Categorie: parola d'artista

Sicilia: Isola di Passaggio

di - 18 Maggio 2011
Neither here nor there. Il titolo della tua personale, sembra evocare più  un senso di disorientamento che di speranza. Quanto questo trae ispirazione dagli ultimi accadimenti di cronaca circa i numerosi flussi migratori verso la Sicilia?
Il titolo è stato scelto in collaborazione con il critico Alfredo Cramerotti e si riferisce all’attuale situazione degli immigrati. Essi si trovano di continuo in terre di passaggio e sono privati di un reale luogo di origine. Il titolo fa anche riferimento alla collocazione geografica della Sicilia: isola come “luogo di mezzo”, distaccata dal resto dell’Italia e spesso mancante di una guida politico-amministrativa.

La  mostra raccoglie opere aventi diversi linguaggi visivi e tutti con lo stesso fine di delineare le odierne condizioni sociali dell’Isola. Come mai la scelta di rivolgerti a tematiche  così forti e attuali?

Nei miei lavori precedenti ho sempre parlato della mia storia personale e, alcune situazioni della mia vita privata, si tramutavano in arte attraverso delle vere e proprie esplosioni. Adesso le cose sono leggermente cambiate: pur non essendo mai rimasta estranea a tematiche socio-politiche, ora preferisco esaminarle da un punto di vista interno, privilegiato e bisognoso di superare confini mentali.

Il tuo percorso artistico è cambiato nel corso degli anni: dall’”esplosione” sei giunta a testimoniare l’”implosione” di fenomeni sociali.   Quanto questi, secondo te, possono gravare sull’identità culturale di un territorio?

Questa mostra ha due comuni denominatori: la Sicilia e la Violenza. Nei secoli scorsi la Sicilia ha subito violenze e invasioni da parte di diversi popoli, come i Normanni e i Turchi. Oggi viene raggiunta da flussi migratori più innocui provenienti perlopiù dal Nord Africa e dai quali subisce continue  devastazioni. Ciò che ne è conseguito rappresenta le bellezza di questa Terra: forti differenze e numerosi contrasti da provincia a provincia, nelle architetture, nella fisionomia degli abitanti, nella cucina e nella cultura.

L’installazione Floor#3 nè in cielo nè in terra appare eloquente e risolutiva. Da una parte il perimetro dell’Isola assume le fattezze di luminaria; dall’altra, lo stesso perimetro, è ora riempito da masse di cemento bianco coperto da stracci neri. In quali parole riassumeresti l’attuale  identità “isolana”?

Floor#3 fa parte di una serie di lavori in cui costruisco dei pavimenti in cemento ed indumenti. L’utilizzo del cemento nasce da una considerazione circa l’uso incontrollato che si fa del cemento nel territorio siciliano e da un’incessante speculazione edilizia “isolana”. Il tutto si conclude ad una riflessione che mira ad indagare  i molteplici accordi  tra le mafie locali e politiche regionali. Le mattonelle di cui è composta l’opera, sono rivestite da abiti neri femminili che  simboleggiano lutto e rassegnazione.

È difficile non far caso all’uso massiccio di stracci che fai: essi sono presenti in tutte le opere in mostra. Cosa ti ha spinto ad utilizzare proprio questo elemento?

Non sono d’accordo con il detto “l’abito non fa il monaco”; penso invece che “l’abito”  rappresenti sempre qualcosa, una classe di appartenenza o uno status. Nei miei lavori gli abiti rappresentano metaforicamente le persone che potrebbero occuparli e, nel caso di The Block, ho utilizzato abiti appartenenti ad extracomunitari. In Floor#3 nè in cielo nè in terra  gli abiti neri femminili vengono mischiati con il cemento richiamando una pratica risalente agli anni ’70, quando era solito per la malavita gettare i corpi dei propri nemici dentro la calce.

Il video The Block ha un forte valore simbolico. E’ come se in esso si perpetuassero le azioni degli ultimi sbarchi sulle coste siciliane. Cosa ha comportato la sua realizzazione e che valore ha avuto per te l’avvicinarti a certe tematiche?

Le comparse scelte per il video provengono da diversi luoghi: due di loro sono realmente profughi di guerra mentre altri vivono  in una comunità in provincia di Ragusa. Parlando con loro, mi sono sempre più  appassionata alle storie che avevano da raccontare ma, nonostante ciò,  il mio approccio non ha mai rischiato di essere documentativo. Il mio proposito era invece quello di ricreare una situazione paradossale ma del tutto possibile e attraverso la quale fosse possibile elaborare un’immagine in grado di raccogliere la loro storia, il loro viaggio, l’arrivo e la fuga.

L’uso dell’Arte  per raccontare fatti di cronaca è una pratica molto esercitata nella contemporaneità, tanto da esser divenuta inflazionata. Credi abbia ancora un valore l’utilizzo della Denuncia nella pratica artistica o pensi che il suo largo uso possa aver destabilizzato il suo fine?

Pur non essendo il mio un lavoro di denuncia, non penso proprio sia possibile risolvere determinate situazioni attraverso l’ausilio dell’arte. Oramai tutto diventa fenomeno mediatico in pochissimo tempo che trovo superfluo aggiungere un mio eventuale contributo. Io miro a creare delle scenografie, delle visioni ma anche delle sensazioni. Camminando sulle mattonelle di cemento, e calpestando gli abiti sopra posti, si può persino credere di stare facendo un torto proprio alla luce dell’alto valore simbolico che posseggono. Quando ci si appresta a guardare il video “The Block”, ne emerge un’immagine rassicurante, dove il cielo è azzurro, il mare è sereno e dei ragazzi sono distesi sulla rete di abiti posti su un cubo di cemento. Due di essi riescono a spogliarsi di questi abiti e fuggire, altri due restano immobili. Secondo me non c’è altro da aggiungere a questo scorcio, mi sembra già  che in questa immagine ci sia tutto. Nessuna retorica, nessuna denuncia.

La Denuncia differisce dalla semplice testimonianza di fatti di cronaca proprio per il suo carattere militante. Nella contemporaneità si assiste ad una riduzione del concetto di militanza, sia artistica che critica, rispetto a qualche decennio fa. Fenomeno generazionale o reale appiattimento di ideali?

Assistiamo giornalmente ad un “sollevamento di massa”, mi spiego meglio: intere nazioni in Nord Africa si sono ribellate contro i loro regimi dittatoriali e sono state guidate da una forte motivazione. Nei paesi occidentali assistiamo invece alla mancanza di questo importante fattore senza il quale è impensabile una simile azione o rivoluzione. Le ragioni sono molteplici ma in primis vi è l’uomo moderno occidentale, estremamente viziato e incapace di rinunciare alle proprie comodità e, come tutti ben sappiamo, la militanza richiede molto impegno.  Non è scrivendo una frase su Facebook, o su altri social network, che un essere umano  può definirsi impegnato socialmente o politicamente.

a cura di  martina colajanni

dal 30 aprile al 3 luglio 2011

Loredana Longo – Neither here nor there

Galleria Francesco Pantaleone

TEMPORARY MUSEUM presso Chiesa di San Mattia ai Crociferi Via Torremuzza 20 – Palermo

dal martedì al sabato dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 19:00

info@fpac.it

http://www.fpac.it/

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