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28
ottobre 2018
50 anni di Azioni, insieme
Personaggi
Abbiamo incontrato a Venezia due signori inglesi in completo di tweed: ecco Gilbert & George, con i loro aneddoti di mezzo secolo d’arte
Gilbert & George hanno incontrato il pubblico a Palazzo Grassi durante due serate che hanno aperto la stagione del Teatrino, in occasione della mostra “Dancing with Myself” a Punta della Dogana, dove sono presenti con diverse opere appartenenti alla Collezione Pinault. Gli artisti sono stati invitati a presenziare alla proiezione di due dei loro filmati più importanti (The Singing Sculpture del 1991 e The World of Gilbert & George del 1984) e a condividere una conversazione aperta al pubblico con il critico d’arte François Jonquet, che li segue ormai da quasi vent’anni. Gilbert & George. Intimate Conversations with François Jonquet è il titolo della pubblicazione nata dagli scambi tra lo scrittore e gli artisti, che ripercorre in via confidenziale la lunga carriera dello storico duo inglese, dal 1968 ad oggi.
A vederli dal vivo, Gilbert & George non sembrano diversi dai due ragazzi che si incontrarono per la prima volta alla Saint Martin School of Art di Londra: sotto la patina dell’età è ancora viva la fiamma dell’entusiasmo comune e degli ideali che li spinsero a trasferirsi nella capitale per dar vita alla loro “arte per tutti”. Complici le umili origini, la mancanza di grandi possibilità economiche e il sentirsi entrambi estranei alle teorie accademiche, Gilbert & George si unirono in un duo inseparabile: «A noi piace dire che siamo due persone e un artista», dicono sorridendo.
Gilbert & George, The Singing Sculpture, 1991
Da quel momento G&G hanno sviluppato una pratica artistica unica e cucita su loro stessi, democratica, che partiva dalla semplicità del quotidiano e dell’ambiente che li circondava per parlare ad ogni individuo. «Volevamo creare un’opera d’arte che parlasse a chiunque, a prescindere dal credo religioso o dal livello educativo. Volevamo affrontare i temi che stanno dentro di noi e in tutti noi, in tutto il mondo” e per far questo ogni medium accademico era inutile, perché «Siamo noi le sculture, le sculture viventi. Siamo coloro che possono provocare, possono piangere, siamo delle sculture emotive, suscitiamo emozione, siamo delle sculture umane”.
Così Gilbert & George ricordano la nascita della loro celebre performance The Living Sculture e come, improvvisamente, si ritrovarono a portarla nelle gallerie di tutto il mondo: da Londra, ad Amsterdam, alla Germania, fino a New York e all’Australia. Un’ascesa che li condusse presto – anche per assecondare le volontà del mercato dell’arte, da sempre poco indulgente verso la performance – ad avvicinarsi ad altre pratiche artistiche come il disegno prima e la fotografia poi, nella creazione di grandi trittici carichi di immagini. L’ispirazione era tratta dalle affezionatissime strade di Spitalfield nell’East Side di Londra (dove tuttora vivono) e dai loro abitanti, i reietti, i dimenticati, la gente scomoda alla società: tossici, ubriaconi, omosessuali, immigrati. Perché l’intento di Gilbert & George non è mai stato quello di parlare di arte, ma di ciò che succede nel mondo in cui vivono senza usare alcun filtro che non sia la loro stessa percezione di esseri umani. «Siamo dei primitivi, siamo un po’ come gli uomini delle caverne che hanno lasciato un segno, ed è quello che fanno anche gli artisti: lasciano un segno sul muro, una traccia, lasciano la loro visione che permane dopo di loro. A noi piace parlare del mondo moderno così come lo conosciamo oggi”. Infine, l’immancabile consiglio per i giovani studenti delle accademie d’arte: «Mandate a fan**** gli insegnanti”) e ancora la voglia di dedicarsi a un progetto nuovo, la realizzazione di un piccolo centro espositivo dedicato alla loro opera e alla loro memoria, dove accogliere collezionisti, curatori, artisti e chiunque abbia il desiderio di fermarsi. Ovviamente nel cuore della piccola Spitalfield.
Alice Bortolazzo