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04
marzo 2015
SENTI CHI PARLA
parola d'artista
di Michele Mariano
È uscito da poco il social book Il viaggio di Carletto. Frutto dell’impresa di Michele Mariano e Simona Bramati
È uscito da poco il social book Il viaggio di Carletto. Frutto dell’impresa di Michele Mariano e Simona Bramati
“Vivere è cercare di fare di se qualcosa che ci somigli”.
Un’impresa di “Disertori in Avanti” nel “fuori campo” della realtà
Nel cuore il Don Chisciotte, negli occhi la Spedizione Dei Mille, nella mente l’Impresa di Fiume e nella consapevolezza L’armata Brancaleone, il 15 luglio 2013, la Processione di Carletto è partita da Faifoli (Fagifulaee) Abazia nei pressi di Montagano (CB) in Molise.
Come una “Via Crucis”, i due artisti Michele Mariano e Simona Bramati, con mezzi semplici, essenziali, senza artifici come il camminare a piedi, con l’aiuto delle due asine Carletto e Agalma, simbolo di sacrificio e resistenza, con il cane Giulio, simbolo di fedeltà, hanno attraversato l’Italia giungendo a Polcenigo (PD) in Friuli Venezia Giulia il 13 settembre 2013.
Un’azione artistica, in modalità low-profile, per smascherare il complotto che ci fa credere il pianeta solo una splendida scenografia che si mostra al nostro passaggio.
L’epicità della Processione di Carletto è nel messaggio di cui ci siamo fatti portatori e, soprattutto, nel “sacrificio”, cioè il rendersi “sacro”, attraverso un’offerta perpetua di sé agli altri, al pericolo, al rischio e alle difficoltà, consapevoli della chiamata evolutiva.
Come gli eroi delle epiche imprese o come degli eroi di un romanzo, da artisti ci siamo fatti Asini e portatori di “pesi”; il “peso” del pensiero umanistico e il “peso” dei valori dissolti.
Sanza armatura, sanza calzari, sanza denari… mettersi in movimento, rivedere e ripensare totalmente se stessi. La “crisi” è divenuta uno stato permanente, funzionale a quell’idea di mondo che ci vuole oggetti e non soggetti. Da “casi difficili” siamo divenuti cose fragili. Dalla rimozione sistematica dell’incertezza, della casualità e del rischio, strumenti per la cura e la conservazione delle cose fragili, siamo costretti a vivere, in uno stato di perenne inquietudine e di tormento. Schiavi di un equilibrio innaturale, ci hanno resi vulnerabili persino al primo lieve venticello di Aprile e ricattabili in qualsiasi atto di azione quotidiana o creativa.
Sanza paura, sanza la brocca, sanza la mappa… bisogna riprendersi l’imprevisto, il pericolo, l’ignoto e ritornare a essere casi difficili, diversamente difficili. In questa riappropriazione risiede la capacità, tutta umana, di chiudere una fase della propria storia e di prepararne una nuova. 1400 km e due mesi di cammino per un viaggio nel “fuori campo”, in quelle cose del mondo che non rientrano nella cornice dell’inquadratura ma che a essa sono simultanee. Un fuori campo fatto di vite vissute, azioni, idee/progetti e racconti, ma anche di paesaggi, di immondizia, di degrado e di arte inconsapevole. Cose invisibili che aspettano di essere narrate e altre che, pur concedendosi all’essere vissute, per propria natura resteranno invisibili, offrendosi solo per una trasmissione orale.
Chilometro dopo chilometro, incontro dopo incontro, inoltrandosi in questo fuori campo si sono trasformate, gradualmente, anche le connotazioni del nostro ruolo di “artisti” acquisendo uno spessore molto più complesso. La stessa Processione è diventata ben presto molto più che una performance (autoreferenziale) assumendo sempre più il carattere di una vera e autentica operazione culturale, un rito collettivo che alla fine ha coinvolto più di 600mila persone.
Non vi è nulla di originale, in senso estetico, nella nostra impresa eppure è stato solo cambiare il punto di vista che è riaffiorato il desiderio di riprendere e condividere insieme con gli altri il filo degli avvenimenti. L’arte museale non è più capace di farsi portavoce di istanze, pensieri, proposizioni, sogni, futuro, speranze. Adesso non ne è capace. Vi è l’impossibilità degli artisti a essere intellettuali, nel senso che hanno come fine unico la produzione stessa dell’arte. Quando invece il fine sarebbe quello di gettare un occhio sul mondo in cui si vive, in modo profondo, obliquo, sensato e capace di contagiare gli altri.
L’arte degli ultimi venti anni, cosa è stata in grado di raccontare?
Vittima del suo nichilismo, Il micro ambiente artistico ha promosso e realizzato il dissolvimento di ogni valore, compreso quello dell’artista il cui scopo principale è “errare”, sia nel senso di libero movimento che di errore, condizione naturale dell’essere umano che non può scoprire nulla di nuovo, non può sorprendere e sorprendersi senza rischiare di perdersi e di sbagliare. Ridare pensiero alle forme e non più dare forme ai pensieri.
Sanza paura… vanno ripensati i musei e le istituzioni. La “stazione” n°56 della Processione, a Venezia, è stata pensata come necessità di un superamento fisico e concettuale della Biennale. Una civiltà o comunità è morta se non costruisce nuove tradizioni o, peggio ancora, se non ha il coraggio di finirne una. La fine è in tutte le cose, è naturale! Deve cadere il sipario, perché alla lunga tutto diverrebbe una farsa; e se gli attori non se ne stancano perché divenuti pazzi, se ne stanca lo spettatore, che a un atto o all’altro finisce per averne abbastanza se ha ragione di presumere che l’opera, non giungendo mai alla fine, sia eternamente la stessa. Un contadino incontrato sui monti Molisani ci dice: «Cambiano i musicanti ma la musica è sempre la stessa». Quanta consapevolezza è custodita tra i monti!
Michele Mariano
Il libro della Processione di Carletto può essere richiesto al seguente link
http://laprocessionedicarletto.blogspot.it/p/you-in-procession.html
www.laprocessionedicarletto.eu
www.simonabramati.it
www.michelemariano.eu
le foto sono tratte dalla pagina Facebook de La Processione di Carletto