Se si pensa ai vostri ormai mitici “Panorami”, una costante della vostra opera sembrerebbe essere il tema del tempo che scorre. In queste opere video su alcune città italiane ed europee, è come se si venisse a creare una crasi temporale che fa affondare la continuità del tempo in uno spazio discreto e qualitativo. Dal punto di vista filosofico mi sembra si possa parlare di Deleuze. E’ uno dei filosofi che vi hanno ispirato per comporre la vostra “immagine-tempo”?
Nella nostra formazione teorica, cinematografica e teatrale, ci sono senz’altro Bergson (pluralità dell’essere, durata, universo come formidabile memoria), Deleuze-Guattari (immagine-tempo, ontologia proiettiva) e Artaud (mente-corpo-cosmo), e ovviamente anche McLuhan, Foucault, Benjamin e Heidegger, ma anche il filosofo italiano Giorgio Agamben (chiarimenti sulla figura dell’analogia) e gli antropologi Franco La Cecla (mente locale) e Francesco Remotti (abolizione dell’identità rapace).
L’idea del dispositivo di panorama però è nato da esigenze quasi fisiche, esistenziali: nella compressione temporale delle nostre vite di tutti i giorni è emerso il desiderio di vedere il tempo, visualizzare l’immaterialità della sostanza di cui è fatta la nostra stessa vita, plasmare e ricostruire flussi di tempo di intensità e velocità diverse, compresenti nello stesso spazio fisico. Per ottenere lo scorrimento della panoramica continua che mangia il tempo e fa emergere figure fibrillanti, abbiamo agito sia sulla natura e la durata delle azioni (estrema slow-motion, dislocazione in profondità di campo e micro-drammaturgie che iniziano e finiscono fuori campo) che sulla registrazione mediale (accelerazione, inserti con stacco sull’asse, ricorrenze di dettagli), il risultato è un mondo parallelo ma accaduto, reale tra le molte realtà compresenti.
Un altro concetto importante del vostro lavoro è quello che riguarda il limite fantasmico tra realtà e finzione, laddove è fondamentale nella costruzione di una trama come in “The Focus” Puller (live media performance del 2007) e in “Ghost Track” (videoinstallazione del 2008) l’immaginario evocato dai suoni di colonne sonore di film famosi, connesso ad ambienti esterni reali di locations europee. Mi sembra che l’operazione si possa riferire alla progressiva virtualizzazione del reale e nello stesso tempo al vostro amore per il cinema. Ditemi voi…
In Ghost Track il sonoro e l’immagine sono discrepanti tra loro ma incardinate dal montaggio, le tracce fantasma di film come Vertigo di Hitchcock o The Addiction di Abel Ferrara trasfigurano un porto industriale, un appartamento, un caffè, la periferia di una città, e ne fanno emergere i riverberi cinematografici, che sono ormai una delle chiavi con cui assorbiamo il mondo. La realtà “trasuda” costantemente immagini fantasmatiche, livelli paralleli di narrazione, interpretazione, immaginario. E’ quindi possibile “guardare attraverso” una situazione per “vedere” contemporaneamente un altro reale compresente. Questo non solo come conseguenza della super mediatizzazione del reale (tutto è stato filmato e fotografato per cui circola come materiale multi-significante), ma perché la smaterializzazione del reale funziona anche al contrario, come ci insegna Slavoj Žižek: “i fantasmi diventano materiali e si mescolano al mondo, le immagini non sono più riproduzioni della realtà, sono oggetti tra gli oggetti, cose che generano fatti“.
