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11
ottobre 2014
Senti chi parla / Maria Grazia Carriero, Paolo Carta e Angela Colonna
parola d'artista
Ecco il racconto dei tre protagonisti di Open doors to art. Residenza d’artisti che si svolge in parte nelle case di Palagiano, in provincia di Taranto
Paolo Carta: Una residenza offre sempre la possibilità di potersi concentrare più o meno totalmente alla propria ricerca senza grossi intoppi. Inoltre, essendo Palagiano una cittadina praticamente vergine nelle arti visive contemporanee, permette all’artista una libertà e una capacità d’azione più intense, che al contrario risultano più complesse in luoghi più caratterizzanti e battuti. Credo che il segreto di una residenza stia nell’abbandonarsi ai luoghi e agli eventi tutti senza precludere cambiamenti di percorso immediati, curve a gomito che possono sia destabilizzarci ma al tempo stesso darci una carica di adrenalina che tiene focalizzati sulla ricerca e su tutto il progetto.
Aspettarsi di trovare un surrogato del ferramenta o piuttosto che del falegname sotto casa o lo stesso benvenuto amorevole da ogni abitante del luogo, non solo è difficile ma utopico. Prescindere la sedentarietà del comune pensiero di ricerca in studio è stata per me basilare, fondamentale per la buona riuscita del mio lavoro. Senza ombra di dubbio è necessaria una enorme dose di concentrazione mista a pragmatismo soprattutto in prossimità delle scadenze, ciò nonostante una residenza in quanto tale va vissuta a pieno, come una doccia fredda che ti ammutolisce e un gavettone che risveglia il divertimento, la curiosità.
Angela Colonna: Per me, invece, è stata una vera sfida, trattandosi di un progetto partecipativo, di scambio reciproco tra me e gli abitanti del paese, della necessità di costruire una un ponte tra di noi. I fatt, l’intervento che ho realizzato, è un’opera corale, concepita con la partecipazione gli abitanti di Palagiano e radicata nel suo territorio. È una raccolta sonora di interviste e testimonianze di vita vissuta dagli anziani del luogo: fatti intimi e personali, ricordi delle attività economiche e produttive di quando erano bambini e di come sono cambiate, dei vecchi oggetti dei loro padri, che ricordando le parole di R. M. Rilke: «Qualcosa di infinitamente di più che per noi, di infinitamente più intimo, quasi ogni cosa un recipiente in cui trovare e conservare l’umano». Storie preghiere e canti raccontati loro dai nonni e tramandati oralmente. Il progetto pensato sin dall’inizio “aperto” e collettivo è andato definendosi di giorno in giorno durante le tre settimane della residenza, così come l’installazione, che ha preso forma ed è nata “facendola” – pur seguendo le linee guida che mi ero prefissata – con il contributo di quello che gli abitanti mi hanno donato o fatto fotografare per realizzarla. Abbiamo dovuto superare le iniziali reciproche diffidenze: gli sguardi addosso – in un paese piccolo si è subito riconosciuti come “frustjere”, forestieri – sono stati indagatori, curiosi, talvolta di chiusura e quasi paura, per farsi via via più benevoli; le case aperte e generose, i racconti prima timidi e incerti poi più minuziosi e ricchi di sfumature date anche e soprattutto dalle espressioni dialettali. La residenza è stata una impegnativa e felice occasione di crescita nel mio percorso di ricerca, le giornate trascorse per strada a conquistarsi la fiducia delle persone, a prestare attenzione all’ascolto, allo scambio per far nascere questo racconto collettivo. Un approccio altro, rispetto al mio solitario modus operandi, che mi ha regalato nuovi stimoli ed energie.
Maria Grazia Carriero: Attraverso questa esperienza diretta sul territorio, a stretto contatto con i cittadini, ho voluto delineare un profilo, seppur immaginifico, di un’antica superstizione detta “Jurje” o “munaciedd”, molto popolare ed ancora non totalmente estinta, al fine di elaborare una video-installazione in cui le radici sotterranee dai tratti mutevoli fanno da padrona. Durante le videointerviste, l’argomento lasciava per qualche secondo interdetti, è quasi un tabù parlarne, soprattutto per coloro ai quali la “malasorte” ha fatto visita.
Ho dovuto utilizzare non poca sfacciataggine per convincerli a farsi filmare senza aspettare il momento giusto, senza che si fossero preparati, messi in tiro con trucco, parrucco e abbigliamento. Entrare nelle loro case mentre cucinano, interrompere una partita a briscola per strada e approfittare del bel tempo per avere l’opportunità di incontrare più gente possibile davanti all’uscio delle loro abitazioni, perché è così che spesso gli anziani trascorrono le loro giornate al sud. Per le strade del paese, non è insolito trovare davanti le case, una sedia con della frutta o verdura appoggiata in esposizione, come segnaletica per la vendita privata, in tal caso, con la scusa di acquistare qualcosa, gli facevo delle domande, con la speranza che accettassero di farsi video intervistare e che alla fine mi firmassero la liberatoria per la privacy, con il dubbio, spesso espresso, che non fosse una cambiale.
Mi rammarica non esser riuscita a intervistare alcune persone che mi avevano consigliato dicendomi: “loro sanno”. Sono riuscita a incontrarli, ma non si sono prestati, in questo caso non ho voluto insistere, soprattutto quando mi hanno detto che a tal proposito si erano confessati (gli avevano già riferito del mio lavoro, e dell’intenzione di intervistarli, le voci circolano velocemente).
La residenza a Palagiano è a cura di Manuela Goffredo, Maria Rosaria Goffredo e Lorenzo Madaro
Info: www.associazionestartart.it