“Ah”, oltre a essere un’esclamazione che in questo caso esprime disappunto, è il titolo della prima personale fuori dall’Italia di Stefan Milosavljevic, artista di origini serbe di base a Vicenza, alla Galleria Daniele Agostini di Lugano. Neanche il tempo di inaugurarla, il 7 marzo scorso, che la dogana con l’Italia è stata chiusa per l’emergenza da Covid, ed è stata riaperta solo il 15 giugno.
Questa difficile situazione, che ha visto l’impossibilità della fruizione della mostra da parte degli italiani – oltre al periodo di chiusura totale della galleria dovuta al lockdown – è stato il pretesto per avviare un dialogo con l’artista e il gallerista Daniele Agostini, sulla gestione del problema in Svizzera e sulle riflessioni emerse a riguardo.
Com’è la situazione dell’arte contemporanea in Svizzera? Che tipo di finanziamenti sono stati dati e che ruolo hanno avuto enti come la Pro Helvetia durante l’emergenza epidemiologica?
Daniele Agostini «Art Basel 2020 è stata annullata e sicuramente è un piccolo terremoto per l’arte contemporanea in Svizzera, perché essendo la fiera più importante al mondo è in grado di muovere un pubblico internazionale che dalla seconda settimana di giugno si riversa a Basilea attivando poi un grand tour verso città come Zurigo e altre mete vicine.
La fiera è anche l’occasione in cui vengono annunciati i vincitori degli Swiss Art Awards, il più antico premio d’arte al mondo, organizzato dall’Ufficio federale della cultura, dove i giovani talenti espongono in un padiglione vicino alla fiera, kermesse che seguo sempre con interesse dato che mi occupo principalmente di artisti emergenti. Al di là di una fruizione digitale, spero che abbiano anche quest’anno l’occasione di esporre presso uno spazio fisico.
Per tutto il 2020 si tratta sicuramente di lavorare molto con il pubblico locale e anche per quanto riguarda le mostre future ci sarà, in generale, un focus sulla Svizzera, anche perché, oltre alla difficoltà e ai timori da parte delle persone per spostarsi fra Stati, il trasporto delle opere d’arte potrebbe risultare problematico. Io stesso ho dovuto annullare una mostra in programma a maggio nella quale dovevano partecipare due artiste americane e una giapponese che vive a Parigi, e ho appena deciso di riaprire dopo l’estate con due mostre personali dedicate a due giovani artisti svizzeri.
Per quanto riguarda i sostegni emanati dal governo, unicamente gli artisti iscritti come indipendenti hanno potuto richiedere un contributo e ottenere la cosiddetta indennità di perdita di guadagno, come qualsiasi persona che svolge un’attività indipendente.
Purtroppo la Svizzera, sebbene sia una nazione molto ricca, non ha adottato un piano di aiuti diretti verso questa categoria, come invece ha fatto la Germania, penso sia stata un’occasione mancata. Pro Helvetia si è attivata creando un bando di concorso, Close Distance – cercasi nuovi formati, aperto a tutte le discipline artistiche».
Lugano, oltre ad essere il terzo polo finanziario del Paese, è il principale centro urbano della Svizzera Italiana. Come è stata vissuta la situazione di chiusura dei confini con l’Italia?
DA «Dal 3 giugno gli svizzeri possono recarsi in Italia per turismo o per andare a trovare famigliari o conoscenti e dal 15 anche gli italiani hanno la possibilità di entrare in Svizzera (per motivi lavorativi non è mai stato impedito, dal momento che in Ticino lavorano più di 60,000 frontalieri), c’è dunque una riapertura totale.
Il confinamento in realtà è andato presto a combaciare con il perimetro della propria abitazione, più per un senso civico che per restrizioni obbligatorie che qui in Svizzera non sono state così pesanti come in Italia. Detto questo, con i primi allentamenti, la chiusura della frontiera si è fatta sentire. Non è mancato un senso di claustrofobia, perché per me, come per altri, è un’azione abituale attraversare le dogane, io risento della cultura italiana, perché sono italofono, perché ho studiato in Italia e perché geograficamente gravito attorno a Milano».
Amalia Nangeroni, nel catalogo della tua personale “Ah” alla Galleria Daniele Agostini, fa riferimento al concetto di campo dell’exformale definito da Nicolas Bourriaud, inteso come luogo in cui si svolgono le trattative di frontiera fra chi è escluso e chi è accolto. Può questo concetto legato alle tue opere essere esteso anche alla situazione che stai vivendo?
Stefan Milosavljevic «Io opero con ciò che è stato desiderato tanto e poi abbandonato, come se l’impulso creativo avesse qualche aspetto maniacale e talvolta schizofrenico. Lavoro ogni giorno con oggetti e pensieri vecchi, distrutti, dimenticati e soprattutto paralizzati in un certo momento-spaziale del passato. Ma alla loro nascita questi oggetti sono stati investiti da un desiderio quasi genitoriale che ha portato qualcuno in un posto in particolare a estrarre un cubo deforme e pesante da una montagna, il quale successivamente è stato portato in un altro luogo per essere diviso in forme geometriche semplici e poi gli è stato dato un nuovo aspetto, che doveva soddisfare un’esigenza di chi ne ha avuto il desiderio.
Nasce così un tavolo in marmo Nero Marquina con dettagli in bronzo spazzolato e profili di ottone lucido. Le mie opere parlano dell’esclusione di chi non ha più nessuno che ne eserciti cura, di chi non può più marciare secondo i ritmi delle tendenze e di chi è rimasto senza un significato.
A questi oggetti rimane probabilmente sola una poesia intrinseca e credo che in questo ci sia una sorta di similitudine con quello che è la vita personale. Trovo molto interessante che i miei lavori ora si trovino distante da me e che non ci sia modo di entrarvi in contatto per via delle frontiere chiuse. Mi dà la sensazione di essere genitore di figli ora maggiorenni».
In base alla tua esperienza, in che modo il lavoro di un artista viene influenzato dagli agenti esterni? E come si relazionano con gli stimoli interni?
SM «Gli agenti esterni come i cambiamenti radicali della società influenzano anche la sensibilità degli artisti, che assorbono queste trasformazioni e poi a loro volta le liberano tramite i propri lavori. Il dubbio sta nel definire e regolare queste suscettibilità che permettono all’esterno di completare e in un certo senso confezionare l’interno.
Credo che il non tenere conto di ciò che ci circonda ci fa operare su un piano ideale, infinito e falso, ma allo stesso tempo l’artista non è una stazione di rimbalzo di informazioni e di segnali, bensì ne è il creatore, e questo comporta responsabilità sul piano etico e politico».
Una riflessione sulla collaborazione fuori confine.
DA «Abitando in una zona di confine – Chiasso dista solo 30 minuti da Lugano – e in un paese dove vi sono quattro lingue nazionali e quindi zone culturali di influenza, il confine, anche linguistico, è qualcosa che viviamo in maniera quotidiana».
SM «Ho sempre temuto i confini, credo soprattutto per questioni legate alla mia infanzia essendo nato fuori dalla comunità europea. Avere modo e libertà di lavorare sempre più distanti da casa è sicuramente un sintomo di crescita che comporta molta soddisfazione, soprattutto per un giovane artista come me.
Durante i mesi del lockdown, con le frontiere chiuse, mi sono ritornate in mente vecchie riflessioni adolescenziali e credo che per il mio lavoro migrare sia diventato sempre di più una necessità primaria. Con Daniele abbiamo fatto questo passo inaugurando la mia prima personale “Ah”, fuori dal territorio italiano con grandi soddisfazioni e nuovi progetti per i prossimi anni».
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