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talent hunter Daniele Marzorati
parola d'artista
Classe 1988, sta terminando il triennio alla Naba di Milano e di recente ha preso parte a un workshop alla XIV Biennale Internazionale di Scultura a Carrara, tenuto dall'artista polacco Grzegorz Kowalski. Leggerezza e pesantezza, interno ed esterno, sono questi gli elementi su cui ruota la sua ricerca artistica...
Sto per
finire La somiglianza per contatto di
Georges Didi-Huberman, prima La piega.
Leibniz e il barocco di Gilles Deleuze, e una breve storia di José Saramago,
Il racconto dell’isola sconosciuta, che ho riletto più e più volte.
Che musica ascolti?
De Andrè, Afterhours, comunque
dipende dalla giornata.
Città che consiglieresti di visitare e perché.
Bucarest. È una città che non si può immaginare, da 5 anni la rivisito
di continuo e paradossalmente è tanto assordante da azzittirti. Tutti i miei
istinti per potervi produrre un lavoro, lì sono bloccati.
I luoghi che ti hanno particolarmente affascinato.
Tutti i posti che mi ritornano in mente hanno a che fare con
l’altitudine o, se vogliamo ribaltare la faccenda, con una sorta di diminuzione
della gravità. La funivia che percorre un intero ghiacciaio a 4.000 metri. Un
giorno lo vorrei percorrere a piedi, intorno non c’è nulla, e il ghiaccio a
volte è fragile.
Le pellicole che hai amato di più.
Quelle di Antonioni sono terrificanti, nel senso buono! Se rivedi i
suoi film mille e mille volte non finisci mai d’imparare, Deserto rosso su
tutti. Mi piace il modo con cui si astraeva e faceva funzionare il “meccanismo
film”, così, da solo, un po’ come il pensiero di Boetti.
Le mostre visitate che ti hanno lasciato un segno.
Nel 2004 Joan Miró, Alchimista
del segno a Como forse mi ha avvicinato ai
primi disegni. Poi la collezione della Fondazione Beyeler a Basilea, Gianni Colombo al
Castello di Rivoli, alcune sezioni della Biennale a Carrara e il Maxxi a Roma.
Gli artisti del passato per i quali nutri interesse.
Pontormo, Auguste Rodin, Jean-Auguste-Dominique Ingres,
Peter Paul Rubens, Giovanni e Nicola Pisano, Constantin Brancusi, Medardo Rosso, Joseph Beuys, Gino de
Dominicis, Robert Rauschenberg,
Sol LeWitt, Giuseppe Penone, Neo Rauch… insomma, troppi per scrivere un
elenco finito.
E i giovani a cui ti senti vicino, artisticamente
parlando?
È da un po’ di tempo che m’interessa il
lavoro di Giuseppe Gabellone, prima di lui alcuni lavori di Christian Frosi,
poi di Tomas Saraceno, Thomas Houseago,
Marco Bongiorni…
Che formazione hai?
Liceo artistico, ora sto per finire il triennio in Pittura e Arti
visive alla NABA di Milano.
Hai seguito un workshop con l’artista polacco Grzegorz Kowalski. Cosa
ricordi di quest’esperienza?
Carrara porta da sola un’energia in sé,
nella montagna di marmo. Lì si crea un vuoto che è già scultura. Di Grzegorz Kowalski, la sua clinicità e la pulizia di pensiero
limata da orpelli inutili. È stato un vero confronto aperto a tutto e tutti,
reale democrazia.
Le tue opere sembrano essere accomunate da un binomio
costante ma allo stesso tempo contrastante: leggerezza e pesantezza, interno ed
esterno. Penso alla scultura con le pietre e la scansione di una di queste o al
lavoro fotografico con la scorza di mandarino. Ti ritrovi in questa mia
lettura?
M’interessa molto il limite delle cose, che
sia superficie o meno non capisco mai fin dove esistono. Se dico: interno
/esterno è già sufficiente a mettere in dubbio il mio pensiero, la mia
posizione. La domanda successiva è: allora dove terminano questi due? Ecco
perciò la mia attenzione per una sorta di formazione del pensiero come
relazione nello spazio, che non si identifica mai definitivamente. L’idea poi
di ribaltare le cose è costante o, meglio, d’avere uno sguardo, un sotto-sopra,
una linea d’orizzonte che appartiene a chissà quale dei due lati. È inutile
oggi delimitare dei confini, non hanno motivo d’essere.
