La prima domanda per delineare la tua personalità: qual è l’ultimo libro che hai letto?
Ho appena finito di leggere I miei luoghi oscuri di James Ellroy. Veramente potente. Penso non sia da tutti scrivere un libro sull’omicidio della propria madre, realizzare un noir autobiografico in maniera così cruda e scientifica.
Musica! Cosa ascolti?
La faccenda si fa complicata. Non ho un genere preferito, ascolto di tutto. Quando visito altri Paesi mi piace andare nei negozi di musica, lì si trovano sempre delle chicche. In adolescenza ascoltavo soprattutto punk e derivati; ho visto concerti veramente belli. I Millencolin all’Acquatica non si dimenticano facilmente.
Cinque città che consiglieresti di visitare e perché?
La prima in assoluto è Tokyo. È una città che mi ha sconvolto e affascinato. È incredibile salire all’ultimo piano di un grattacielo e vedere una metropoli infinita, una vera megalopoli. Sempre in Giappone, Hiroshima. Visitare il Peace Memorial Museum e poi passare fra grattacieli, luci, suoni e prendere quello che chiamano il “treno proiettile” beh, fa riflettere. Un’altra città che consiglio è San Francisco. È come vivere in un perenne déjà-vu. Market Street offre davvero tanto. Napoli è senz’altro da visitare, meglio se con una persona del posto, capace di mostrare i diversi lati di una città incredibile. Infine Barcellona, mare, movida, ottima cucina.
I luoghi che ti hanno particolarmente affascinato?
Davvero tanti, se proprio devo fare una selezione posso dire l’Umeda Sky Building di Osaka, con il Floating Garden Center. Il coloratissimo porto di Horta nelle Azzorre con il Bar Sport e gli intagliatori di denti di balena, e poi Santa Cruz in California. È un luogo allucinante, è come essere in un tv show, imprigionati fra Baywatch e Room Raider, e non è poi così male.
Quali sono gli artisti del passato che ti interessano?
Me ne vengono in mente moltissimi e ognuno m’incuriosisce sotto vari aspetti. Jackson Pollock è sicuramente un artista per cui nutro particolare interesse e m’affascina il fatto che sia impossibile scindere la produzione artistica dalla sua vita. I disegni di Willem de Kooning li trovo fantastici e il suo Pink Angels è da pelle d’oca. Marcel Duchamp era indiscutibilmente un genio. Trovo straordinario il fattore ironia nei suoi lavori. Uno degli artisti che più m’affascina risale a qualche centinaio d’anni fa ed è Piero della Francesca. Ricordo che, da ragazzino, portarmi a vedere una mostra d’arte antica equivaleva a darmi un cazzotto in faccia. Crescendo mi sono reso conto delle sue meraviglie e della sua contemporaneità, talvolta è impressionante osservare come pitture rinascimentali rappresentino ancora l’odierno.
E i giovani artisti?
Trovo che oggi vi siano molti artisti che lavorano e fanno ricerca in modo interessante, in Italia e all’estero. Fare arte e non giocare a fare l’artista è uno dei lavori più complessi. Posso dire che Francis Alÿs è certamente un artista che ammiro; i lavori, nella sua semplicità estetica, racchiudono un universo di rimandi ed emozioni. Trovo estremamente curiose le opere di Jockum Nordström, Neo Rauch e Marjetica Potrč ma, come detto, vari artisti stanno lavorando in maniera interessante. Forse mi sbaglio, ma penso che alcuni grandi artisti oggi facciano altro, ho visto persone fare veramente arte senza rendersene conto.
Tra i pittori contemporanei che hanno riscosso un grande successo negli ultimi anni come Michael Borremans, Tim Eitel, David Schnell o Matthias Weischer, quale ritieni più innovativo?
Domanda difficile, sono tutti ottimi artisti. Sono straordinari i lavori di Weischer, fra gli artisti citati è forse il più innovativo. Le stanze rappresentate nelle sue tele e nelle carte sono fantastiche, sono ambienti al limite fra allucinazione e memoria. I colori sono da lsd! Le scene di Borremans e Eitel a volte le trovo un po’ troppo narrative, ma ora sto cercando il pelo nell’uovo, si sta parlando di grandi artisti. Le tele di David Schnell sono davvero dei bei lavori, delle sorte di esplosioni di colore, architetture instabili, piani e colori improbabili.
Mostre che ti hanno particolarmente colpito ultimamente.
Ne parlavo giusto qualche giorno fa con un caro amico. È una domanda che non trova risposta immediata. Spesso l’aspetto mediatico dell’evento illude lo spettatore. Fa comunque parte del gioco. Per assurdo posso dire che la fiera Art Basel mi colpisce sempre. Si trovano lavori di straordinaria potenza. Ricordo un Picasso meraviglioso, avrei voluto portarmelo a casa. In Italia esistono situazioni estremamente interessanti, private e non. La mostra di Peter Fischli & David Weiss a Palazzo Litta è un esempio, mi ha davvero stupito. Think positive.
