Categorie: Personaggi

In ricordo di Brigid Berlin, confidente di Andy Warhol, star della Factory, artista sopra le righe

di - 22 Luglio 2020

Venerdì 17 luglio, è morta, in un ospedale di Manhattan, Brigid Berlin, istituzione della Factory tra i Sessanta e Settanta, una delle ultime sopravvissute fra le Superstars di Andy Warhol, di cui fu ispiratrice e amica intima.

Una rompicoglioni sovrappeso

Nata in una famiglia dell’High Society di Manhattan il 6 settembre 1939 da Richard E. Berlin – presidente dell’impero mediatico Hearst per 32 anni – e Muriel Berlin – “Honey” per la mondanità newyorkese – Brigid si ribella fin da subito alla sua condizione di nascita per prendere parte alla scena underground di New York dei Sessanta e Settanta. Non solo ne farà parte, ma diventerà in breve tempo una delle figure portanti di scene artistiche leggendarie, come quella del Chelsea Hotel e della Factory.

«Sentii il rumore di una macchina arrivare davanti al mio appartamento e vidi uscirne Brigid, a seno scoperto, vestita con un sarong rosso attorno alla vita e uno stetoscopio giocattolo attorno al collo. Portava con sé un’enorme borsa da dottore in pelle di coccodrillo riempita con una quantità immensa di anfetamine e una siringa gigante. Salì in casa e cominciò ad inseguirmi per la stanza cercando di bucarmi con l’ago. Da lì siamo diventati amici per la pelle».

È così che la ricorda Danny Fields, eccentrica, provocatoria, originale al limite del delirante. Storico music manager di gruppi come Iggy and the Stooges e i Ramones, figura chiave nell’evoluzione della scena punk tra i sessanta e gli ottanta, anche lui come Brigid faceva parte della stretta cerchia di Andy Warhol.

Uno dei tratti caratteristici della personalità di Brigid Berlin, e successivamente della sua espressione artistica, è stato fin da subito il rapporto controverso con il suo corpo, in particolare con il peso, su cui la madre infierì profondamente durante gli anni della crescita, costringendola a infiniti istituti di riabilitazione. «Mia mamma voleva che diventassi una snella e rispettabile ragazza mondana e invece sono diventata una rompicoglioni sovrappeso», pare che abbia lasciato detto Brigid.

Le stanze al Chelsea Hotel

Dopo essere tornata da uno dei numerosi soggiorni a cui era costretta dalla famiglia in rehab costosissimi in giro per il mondo, Brigid si trasferì poco più che ventenne in una stanza del leggendario Chelsea Hotel, conosciuto per essere stato residenza fissa di personaggi come Bob Dylan, Janis Joplin, Allen Ginsberg e teatro di episodi storici come l’omicidio di Nancy Spongen, fidanzata di Sid Vicious, nella stanza numero 100. L’Hotel, oltre che essere casa, luogo d’incontro e studio di numerosissimi artisti, è stato anche protagonista di diversi libri, tra cui per esempio l’autobiografia Just Kids scritta da Patti Smith in ricordo degli anni passati al Chelsea insieme a Robert Mapplethorpe, o del breve testo The Chealsea Affect opera di Arthur Miller, anche lui residente per un lungo periodo. Facile quindi immaginare come il personaggio Brigid abbia preso parte attivamente al fermento artistico creatosi attorno all’Hotel, contribuendo dalla sua a renderlo la leggenda che oggi ricordiamo.

Come menziona Andy Warhol all’interno di Popism: «Brigid giurò di non essere mai tornata nella propria camera più di una volta alla settimana – il resto del tempo lo passava in camera di altri, correndo da una stanza all’altra…».

Il rapporto con Andy

Nonostante i due si fossero già incontrati prima in giro per New York, è solo nel 1964 che Brigid cominciò a legarsi a Warhol e a inserirsi nella scena della Factory. A partire dal 1964 fino ai tardi ’70, Brigid diventò una presenza fissa alla Factory – spesso aiutando anche come receptionist – e molti la ricordano come una delle figure più vicine ad Andy tra i facenti parte del suo circolo. Sono passate alla storia certe interviste rilasciate alla stampa dalla coppia, in cui Andy era solito evitare di rispondere a domande sul suo lavoro rivolgendosi a Brigid e dicendo: «Is that true, Brigid?». Fra queste è particolarmente nota per la sua irriverenza un’intervista rilasciata alla fine dei ’60 al TIME magazine in cui Warhol rivela come la vera autrice dei dipinti fosse Brigid – vero o no, sicuramente un’idea coerente con l’immagine provocatoria voluta da entrambi i personaggi.

Più che vedersi, Brigid ricorda come fossero soliti chiamarsi spesso: «Io e Andy non uscivamo così tanto spesso insieme, passavamo il nostro tempo insieme a parlare al telefono. Lui era solito chiamarmi la mattina e parlarmi della sua salute, sempre della sua salute. Penso che fossi per lui la “persona della salute”. C’erano altre persone che chiamava per argomenti diversi».