Hai realizzato due performance fatte di gesti semplici. In
un caso la performance si è trasformata in un’immagine fotografica come in laltrapartedelcielo, in
altri casi le hai riprese, al solo scopo di documentazione, con brevi filmati.
Da cosa nascono le tue azioni?
Una premessa m’impone la performance come interessante, solo se non
risulta teatrale. Penso dunque alle mie come a “sculture globali”, minime
certamente e che lavorano con una loro ripetitività, producendo la possibilità
di uno sguardo distante. Da dove nascono in realtà non lo capisco, ritengo
essenziale non concepirle come gesti, in esse non voglio entri in azione
un’emotività aliena. So che potrebbero essere eseguite da tutti, un’ulteriore
forma di calco sempre differente; di queste ritengo importante che formino
appunto una “scultura del pensiero”, non fisica, e che lavorino nello spazio,
inteso non come luogo cartografico, piuttosto come posizione senza riferimenti,
smontabile e ricomponibile.
che “parlano” di scultura. Le consideri studi preparatori? Che rapporto hai con
il mezzo pittorico?
Non li considero studi preparatori, esistono
come studi e basta. Questi formano delle specie di assimilazioni. Ecco perché
hanno la forma del diario, contengono una continuità, a rimarcare una fissità
come insistenza lavorativa, consumativa. Scorso dunque tutto il libretto, se
ipoteticamente cucissi i disegni intorno a un cilindro, ruotandovi attorno
potrei ottenere una sorta di scultura piana, come fosse costruita da tantissime
fotografie di particolari, una vicina all’altra. Un giorno “sfogliavo” Bacon:
trovo interessantissimo il suo processo, la moltitudine di pagine strappate,
cancellate e piegate su cui interveniva in diversi modi, quasi ad attaccare la
materia, intuendola in modo differente.
Stai lavorando con la fotografia. Cosa ti interessa di
quel mezzo?
La fotografia è un mezzo straordinario già
di per sé. Esiste prima d’essere prodotta. Mi dà la possibilità di mantenermi
rigido rispetto a ciò che mi si presenta, ed è il metodo di partenza per la
comprensione del segno pittorico. È un lavoro mentale: la si deve scattare per
ottenere sostanzialmente un’incisione che rimanga visibile, ma in realtà sarà
totalmente differente da come ci si presenta nell’obiettivo. Proprio in quel
motivo si gioca la possibilità di questo mezzo: costituisce un’altra evenienza
dello sguardo, disambiguo e con una straordinaria “dislessia” in se stesso.
talent
hunter è una rubrica diretta da daniele
perra
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper
n. 69. Te l’eri perso? Abbonati!
[exibart]
quanta fretta.. quando si deve per forza riempire una rubrica il rischio è di pigliare il primo che si incontra. un pezzo come questo non serve né all’artista né alla rivista e neppure al lettore (che poco stimolato si annoia mortalmente..). lasciamoli maturare un minimo sti giovanissimi, poi ci sarà di cui parlare. artisti come l’intervistato in questo momento in italia ce ne saranno un migliaio e tanti probabilmente molto più bravi di lui. quindi perché proprio lui? forse ti sarà capitato a tiro ad un opening meneghino e in un certo senso andrebbe pure bene. ma perché non privilegiare l’approfondimento e la ricerca seria di novità?
per come svolgi la tua ricerca a me più che un cacciatore di talenti sembri una preda, cacciato da giovani artisti-squaletti (detto con affetto, sia chiaro).
Una cosa è certa: questo giovane artista non è uno squaletto. Ho avuto l’occasione di conoscere Daniele Marzorati e soprattutto di apprezzarne l’umiltà. Ringrazio il talent hunter per la possibilità di leggere le riflessioni sull’arte di un artista ancora giovane ma che spero di poter seguire anche in futuro. Continuate così.