Passiamo a te. Ti senti a tuo agio con la definizione di pittore oppure pensi sia limitante?
La definizione di pittore in sé non è riduttiva. La storia dell’arte, anche contemporanea, dimostra quanto sia sbagliato considerare morta la pittura. Alcuni fra i più grandi artisti contemporanei lavorano solamente con il medium pittorico. Nel mio caso però è un po’ limitante in quanto lavoro anche con altri media. Spesso i miei lavori nascono su tela per poi mutare e stravolgersi completamente diventando installazioni o altro.
Che responsabilità ha oggi un artista?
A mio avviso molta. Negli ultimi anni il continuo aumento d’interesse verso l’arte contemporanea ha visto come conseguenza una crescita dei prezzi di mercato, e il proliferare a livello internazionale di musei, gallerie e altro ne sono la testimonianza. È facile quindi che un giovane artista per rincorrere le tendenze dettate da un sistema in continuo cambiamento perda contatto con il proprio lavoro e la ricerca si esaurisca rapidamente. Un artista oggi dovrebbe fare cultura e non assecondare i gusti del mercato e del pubblico, ragionando sul proprio lavoro, concentrandosi sulla ricerca personale per confermare l’assoluta importanza dell’arte.
Qual è il modo migliore per descrivere la tua ricerca?
Penso che un buon punto di partenza sia dire che ogni mio lavoro nasce da un’attenta osservazione della realtà, nelle più diverse forme in cui mi si presenta. Può essere un video su Mtv come una vecchia cartolina, non ha importanza, l’essenziale è che mi faccia riflettere, deve sollevarmi dei dubbi, deve suscitarmi domande. Non trovo interessante un lavoro quando mi dichiara subito tutto. Quello che sto cercando di fare è l’opposto, gli elementi devono poter assumere svariati aspetti, ogni soggetto deve poter essere osservato da più punti di vista o come direbbe W. Egglestone, in maniera democratica.
Oltre alla pittura e all’installazione, con quali altri media ti sei confrontato?
Il video. Di recente ho realizzato una sorta di docufiction nella periferia nord milanese girato quasi interamente in notturna. Non è il primo lavoro video che realizzo. Il video è un medium affascinante ma assolutamente complesso da utilizzare e il numero di informazioni contenute in un progetto audiovisivo sono enormi. Si può notare come spesso questo mezzo venga utilizzato in maniera impropria e l’immediatezza della videocamera prende il sopravvento sul lavoro dell’artista.
Che formazione hai?
Sto concludendo il Biennio Specialistico in Visual Arts and Curatorial Studies diretto da Marco Scotini presso la Naba a Milano, dove ho frequentato anche il triennio. Questi ultimi due anni si sono rivelati fondamentali per lo sviluppo del mio lavoro e mi hanno dato l’opportunità di potermi confrontare con figure importanti come Francesco Jodice, Patrick Tuttofuoco, Jens Hoffman e Viktor Misiano.
Quanto la preparazione accademica influenza il percorso artistico individuale?
Relazionarsi con docenti preparati alle rapide trasformazioni del sistema contemporaneo risulta, oggi più che mai, un punto fondamentale per la preparazione di un giovane artista. Una costante interazione con compagni di corso, artisti e curatori, magari provenienti da altri Paesi, è certamente un fattore di primaria importanza e contribuisce fortemente all’arricchimento culturale dell’individuo.
Hai fatto qualche residenza?
Non ancora, ma è un’esperienza che non mi dispiacerebbe affatto fare in futuro.
Pensi di rimanere in Italia nei prossimi anni?
È una domanda che mi pongo più o meno ogni quarto d’ora. Di certo esperienze all’estero rientrano fra miei obiettivi futuri. Il mondo sta diventando sempre più piccolo e per comprendere i mutamenti globali, rapportarsi con altre realtà è importante. Come detto precedentemente, trovo che in Italia esistano situazioni valide, come gallerie private, collezioni e fondazioni, ma l’impressione è che il Paese non si sia ancora convinto a pieno dell’importanza culturale dell’arte contemporanea.
Progetti?
Sto lavorando su alcuni nuovi lavori che focalizzano l’attenzione su vari aspetti della mia ricerca. In particolare sto sviluppando un progetto installativo la cui formazione si sta rivelando piuttosto complessa, un work in progress che non so nemmeno io dove andrà a finire… Anche se una mezza idea già ce l’ho.
a cura di daniele perra
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