Fotografia stereoscopica accompagnata dal suono in “Car Wash Drama” del 2004, in “The Apartment” del 2007 fino a “Muddy Water” del 2009 collega l’immagine fissa al tempo percepito attraverso il suono, sembra trattarsi di un tempo spazializzato, la cui qualità è una costante, ma è più evidente nelle installazioni sonore come nella recente “Untitled” (un dio minore), potreste parlarmi dell’importanza del suono nelle vostre opere?Nei nostri lavori il suono ha la funzione di proiettare l’immagine direttamente nella mente dello spettatore, in qualche modo
Qualche flash sulla mostra appena iniziata, un affondo sul filo rosso che lega le opere di campo/largo, il titolo della mostra, che si riferisce ad un dispositivo tecnico e mentale di ripresa di un’ampia sezione spaziale, da grandangolo, comprendendo quindi la vastità di un ambiente. La geografia spaziale accanto al tempo sembra essere un altro protagonista dei vostri lavori.
Potremmo rispondere sempre e semplicemente: sì.
Sì, campo largo è sia la nostra inquadratura preferita che un vasto spazio con una visibilità così ampia da permettere di vedere la curvatura della terra all’orizzonte. Ci piacerebbe avere un grandangolo che ci ricordi sempre che siamo figure che si muovono su un pianeta, che siamo fatalmente ancorati a un corpo. Crediamo che la Geografia, dopo un momento di declino superiore addirittura a quello della Storia, torni oggi come un campo di forze potentissimo e si configuri come il teatro degli scontri macro-politici (risorse, clima, confini, convenzioni, futuro). Di contro nel nostro lavoro ci interessa esplorare la geografia in modo “sentimentale”, sentiamo il bisogno di una geografia umanistica.
Lo spazio centrale della mostra, Radura, non è un’opera, è un ambiente percettivo, un paesaggio fatto di suono e luce ondivaga e ombre mobili. E’ uno spazio in cui si può sostare senza guardare nulla in particolare, solo stare e lasciar depositare quello che arriva.
Per finire ci piacerebbe sapere se sono stati realizzati lavori ad hoc per questa occasione. Il vostro sito www.zimmerfrei.co.it si ferma al 2010, avrete sicuramente messo in cantiere qualcosa che avete tenuto in serbo apposta per la mostra!
Nella mostra al MAMbo presentiamo diversi lavori nuovi:
Radura è un intervento collocato al centro del museo, un dispositivo congegnato per rimodulare lo spazio e favorire il raccoglimento.
Vacancies, è una stanza costruita all’interno del museo, ma visibile solo dall’esterno, contiene vecchie insegne luminose provenienti da altri luoghi, che annunciano servizi e spettacoli che hanno già avuto o non avranno mai luogo.
Le stanze sono libere, è un altro intervento all’esterno del museo: una porta di servizio è stata trasformata nell’ingresso di un motel (“zimmer frei”) con un foro attraverso il quale si può sbirciare all’interno.
What we do is secret è un nuovo capitolo della serie Stereorama, dedicata all’immagine stereoscopica.
I giorni del cane è una serie fotografica, uno sguardo panoramico sull’estrema periferia romana.
Locations è un breve video, un piccolo saggio sulla pratica del sopralluogo, sull’appostamento in attesa dell’immagine giusta.
a cura di carmen lorenzetti
dal 27 maggio al 28 agosto 2011
zimmerfrei
campo | largo
Curatore: Stefano Chiodi
Sede espositiva: MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
via Don Minzoni 14 – Bologna
Orari: martedì, mercoledì e venerdì 12.00 – 18.00
giovedì 12.00 – 22.00
sabato, domenica e festivi 12.00 – 20.00
Ingresso: Intero 6 €; ridotto 4 €
Informazioni: tel. 051 6496611 – fax 051 6496600
info@mambo-bologna.org
www.mambo-bologna.org
Visite guidate per i gruppi la prenotazione è obbligatoria
Dipartimento educativo tel. 051 6496652 – 611
mamboedu@comune.bologna.it
Gruppi (massimo 30 persone): € 80
Visite in lingua: € 100
Scuole: € 50
Catalogo: Edizioni MAMbo
Press: ufficiostampamambo@comune.bologna.it
tel. 051 6496653 – 608
[exibart]
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