Ha fatto anche DUE performance..azz
Questa intervista evanescente al primo “artista” che capita per strada, lascia molto a desiderare. Il numero di “artisti” giovani e giovanissimi è centuplicato, quello dei critici delle gallerie e dei musei d’arte contemporanea pure. A questo punto, si producono una quantità industriale di opere,dalla banalità sconfortante, come se ci trovassimo in presenza di una vera e propria catena di montaggio. Una vera industria dell’ “artista”, che non fa altro che produrre inflazione di opere e di un esubero di precari dell’arte. Mi domando: dove sono questi nuovi geni dell’arte italiana, questi nuovi e originali linguaggi del pensiero visivo? Siete capaci di trovarne almeno uno che sia all’altezza di Picasso di Max Ernst di Marcel Duchamp e di tanti altri che non sto qui a ricordare. Intanto la casta dei burocrati protettori dell’arte italiana continuano a chiedere fondi pubblici…Ma per finanziare che cosa e produrre quale arte? Guardate in che condizioni sono ridotti i musei d’arte contemporanea, trasformati in spettri di se stessi. Vedasi: Mambo, Madre, Centro Pecci di Prato ed altre realtà sparse alla rinfusa sulla penisola. Luoghi, slegati completamente dal tessuto sociale e dalle identità territoriali e dalle istanze culturali della società. Gli artisti sopravvivono come Perenni precari, in attesa di chi sà quale mieacolo. Hanno perso quella verve alla ribellione, quel carattere indispensabile per imporre un pensiero critico: Non alzano mai la voce; stanno tutti zitti e impassibili di fronte alla realtà che li circonda. Indigiano in solitidine, come il pescenane di Hirst nella vasca di formaldeide. Si tratta di riannodare i fili dell’arte della cultura con quello della politica,(non partitica) in una situazione disatrosa, in cui l’arte è degenerata nella squallida rappresentazione del successo a tutti i costi, del carrierirsmo pseudo intellettuale e del sostentamento di privilegi,di interessi privati e di casta.
Savino Marseglia hai perfettamente ragione, ma questo impoverimento questa banalizzazione non costituiscono un problema esclusivamente italiano oggi l’arte è irrimediabilmente globale e in quanto tale tristemente optically correct……
ora che avete scoccato le frecce su un giovane corpicino, avete finalmente saziato la vostra sete di vendetta per il mondo che non cambia, per il paese che va allo sfascio, per l’arte che deperisce?
bene, una vittima in più da aggiungere alla pira.
non so se voi abbiate una minima idea di cosa significhi essere un artista di 22 anni costretto a sopportare il peso dei vostri arguti commenti. cosa voglia dire portare con sé l’osteoporosi di un sistema museale che non funziona, di uno Stato lontano dalla cultura e di un regime curatoriale imperante (cose certo che prima degli smaliziati commenti di cui sopra magari si poteva fare anche a meno).
quindi, a meno che voi non siate giovani artisti validi, pronti a presentare un lavoro più corposo di questo artista, un lavoro potente, innovativo… ecco, fate la cortesia di ritirarvi nella decenza della maturità e di guardare un germoglio con la speranza che diventi quercia, invece che innaffiarlo con un’abbondante dose di ammoniaca fin dal primo momento.
oltre agli squaletti vedo anche un sacco di orche assassine… o forse no, più che altro iene, che aspettano un’altra carogna.
Deleuze nell’abbecedario diceva che il cinema, l’arte, la filosofia, ecc, non possono morire, ma che vengono piuttosto ammazzati.
quindi cari amici, buona mattanza
secondo me chi scrive ‘osteoporosi di un sistema museale’ meriterebbe la morte di croce a prescindere, anche chi ascolta gli afterhours volendo
hm tu mi stai simpatico.
A prescindere.
NoY-a: è proprio come dici tu! Oggi l’arte viene in modo esponenziale finanziata da imprese e multinazionali finanziarie, che impongono al pubblico, artisti che, si presentano addomesticati dal potere culturale e nel contempo servili alle logiche perverse del mercato dell’arte. Un’arte globalizzata del tutto allineata col potere imperante. Mi domando: dov’è finita l’autonomia di pensiero dell’artista ?
caro Savino temo che il pensiero dell’artista(quello forte mica quello debole, allineato) sia momentaneamente messo a tacere come se non contasse più, ciò che conta è l’edificazione attenta e furba di uno spiraglio di carriera ottenuta con tutti i mezzi. Questo rampantismo d’accatto sta uccidendo la “gioia creatrice” l’impulso, quello vero disinteressato,puro, che muove l’artista al mettere in forma l’essere, il suo essere. Ciò che vedo è una grande voglia di apparire a tutti i costi nel posto giusto, al momento giusto, con il personaggio giusto, ciò che si mostra è ininfluente. Forse l’utopia dell’artista di oggi è avere il coraggio di stare al buio. Mi chiedo se l’invisibiltà possa ambire a diventare nel nostro presente un metro di giudizio di valore.