Categorie: parola d'artista

SENTI CHI PARLA

di - 19 Ottobre 2015
Ho conosciuto recentemente un sud che immaginavo, ma che non avevo mai né visto né attraversato. Prima di recarmi a Cosenza per la residenza BoCS , avevo tracciato un viaggio ideale in un territorio raccontatomi da Pavese, Levi, De Martino e da un accanito esploratore stanziale della sua terra, Francesco Bevilacqua, avvocato, escursionista speciale e scrittore in grado di accompagnarti nei luoghi che attraversa.
L’origine è sempre presente sotto gli strati che l’uomo disegna sotto e intorno a sé, e quell’origine è spesso il luogo che conserva le risposte date dal tempo.
Credo che in alcuni momenti e ad alcune generazioni, spetti il compito di alleggerire la terra dagli eccessi stratificatisi nel tempo. È un processo proprio della natura, che permette di riassemblare  nuove ipotesi resistenti e recettive.
Notizia recente è che, nel 2014, per la prima volta da lungo tempo, il mondo ha rallentato la sua crescita. Quanto può crescere un’idea, un oggetto, un popolo all’interno di un contenitore fisso? E quanto questo contenitore può essere modificato per accogliere tale crescita?
Osservando il prezioso centro storico di Cosenza, tali riflessioni assumono le forme di palazzi centenari, che nel tempo si sono visti sovraccaricare di piani imprevisti, fino al collasso, all’incapacità fisica di sorreggere queste stratificazioni incontrollate.

Quei palazzi pericolanti o crollati, diventano così tracce di esistenza, che verranno definitivamente rimosse. Avrebbero potuto continuare ad esistere senza l’eccessivo volume che li ha condannati. Tali immagini mi hanno metaforicamente mostrato un Occidente, e un mondo, carico e pericolante, sul punto di crollare.
Calpestare la terra su cui ci muoviamo non è la stessa cosa di camminarci sopra. Conoscere corporalmente un luogo, che sia una città, un monte o un pianeta, permette di sviluppare, di quel luogo, una percezione anche mentale, assorbirne l’atmosfera, cosa che poi cerco di restituire attraverso la pittura, mio medium prediletto.
Un rinnovamento ragionato e sostenibile è fondamentale, più di un’ormai obsoleta e ingannevole idea di crescita. Un luogo periodicamente rigenerato lascerà la possibilità ad altri di immaginare nuove visioni ed ipotesi d’esistenza.
Salendo montagne ad un certo punto la terra finisce e si incontra il cielo, e o si vola o si torna indietro, anche se a ben vedere anche il cielo è un luogo in cui vivere: gli uccelli ci vivono e lo attraversano utilizzando l’aria come sostegno e ponte, e anche gli uomini in fondo ci passano del tempo.
Gli animali si muovono liberamente, migrano alla ricerca di condizioni ideali.
Agli uomini questo non è concesso, o per lo meno non a tutti. Una parte di essi ha deciso di crescere a dismisura a scapito di altri, considerando il tutto funzionale esclusivamente ai loro obiettivi. Così, una fetta di mondo, uomini e animali inclusi, è diventata strumento atto a garantire tale crescita, mezzo ed area di approvvigionamento.

Questo non ha fatto altro che aggiungere, al sovraccarico fisico strutturale del pianeta, un grave senso di instabilità geopolitica, oggi accentuata dalla possibilità di accedere alle informazioni via web, sviluppando consapevolezza della propria condizione. Per trovare nuovi equilibri bisogna esercitarsi, cominciando a considerare una ragionevole idea di inclusività sostenibile, da contrapporre all’ormai insostenibile tendenza all’esclusività, propria di sistemi non comunicanti tra loro.
Tali tematiche contraddistinguono da sempre la cultura dei Nativi americani.
Da circa un anno, la collaborazione con i Lenape , gli originari abitanti di New York, mi ha introdotto a temi quali la coesistenza e il vivere senza lasciare tracce. Non mi attrae, di tale indagine, lo spiccio aspetto spirituale e vagamente new age, ma l’analisi antropologica e le stratificazioni che questa ha prodotto in un dato territorio, e sicuramente il buon senso di tutto ciò. L’idea che una città come New York, esempio di sperimentazione antropologica per eccellenza, conosca poco o niente dei suoi abitanti originari, è segno di quanto la memoria, o certe memorie, non siano prese in debita considerazione e costringano minoranze indigene a  motivare la propria esistenza ad istituzioni insensibili. Il non lasciare tracce prepotentemente presenti, tipico di questa etnia, non è appetibile per la storia, abituata a narrare solo potenza e potere. La delicatezza, il rispetto e la coesistenza, proprio per il loro contenuto di sostenibilità, diventano oggi concetti di urgente contemporaneità.

Il passaggio a Roma di un rappresentante della comunità Ramapough Lenape con cui collaboro attivamente, mi ha fatto pensare ad un luogo che a Roma è divenuto un piccolo esempio di coesistenza multietnica, una piccola New York all’interno dello spazio di un ex fabbrica, un quartiere nel quartiere e appunto, un esperimento antropologico ongoing.  Questo luogo, il MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove, contenitore d’arte oltre che di umanità, rappresenta un ponte ideale in grado di connettere disagi e visioni, un modello sociale di riferimento. Ho quindi pensato che far conoscere una parte della storia di New York, diversa da quella che conosciamo e forse a molti sconosciuta, serva a ricordare che NYC, e il mondo, sono stati e sono ancora, terre indigene.
Un potere che si rende ancor più evidente quando l’arte non è solo autonarrazione, ma diventa strumento di comunicazione al servizio delle collettività di riferimento, se si sceglie di coinvolgerle. È importante che tali comunità, anziché esotico bacino di approvvigionamento per indignazioni da aperitivo, da salotto, da facebook, da biennali e musei socialmente corretti, diventino protagoniste e voce critica attiva. E il prossimo appuntamento con i Lenape sarà il workshop e il murale cominciato presso il Ramapough community center di Mhawah in New Jersey, altra tappa del progetto Before me and after my time.

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