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talent hunter Valentina Miorandi
parola d'artista
Nasce a Trento nel 1982. Dopo la laurea al Dams di Bologna segue i master in Regia cinematografica alla New York Film Academy e in Direzione alla fotografia all’Escac di Barcellona. Solo nel 2008 esordisce con alcune mostre personali. Realizza video, fotografie e visual sound performance...
Motto di spirito e azione
innovativa di
Paolo Virno e Morte malinconica del bambino ostrica e altre storie di Tim Burton.
Che musica ascolti?
Danny Elfman fa da colonna sonora. Jingles di pubblicità.
Gaber. Gong. Ballo solo con Grace Jones e Madonna. Giovedì: jazz club.
Città che consiglieresti di
visitare e perché.
New York perché porta fortuna.
Siviglia perché a ottobre c’è odore di Lemonsoda. Napoli perché scintilla.
I luoghi che ti hanno
particolarmente affascinato.
Le Dolomiti dall’elicottero, la casa maledetta vicino alla
Gaiola, le concerie di Fes, il Pantheon a Roma, la salita di Montagnaga che
rompe le leggi della fisica, il sabato mattina a Williamsburg.
Quali sono le mostre visitate
che hanno lasciato un segno?
Still Life, Tacita Dean; il Padiglione polacco all’ultima Biennale
di Venezia; Irrespektive, Kendell Geers; Voom Portraits, Bob Wilson.
Quali sono gli artisti del
passato per i quali nutri interesse?
Maya Deren, Anselmo, Hopper,
Rothko, Bacon, Turner, Goya, Morandi, Munari, Rybczynski.
E i giovani a cui ti senti vicino, artisticamente
parlando?
Sono una ragazza senile… Ai Weiwei.
Che formazione hai?
Dopo una formazione scientifica, all’università mi sono
laureata in Teorie e pratiche teatrali, nel video e nella fotografia ho
incominciato da autodidatta, poi ho vinto due borse di studio per seguire il
corso di Filmmaking alla NYFA e il corso di Direzione alla fotografia all’Escac
di Barcellona. L’inizio della mia carriera artistica è avvenuto nel marzo 2008
in occasione della mia prima esposizione personale presso Arte Boccanera
Contemporanea di Trento. L’incontro con Giorgia Lucchi mi ha dato l’opportunità
di inserire la mia attività nel circuito dell’arte contemporanea e di prendere
consapevolezza di quanto siano fondamentali le scelte che accompagnano la
realizzazione dei miei lavori, dall’ideazione alla selezione dei materiali fino
all’allestimento.
Quanto la preparazione accademica influenza il percorso
artistico individuale?
Le due accademie che ho frequentato mi hanno dato una
formazione prettamente tecnica all’uso del mezzo audiovisivo. La padronanza del
mezzo è fondamentale per realizzare al meglio l’idea, che però, per quanto mi
riguarda, non dipende dalla preparazione tecnica.
Hai avuto diverse esperienze come visiting professor e
hai lavorato come aiuto regista per altri artisti come Rosa Barba e Marinella
Senatore. Quanto sono importanti queste collaborazioni per il tuo percorso?
Sono fondamentali. Il rapporto con differenti esigenze
estetiche, concettuali, diverse metodologie di lavoro mi mantiene “allenata”:
trovare l’idea giusta per quella persona in quella precisa situazione è una
sfida estremamente coinvolgente. Andando avanti, ora che il mio stile sta
prendendo spessore, trovo sempre più difficile “sopprimere” il mio gusto per
sentire quello di cui l’altra persona ha bisogno, ma è proprio questo che rende
ancora più necessarie collaborazioni di questo tipo, perché riuscire a creare
insieme ad altri e per altri scongiura il pericolo di rintanarsi in un unico e
“ideale” sistema di riferimento.
Come descriveresti la tua
ricerca?
La mia ricerca parte da
osservazioni della quotidianità e dallo studio del passato per capirne meglio i
meccanismi. Spesso può capitare che ci sia l’urgenza di esaurire un percorso:
con Holywood, Marylin
2010, Far Far
Away e il video Cross
Broadway il comun
denominatore è stato l’analisi dell’immaginario collettivo cinematografico e la
riflessione sullo stereotipo, sullo star system di ieri e di oggi. Ora
l’attenzione è più rivolta alla storia in senso lato (come in Vergangenheitsbewältigung). Le linee di ricerca non
le decido a tavolino, ma accade che abbia forti tensioni verso questo o quel
soggetto, che diviene poi urgente esaurire. Il cinema risponde a regole più o
meno precise, ma è grazie all’arte contemporanea che ho modo di portare avanti
una grande sperimentazione, e questa è la parte che più mi fa sentire libera di
agire e di approfondire tutto ciò che mi interessa intimamente.
La componente testuale e il
gioco linguistico (penso ai titoli delle tue fotografie come Holywood, Alter Eco o Parquet non mi telefoni?) sembrano essere elementi
molto importanti nella tua ricerca.
Mi diverte molto il gioco
linguistico, soprattutto se è provocatorio come in Holywood. Infatti, quando lo utilizzo
cerco sempre di trovare slittamenti di significato.
Jean-Luc Godard diceva che i
film dovrebbero avere un inizio, una parte centrale e una fine, ma non
necessariamente in quest’ordine. Cosa ne pensi?
Litigo spesso con Godard, ma su questa sua affermazione mi
trovo d’accordo. Infatti, quando dico che nell’arte contemporanea c’è spazio
per la libertà di sperimentare, è proprio questo che intendo: la possibilità di
condensare, di sublimare la narrazione alterandone gli elementi compositivi.
L’immagine e il suono possono interagire tra loro innescando un cortocircuito
(come in Numerabilis), oppure un anonimo video da “turista per caso” con l’aggiunta di
titoli in sovrimpressione può diventare un intro da titoli di testa (come in Cross
Broadway). Mi
piace sorprendere e cambiare i punti di riferimento classici, ma ciò che non
cambia è l’importanza della comunicazione. Vedo lo spettatore come un
bersaglio: vinco se lo colpisco in centro.
Lavori molto in ambito
cinematografico. Molti artisti hanno realizzato film presentati in festival di
cinema e poi passati nel circuito tradizionale. Tra i più recenti, Steve
McQueen con Hunger, Shirin Neshat con Women without men e
l’ultimo lungometraggio di Sam Taylor-Wood, Nowhere Boy. Qual è la tua opinione su
questo fenomeno?
Sì, penso che il circuito possa
ulteriormente valorizzare la visione di un lavoro. A volte l’etichetta
cinema/documentario/videoarte sta stretta e ci si vuole ribellare; in realtà
spesso ci si accorge che è lo spettatore a richiedere un certo prodotto in un
certo ambito. È una questione di abitudine percettiva: è giusto rispettarla ma
mi piace anche pensare di poter osare, alla Lynch.
Hai trascorso periodi
all’estero negli ultimi anni. Pensi di rimanere in Italia nel prossimo futuro?
Mi piacerebbe molto andare a
vivere un periodo in Europa dell’Est, in particolare in Polonia. Sono
affascinata da Zmijewsky e da molti altri artisti polacchi. Mi piacerebbe
studiare e sperimentare in posti dove la ricerca è intensa e lo sguardo è lucido.
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Miorandi
a Videominuto ‘09
talent hunter è una rubrica diretta
da daniele perra
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.
64. Te l’eri perso? Abbonati!
[exibart]
tutto fa brodo. che tristezza.