Categorie: parola d'artista

talent hunter | Mirko Smerdel

di - 3 Febbraio 2009
Comincerei col curiosare tra i tuoi interessi. Che libro hai letto recentemente?
Ho appena finito di leggere Il filo e le tracce. Vero, falso, finto di Carlo Ginzburg.

Che musica ascolti?
Da “giovane” ascoltavo tantissimo hard-core, punk e derivati, post rock e tanta new wave. Adesso sarebbe difficile rispondere perché i miei gusti sono molto più eterogenei. Ascolto molto hip hop, roba della Stones Throw Records [etichetta indipendente americana, N.d.R.] tipo MF Doom o Madlib. Uno degli ultimi dischi che mi è piaciuto particolarmente è stato Classic Erasmus Fusion dei Volcano The Bear. Posso dirti che comunque mi porterò nella tomba, anzi nel forno crematorio, dischi dei This Heat, Pop Group, Clash, New Order, Fugazi, Das Audience, Monorchid e Gogogo Airheart.

Quali sono le cinque città che consiglieresti di visitare e perché?
Non sono un gran viaggiatore e nelle città che vorrei consigliare (Tokyo, Lagos, Las Vegas, Città del Messico e Chongqing) non sono mai stato. Infine, anche se non è una città, credo che tutti dovremmo andare sulla Luna prima o poi, e chissà se un giorno qualche sceicco costruirà una Dubai lassù, con osservatori e shopping mall…

I luoghi che ti hanno particolarmente affascinato?

Settimello, il paese dove sono cresciuto, vicino a Firenze. Proprio di fronte a casa mia c’era un enorme cementificio. Era, anzi è tuttora, una piccola città recintata ai piedi di una collina di uliveti, con strade interne, edifici dalle forme assurde e ciminiere altissime, ed è tutto completamente grigio! Per circa vent’anni, ogni volta che uscivo di casa era la prima cosa che vedevo e direi che questo mi ha decisamente segnato. Il Treptower Park a Berlino è un altro luogo che mi ha affascinato tantissimo, c’è un grande memoriale dedicato ai soldati dell’Armata Russa caduti durante la battaglia per la presa della città.

Quali sono gli artisti del passato di cui nutri un particolare interesse?
Piero della Francesca, la scuola di Ferrara, Giuseppe Arcimboldo, Caravaggio, Manet, Egon Schiele, Marcel Duchamp, Kurt Schwitters, El Lissitskij e il costruttivismo, Walker Evans, Gerard Richter, Harun Farocki, Chris Marker, Marcel Broodthaers, Susan Hiller, Christian Boltanski e Tacita Dean.

E i giovani artisti a cui ti senti particolarmente vicino, artisticamente parlando?
David Maljkovic, Claire Fontaine, Burghard, Tobias Buche, Tom Burr (ma gli ultimi due forse non sono più proprio giovani!).

Fra The Atlas Group, Jonathan Monk e Mario Garcia Torres, che mi sembra siano molto in sintonia con il tuo lavoro, quale ritieni più interessanti e perché?
Direi sicuramente The Atlas Group, visto che sto scrivendo una tesi che ha molto a che vedere con quel progetto. Mi piace molto l’approccio politico e formale di Walid Raad e il suo modo di raccontare la storia recente del Libano attraverso veri documenti e ricostruzioni ipotetiche.

Quali sono le mostre che hai visitato che ti hanno particolarmente colpito?
Anche se non è proprio recentissima, direi Progressive Nostalgia, curata da Viktor Misiano al Centro Pecci di Prato nel 2007, che raccoglieva lavori di artisti di tutta l’area delle ex repubbliche sovietiche attraverso il filo conduttore della memoria e della partecipazione. Ho avuto la possibilità di entrare in contatto con artisti che avevano approcci verso la realtà e la storia che difficilmente avrei potuto conoscere in qualsiasi altra mostra in Italia.

