horatio Goni, Maurizio Martuscello, Samuele Menin, Fabio Quinto Polvani, Gragory Rukavina ed Elio Talon) si allineano ai leit motiv della casa editrice, ponendo le opere come base per una speculazione filosofica, per dissenso. Gli abbiamo posto alcune domande sulla mostra e sul ruolo degli artisti contemporanei. Senza tralasciare una certa idea dell’estetica come volano per una produzione artistica non tipizzata, in una forbice allargata tra HNWI (acronimo di High Net Worth Individual, locuzione con cui si indicano persone ad alto reddito) e intellettuali.
Ci parlate di questo progetto, degli artisti coinvolti e delle opere presentate?
«Il progetto si pone in una sorta di ideale e inaspettata continuità con momenti della storia dell’arte in cui sono avvenuti sostanziali cambiamenti formali e di linguaggio. Questo si ritiene sia un momento critico, di crisi importante, per l’arte e più in generale per la cultura. Un momento di estrema transizione, ma anche di latitanza qualitativa, di confusione e ripetitività di canoni estetici derivati da un uso volgarizzato, parziale e merceologico delle avanguardie. Gli artisti e le opere sono state scelte in base a un interesse per il confronto e l’emozione verso alcuni procedimenti estetici: tecniche e criteri innati all’arte, che non rispondono però a strategie promozionali o generazionali ormai tipizzate anche nel mondo dell’arte. Questo vale anche per il progetto editoriale di Kammedizioni a cui l’esposizione in qualche modo fa riferimento».
In che modo pensate che il mutato scenario cross mediale influenzi gli artisti e quali sono i rischi e le opportunità connesse a questa epoca in cui velocizzazione, virtualizzazione e iperpresenza fanno da padroni?
«Può essere un’opportunità, come pure una maggiore diluizione, banalizzazione dell’arte. In questo scenario è più difficile individuare le emergenze, le novità importanti e di linguaggio, soprattutto nei giovani artisti che difficilmente riescono ad astrarsi da un contesto generale troppo omogeneo, se non omologato a criteri di comunicazione e di successo immediato che non rispondono ad istanze culturali e sociali complesse come quella della nostra contemporaneità».
Quando parlate di differenza sensibile, la intendete come différence (Gilles Deleuze) o è solo un modo per porsi lateralmente al mare magnum del nostro contemporaneo?
«In parte si, perché nella différence (Deleuze e Derrida) c’è e si gioca lo scarto originario e irriducibile fra l’essere e il linguaggio, e quindi anche le forme: fra nuovo segno e tradizione nei suoi innumerevoli significati, riproposizioni e possibili novità.
Inoltre per differenza sensibile si intende un percorso di autonomia e libertà culturale, di sommersa eppure trasparente individualità, minima ma consapevole e rintracciabile nell’oceano delle culture e della storia. Differenza vissuta in vario modo, a seconda degli artisti e delle opere, ma che ha a che fare soprattutto e più semplicemente con l’emozione esistenziale per l’arte, le sue scoperte e le sue tecniche. Sembra ovvio dirlo ma anche in questo si ‘gioca’ l’identità di un artista o presunto tale, nel tempo, nel contesto e nella storia».
Quali pensate siano le caratteristiche intellettuali che un artista deve possedere perché il suo operare sia efficace?
«Dipende da cosa si intende per efficace. L’arte oggi può essere, ed è efficacemente, molte cose insieme. Un Prodotto di lusso paragonabile ad un marchio o Brand. Un trofeo da esibire tra HNWI (multimiliardari). Oppure cosa più rara, un rilancio estetico ed intellettuale di intuizione e sensibilità, cose che non hanno necessariamente bisogno di un curricolo intellettuale considerevole o regolare».
Quali sono i limiti dell’arte contemporanea oggi?
«Quelli di un contesto o ‘sistema’ troppo influenzato dalla finanza e dall’economia, perfino dal turismo, programmato e studiato a tavolino da curatori che hanno rinunciato alla ricerca culturale a vantaggio di legami più immediati e consistenti, senza un interesse specifico verso la natura più stratificata e difficile ma promettente dell’arte».
Quale antidoto resta all’arte per rendersi scevra da sistemi di produzione/promozione che ingabbiano e fanno di opere stereotipi?
«Abbandonare le sovrastrutture attuali, spesso affogate nello sfruttamento di strategie comunicative. Ritornare ad esempio, al confronto con la storia e a concetti oggi difficilissimi – se non banditi o resi di cattivo gusto nel kitsch – come l’espressione dell’idea di bellezza. Ritornare alle emozioni formali ed intellettuali, mantenendo ben presente che l’arte quando riesce ad avere un fondamento ed inaugurare un linguaggio proprio, supera una critica sociale o politica di denuncia, poiché – nel bene e nel male – enfatizza comunque il linguaggio e il contesto da cui proviene oppure che genera».
Quali sono le giuste basi da cui iniziare quella che definite una “sfida estetica singolare e asistematica”?
«Il dialogo quotidiano di un’estesa consapevolezza estetica, con il proprio contesto culturale, con la storia eppure ritrovarsi senza più riferimenti, il più possibile originario, vivere di semplice affetto ed emozione verso l’arte e il suo perenne fare».