Tra Tit Prints e Cock Book: le opere di Brigid Berlin

Brigid era famosa per registrare quasi sempre le sue conversazioni telefoniche e andava particolarmente orgogliosa della loro qualità. Una in particolare fatta durante una performance dei Velvet Underground al Max’s era di qualità così alta, per l’epoca, che Atlantic la trasformò in un album, Live at Max’s Kansas City.

Alcune delle sue chiamate sono state in seguito parte di Chelsea Girls, un film del 1966 scritto e diretto da Andy Warhol ambientato al Chelsea Hotel. Nel 1968 Brigid realizzò al Bouwerie Lane Theatre una performance dal titolo Bridget Polk Strikes! Her Satanic Majesty in Person, in cui chiamava i suoi amici dal palco e trasmetteva le conversazioni live agli spettatori senza dire chi ci fosse dall’altra parte della cornetta.

Accanto alla collezione di telefonate registrate, Brigid diventò famosa anche per la mole di polaroid che scattava a sé e alle persone intorno a lei, come a voler documentare ogni momento della sua vita, o della scena. Si dice addirittura che fu per merito suo se Warhol cominciò a usare come medium la polaroid. Gerard Malanga, poeta e collaboratore di Warhol, ricorda in un’intervista rilasciata più tardi: «La sua intenzione era quella di collezionare in un qualche modo le persone. Se le dicevi che era un’artista, lei rispondeva di non esserlo. Sembrava che non prendesse sé stessa sul serio, ma paradossalmente lei invece si prendeva sul serio, solo che non lo mostrò fino a pochi anni fa».

È infatti solamente nel 2015 che è stato pubblicato Brigid Berlin: Polaroids, una monografia edita da Reel Art Press, contenente un’introduzione scritta da Bob Colacello, altro appartenente alla cerchia della Factory, che scrive: «La parola chiave è documentare. La necessità di Brigid di ribellarsi è sempre stata accompagnata dal desiderio di documentare le sue ribellioni. Testimoniando la nostra vita è riuscita a trattenerne il ricordo. Attraverso la rappresentazione delle sue stesse trasgressioni e autoindulgenze ha espresso profeticamente il narcisismo e l’esibizionismo, la brama di notorietà e la confusione che la stessa provoca e l’infamia che è ora alla base della cultura pop americana».

Nello stesso anno è stata organizzata, all’INVISIBLE-EXPORTS, galleria del Lower East Side ora chiusa permanentemente, una mostra sul lavoro di Brigid dal titolo “It’s All About Me”, curata da Anastasia Rygle. Per l’occasione vengono esposti alcuni fra gli scatti polaroid, diari, registrazioni telefoniche e le sue celebri Tit Prints (1966-96), realizzate cospargendosi il seno di pittura e poi appoggiandosi a un foglio in modo da imprimere la forma.

Passato alla storia è anche il famoso Cock Book, libro-leggenda che pochi hanno avuto fra le mani, un diario riempito di immagini di falli realizzate di volta in volta sia da Brigid che da artisti e personaggi famosi della scena artistica di New York. Da una conversazione di Brigid con Alex Jovanovich: «Lo portavo con me spesso quando andavo in giro la sera tardi, e di tanto in tanto lo davo a qualcuno per disegnarci dentro. Ma non mi è mai piaciuto tanto perché il più delle volte ero stonatissima e finivo per disegnarci io. Era diventato così pieno che non potevo più portarmelo dietro – era enorme. Quando l’ho messo in mostra al Gramercy Hotel International Art Fair nel 1995 era dentro una vetrina, e Lou Reed arrivò per vederlo, e poi Brice Marden venne a passarci anche lui un po’ di tempo. Richard Prince finì poi per comprarlo, il Cock Book».

Brigid fu anche la star di numerosi film di Warhol, tra questi Chelsea Girls (1966), Imitation of Christ (1967), Women in Revolt (1971), Ciao Manhattan (1972) e Bad (1977).

Vincent Fremont, amico di lunga data di Warhol, nel 2000 realizzò un documentario su Brigid, Pie in the Sky: The Brigid Berlin Story, e così la ricorda: «è stata un’artista sottovalutata. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa volesse essere. Era incredibilmente brava nel pensiero concettuale, e questo è quello che Andy apprezzò di lei. Era ossessiva, ma con un’immaginazione fuori dal comune. Poteva letteralmente farti fuori con la sua bocca».

Nata a Modena nel 1998, sta concludendo la laurea triennale in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo all’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano. Parallelamente ha lavorato come intern alla Collezione Maramotti a Reggio Emilia, e successivamente presso il Center for Italian Modern Art (CIMA) a New York.

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