La sua pittura densa e vorticosa ha ridefinito i linguaggi espressivi della seconda metà del Novecento, dando una forma ricca di emozioni al caos dell’esistenza contemporanea: Frank Helmut Auerbach è morto nelle prime ore di lunedì, 11 novembre, nella sua casa di Londra, all’età di 93 anni. Pittore tedesco naturalizzato britannico, Auerbach ha trasformato il dolore della sua storia personale in opere di rara intensità. «Abbiamo perso un caro amico e un artista straordinario, ma possiamo consolarci sapendo che la sua voce risuonerà per le generazioni a venire, ha dichiarato Geoffrey Parton, Direttore della Frankie Rossi Art Projects, galleria che rappresentava Auerbach. Sebbene il suo stile lo abbia spesso confinato entro un’ambigua posizione critica, Auerbach è considerato un punto di riferimento per la pittura contemporanea.
Figlio di Max Auerbach, avvocato, e di Charlotte Nora Burchardt, artista, Frank Helmut Auerbach nacque a Berlino il 29 aprile 1931. Da giovanissimo, a soli sette anni, Frank lasciò la Germania grazie al Kindertransport, l’iniziativa attraverso la quale il Regno Unito accolse quasi 10mila minori non accompagnati, prevalentemente ebrei, provenienti dalla Germania nazista e dai territori occupati, sistemandoli presso famiglie affidatarie, ostelli e fattorie. I suoi genitori morirono nei campi di concentramento, un dramma che rimase una ferita nella sua vita e che forse si tradusse nel carattere intensamente emotivo della sua pittura.
Auerbach trovò nell’arte una via per elaborare la sua identità e il suo passato. Studiò alla Saint Martin’s School of Art e al Royal College of Art ma fu sotto la guida di David Bomberg che sviluppò un approccio unico alla pittura. Condividendo questa esperienza con Leon Kossoff, Auerbach esplorò un linguaggio visivo che fondeva caos e ordine, stratificando il colore in pennellate dense e vibranti.
Londra, in particolare Camden Town, divenne la sua musa. Con una fedeltà quasi ossessiva, Auerbach rappresentò volti e paesaggi urbani, spesso concentrandosi su pochi soggetti ricorrenti, come Estella Olive West e la curatrice Catherine Lampert. La sua prima personale alla Beaux Arts Gallery nel 1956 lo introdusse sulla scena artistica londinese, ma fu con la retrospettiva alla Hayward Gallery nel 1978 e la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1986, dove vinse il Leone d’Oro insieme a Sigmar Polke, che si consacrò a livello internazionale.
Auerbach era noto per il suo processo creativo rigoroso: dipingeva, cancellava e ricominciava daccapo, un ciclo incessante di insoddisfazione e scoperta. Questo approccio non era privo di critiche: le sue tele degli anni Cinquanta, caratterizzate da strati spessi di colore, furono descritte come “ingombranti” e difficili da gestire. Tuttavia, con il tempo, questa tecnica divenne il suo marchio distintivo, un modo per “imporre ordine nel caos” del mondo, come lui stesso amava dire.
Auerbach si confrontò con la grande tradizione pittorica europea, dialogando con i maestri come Rembrandt e Tiziano ma il suo linguaggio pittorico restava radicato nella modernità. Le sue opere, dense di tensione emotiva e fisicità materica, sono state celebrate in mostre internazionali, tra cui la retrospettiva alla Tate Britain (2015-2016), co-curata da Catherine Lampert. Recentemente una sua mostra alla Courtauld Gallery, The Charcoal Heads, dedicata a una serie di teste-ritratto di grandi dimensioni realizzate a carboncino, era stata accolta con grande succeso di pubblico e di critica. Sempre nel 2024 era stato protagonista anche di una mostra in Italia, a Palazzo da Mosto di Venezia, con 11 dipinti a olio, tutti provenienti da collezioni private ed esposti di rado, tra il 1969 e il 2016.
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