Passiamo ora al tuo lavoro. Ti senti a tuo agio nel “prendere in prestito” le identità e il vissuto di altri?
Sinceramente non ho mai pensato di appropriarmi indebitamente delle identità delle persone, anche se credo di aver capito cosa intendi e mi sono più volte posto la stessa domanda. Penso che il mio approccio all’immagine sia piuttosto simile a quello di uno storico o di un archeologo che cerca di ricostruire la storia di un avvenimento attraverso tracce e documenti. Probabilmente la sensazione di un archeologo che per la prima volta raccoglie un utensile da lavoro utilizzato da una contadina del neolitico, non è molto diversa dalla mia quando ho tra le mani l’album di fotografie di un anonimo cittadino milanese degli anni ‘70, in entrambi i casi si tratta di raccogliere elementi di vita vissuta e trasformarli in narrazione. In un certo senso anche un dj fa qualcosa del genere, no? Alla fine, se ci pensi, io non entro di soppiatto nelle case a rovistare nei cassetti degli sconosciuti, il materiale che utilizzo lo compro in negozi e mercatini. Gli autori materiali di quelle immagini se ne sono già volontariamente sbarazzati.

Che responsabilità ha oggi un artista?
Penso che in una società con un eccesso d’immagini e una sempre maggiore mancanza di tempo a disposizione l’artista abbia la responsabilità di quello che produce e del suo significato. L’artista per me è colui che ha il diritto al tempo, il diritto di soffermarsi a guardare e decifrare la realtà e i fenomeni sociali e questo diritto pone sicuramente delle responsabilità etiche.

Qual è il modo migliore per descrivere la tua ricerca?
Documentaria e orientata al processo.

Oltre ai collage e alle diaproiezioni, con quali altri media ti sei confrontato o pensi di confrontarti in futuro?
Nel lavoro che ho presentato a Backpackers a Como, Untitled (nessun’isola è un’isola), alcuni collage erano appoggiati su due tavoli che avevano la forma dell’area del quartiere isola interessato alle trasformazioni urbane che erano il tema del lavoro. Altri collage poi stanno diventando delle piccole strutture autoportanti. In questo momento sento molto l’esigenza di sviluppare delle forme che non siano solo un display rappresentativo per i collage ma che ne diventino parte della narrazione e del discorso. Inoltre mi piacciono molto i libri e appena avrò la possibilità vorrei fare una pubblicazione.

Che formazione hai?
Ho frequentato l’Accademia di Belle arti di Firenze, ma ne sono rimasto abbastanza deluso e per qualche anno ho mollato tutto. Ho fatto vari lavori e infine il grafico finché non ho deciso di andare a Milano e iscrivermi alla Naba.


Quanto la preparazione accademica influenza il percorso artistico individuale?

Ovviamente molto, anche se spesso bravi artisti hanno una formazione diversa da quella accademica. Questo, secondo me, perché non si fa abbastanza teoria all’interno delle accademie tradizionali e spesso sono realtà troppo scollate dal mondo reale. In definitiva, comunque, non credo nell’approccio autodidatta o naïf verso la produzione artistica. In questo senso, devo dire che la Naba mi ha dato la possibilità di venire a contatto con artisti e curatori di fama internazionale come Viktor Misiano o Eric Beltran, per citarne solo due, grazie a una serie di seminari e workshop curati da Marco Scotini e questo tipo di confronto è stato notevolmente appassionante per un neofita come me.

Hai fatto anche qualche residenza?
No, non ho ancora partecipato a nessuna residenza. Inutile dire che mi piacerebbe.

Pensi di rimanere in Italia nei prossimi anni?
Vorrei poter girare per un po’. Sto pensando se trasferirmi da qualche parte ma non ho ancora deciso dove, oppure se rimanere ancora un po’ a Milano. Una residenza potrebbe essere una buona opportunità per cambiare aria.

Progetti futuri?
Finire di scrivere la mia tesi di laurea e lavorare.

a cura di daniele perra


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 54. Te l’eri perso? Abbonati!

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