Storico dell’arte, scrittore, editore, poeta, trozkista, imprigionato e torturato, amante del dadaismo e del surrealismo, collezionista e, in particolare, fiero avversario di tutte le etichette, come chi è stato tante persone in una sola vita, Arturo Schwarz è morto nella notte tra il 22 e il 23 giugno, all’ospedale San Martino di Genova, all’età di 97 anni, compiuti il 3 febbraio scorso. La notizia ci è stata confermata da fonti vicine alla famiglia.
Nacque ad Alessandria d’Egitto, nel 1924, da padre ingegnere tedesco e madre italiana, e lì visse fino al 1949, fondando la libreria Culture e la casa editrice Progrès & Culture. Tra i libri che avrebbero segnato la sua vita, Le revolver à cheveux blancs e il Manifeste du surréalisme di André Breton, letti per la prima volta a 16 anni. Tra i principali animatori della sezione egiziana della Quarta Internazionale trozkista, per la sua attività politica fu arrestato, internato per 18 mesi in una cella sotterranea nel carcere di Hadra e torturato, prima di essere espulso dal Paese. Dopo l’espulsone poté scegliere di andare in Israele o di trasferì in Italia. Scelse questa seconda strada, assumendo la cittadinanza italiana, e si stabilì a Milano. Il suo primo impiego fu in una ditta che fabbricava carta da giornale per conto di una società svedese. In quel periodo durante un viaggio a Parigi, incontrò Breton e, tornato a Milano, fondò una sua casa editrice, iniziando a pubblicare i libri di giovani poeti come Elio Pagliarani, Antonio Porta, Mario Luzi, Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo. Proprio per le sue scelte editoriali entrò in contrasto con Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano. In particolare, lo scontro aperto tra i due scoppiò a seguito della pubblicazione di La rivoluzione tradita, saggio di Lev Trockij del 1936, corredato da una fascetta gialla con la frase «Stalin passerà alla storia come il boia della classe operaia».
Vastissimi i suoi interessi, dalla kabbalah al tantrismo, dall’alchimia all’anarchia, con una predilezione per l’arte di tutti i tempi, preistorica, tribale e contemporanea. Amico di personalità come Elio Vittorini, Enrico Baj, Sergio Dangelo, Franco Francese, Alik Cavaliere, a Milano fu tra i principali animatori della scena culturale e artistica, unendo all’attività editoriale anche quella espositiva, prima nella sua libreria in via della Spiga, dal 1954 al 1961, quindi in una galleria in via Gesù che sarebbe diventata storica per le sue mostre, attiva fino al 1975. Fondamentali le personali dedicate a René Magritte, Man Ray, Sebastián Matta, Miró, Marcel Duchamp, Max Ernst, Francis Picabia. Altrettanto importanti i cataloghi e i saggi, pubblicati a ritmi rapidissimi, così come le raccolte di poesia. È stato il primo, in un suo libro su Man Ray, a rivelarne il vero nome, Emmanuel Radnitzky.
Completissima anche la sua collezione di opere d’arte, donata in parte – 450 opere – alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, in parte ai musei di Gerusalemme e di Tel Aviv. Mentre alla città di Be’er Sheva è stata destinata l’intera raccolta di 550 grafiche, tra cui quelle di Jasper Johns, Robert Rauschenberg e Odilon Redon.
È stato honorary fellow dell’Israel Museum di Gerusalemme e del Tel Aviv Museum of Art, membro fondatore della Università Ben Gurion del Negev e, nel 1996, gli è stata conferita dall’Università di Tel Aviv la laurea honoris causa di Doctor Philosophiae in riconoscimento della sua attività culturale. Nello stesso anno gli è stato attribuito il Premio Frascati per la sua attività nel campo della poesia. Il 6 marzo 1998 gli è stato conferito il “Diploma di Prima Classe con Medaglia d’oro ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte” dal Presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro, su segnalazione del ministro Walter Veltroni.
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