Giovanni Giaretta è compatto e determinato. Lo
sguardo mobile, i gesti misurati, mi accoglie nello studio al secondo
piano del Macro di Roma, un grande stanzone rettangolare senza porta,
ancora allestito per gli Open Studios che si sono svolti all’inizio di
ottobre e con cui ha preso il via il secondo ciclo di residenze ospitate
nel museo romano. Due panchine disposte a semicerchio davanti ad una
parete dove proietta Le sport et les hommes,
il video che ha scelto per la residenza, un documentario sullo sport
realizzato dal regista francese Hubert Aquin, con un commento sonoro di
Roland Barthes, in seguito pubblicato da Einaudi. «Vinse un premio al
festival di Cortina nel 1962, ma poi venne dimenticato da tutti. Per
decenni scomparve: una volta arrivato al Macro, ho cercato di
recuperarne almeno una copia, ma a Cortina ne avevano perso le tracce».
Ma Giaretta non si perde d’animo, e dopo lunghe ricerche lo trova in
una cineteca in Canada, e acquista i diritti per proiettarlo in
pubblico. «È stata una piccola vittoria personale, resa possibile
dall’autorità del museo: da solo non sarei riuscito ad acquistarlo»,
dice sorridendo mentre mi porge il dvd. Accende il portatile e mi mostra
il suo portfolio: pochi lavori, ma tutti significativi. «Vengo da
Padova, mi sono laureato a Milano in didattica dell’arte. Ho deciso di
diventare artista mentre frequentavo l’Isola Art Center, uno spazio
collettivo per mostre di giovani artisti. Avevo vent’anni: lì ho
conosciuto Matteo Rubbi, Santo Tolone e Alec O. Nel frattempo seguivo i
corsi di antropologia all’Hangar Bicocca, tenuti da Ugo Fabietti».
Mentre parla, scorrono le immagini del portfolio. «Questa è Luna,
un lavoro che ho fatto nel 2009 mentre ero in residenza alla Fondazione
Bevilacqua La Masa di Venezia: è uno specchio da barba incrostato di
sale illuminato da un faretto, che proietta l’immagine della luna».
Dopo la Bevilacqua, nel 2010 arriva un’altra residenza, la Dena
Foundation di Parigi. «Un’esperienza entusiasmante sotto tutti i punti
di vista». E nasce un altro lavoro: The House,
composto da una serie di immagini di case dalle architetture
particolari, con molti tratti simili. «Forse ne riconosci qualcuna: sono
tratte da pellicole horror, di cui sono appassionato. Ne ho 140 e le ho
collezionate in anni ed anni di visioni e ora sono diventate un’opera,
introdotta da una citazione tratta dal romanzo L’incubo di Hill House, scritto da Shirley Jackson nel 1959, un cult per gli appassionati di cinema dell’orrore».
Inizia lo slide show che mette insieme Dario Argento e Lovecraft e che
si ispira però alle catalogazioni fotografiche concettuali dei parcheggi
di Ed Ruscha. «L’interesse per il cinema è dominante nella mia
ricerca», aggiunge Giaretta, abituale visitatore del museo del Precinema
a Padova. Ma è in un altro e anomalo museo che ha trovato l’ispirazione
per Senza Titolo, un video
intenso e poetico dedicato al rapporto tra l’uomo e gli insetti. «A
Montegrotto Terme, nella parte più triste del Veneto industriale, esiste
la Casa della Farfalla, un luogo dedicato allo studio delle farfalle,
gestito dall’entomologo Enzo Moretto». Sono sue le mani che accarezzano
le fragili ali di farfalle colorate che si lasciano toccare senza
timore, appoggiate alle dita di Moretto. Immagini poetiche e delicate,
che trasmettono un senso di armonia e di fiducia, la stessa che arriva
da Giaretta quando parla con un tono disteso, dando il giusto peso alle
parole, senza però nascondere la determinazione che, per esempio, in
pochi anni l’ha portato a questa esperienza di Roma. «Sono curioso e
testardo: quando mi incaponisco per arrivare ad un risultato, faccio di
tutto per raggiungerlo». Il prossimo progetto? «Voglio realizzare una
sorta di cineforum al Macro, per proiettare film poco noti ma
interessanti, per dare al museo una valenza nuova e diversa». Gli chiedo
se ha una galleria: «Ancora no. Mi sto guardando intorno, ma è
difficile scegliere. Mi prendo ancora un po’ di tempo, non ho fretta».
Sorride e mi saluta con una stretta di mano significativa. Tornerò a
trovarlo.
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