Categorie: Personaggi

Amo le donne e ho a cuore la gentilezza, parola di Letizia Battaglia

di - 2 Marzo 2020

Un temperamento che non lascia scampo, come ogni suo scatto. Letizia Battaglia, fotografa di fama mondiale, per il New York Times è «una delle undici donne che hanno segnato il nostro tempo». Ha denunciato la criminalità e raccontato la durezza della sua terra, in Sicilia, come prima donna fotoreporter di un quotidiano italiano: L’Ora di Palermo.

Ha parlato per anni di dolore e morte, ma oggi dichiara di voler celebrare il nudo femminile. Le interessa solo il futuro e sottolinea di non essere lesbica. Per lei le donne dovrebbero governare il mondo, perché le uniche capaci di amare.

In questa intervista non vuole parlare di mafia. È stanca del passato e desidera soltanto vivere di entusiasmo. Per questo ci racconta molto di più, confessando cosa sia per lei l’amore e quanto ancora ci sia da fare perché i ragazzi siano davvero felici. Sulla scuola e i docenti interviene in modo severo. Una sola parola: disamore. Il 5 marzo compirà 85 anni e continua a detestare le etichette. Lei è Battaglia di nome e di fatto – ma per tutti è straordinariamente Letizia.

Letizia Battaglia, Bambini, Festa dei morti

Attualmente lei è presente con una selezione di scatti nello spazio espositivo Magazzini fotografici, situato nel centro storico di Napoli. Che rapporto ha con questa città?

«Napoli è un luogo in cui ho vissuto da bambina, durante la guerra. Soffrivamo e per mangiare usufruivamo delle cosiddette “tessere della fame”. Sono molto legata a questo ricordo. E poi Napoli è una città che amo, è bella, interessante. Mi è piaciuto portare alcuni miei scatti ai “Magazzini fotografici”, i responsabili sono molto bravi. Lo spazio si trova in una strada piccola di un quartiere “non chic”. Per me ha contato molto, una scelta importante».

La presenza a Napoli, l’ha vista protagonista anche di un workshop. Un momento d’incontro in cui accade sempre qualcosa.

«Sì, sono stata affascinata da quell’esperienza. Una ragazza molto grassa – non lo dico con tono dissacrante – quel giorno ha chiesto di fare da modella. Ha spinto me e la squadra di fotografi a rivoluzionare il nostro lavoro. Avevamo lì anche un’altra figura femminile corrispondente ai canoni estetici proposti dal tempo in cui viviamo. Eppure quella giovane si è offerta a noi così, autentica nella sua essenza. L’abbiamo fotografata con rispetto, con l’attenzione che merita chi dichiara apertamente di non piacere all’uomo che ama, perché grassa. Per me è stato come immortalare la natura. Un workshop magico, un momento artistico politicamente e socialmente unico».

Tutte le sue scelte personali e professionali hanno come fil rouge una grande attenzione per l’espressione della femminilità. Lei ha combattuto per la difesa dei diritti come assessore a Palermo, nella giunta comunale Orlando, e come fotoreporter è stata la prima donna europea a ricevere il prestigioso Premio Eugene Smith a New York. Oggi, per essere davvero rivoluzionarie, cosa dovrebbero fare le donne?

«Intanto decidere di non fare più le sciocche e occuparsi della propria crescita intellettuale. Crescere in tutti i sensi, pretendendo da se stesse l’espressione massima delle proprie possibilità. Credo sia giunto il tempo, per il mondo femminile, di non soffermarsi più soltanto sulla richiesta dei diritti. Bisognerebbe riappropriarsi, piuttosto, del dovere di governare il mondo, sfuggendo ai binari solcati dal pensiero maschile. C’è bisogno di noi per natura, perché siamo più gentili, più amorose. E gli uomini non sanno amare, desiderano solo il possesso. Essere donne rivoluzionarie significa dunque questo: avere rispetto per se stesse e gli altri e gestire la vita senza sotterfugi».

Palermo 1978. La donna ed i suoi bambini stanno sempre a letto. In casa non ci sono ne luce ne acqua.

C’è molta enfasi nelle sue affermazioni. Si percepisce una grande carica emotiva.

«Sono molto arrabbiata per tutto quello che stiamo vivendo e per come si permette che le cose vengano gestite. La gente è ignorante, non studia. Ci facciamo prendere in giro».

A proposito di studio. Cosa ne pensa del nostro sistema scolastico?

«Credo che i professori siano per la maggior parte annoiati e disamorati. Non c’è fascino nella scuola di oggi. Qualche insegnante bravo – qualche Don Milani – esiste ancora da qualche parte, però si perde nell’insieme. Tanti docenti sono motivati da un iniziale entusiasmo, destinato poi ad afflosciarsi letteralmente all’interno di un sistema che non funziona. I ragazzi vanno sedotti e c’è un momento preciso in cui lo sono per davvero: quando si parla loro del futuro, di un avvenire meraviglioso. Bisogna lottare. Andare avanti e stimolare un mondo diverso. Mi piacerebbe vedere degli scioperi di massa».

Lei è stata molto forte, come donna e come professionista. Ha cercato e protetto l’essenza a discapito dell’apparenza. Per questo ha detestato le etichette…

«Esatto. Sono stata deputato regionale in Sicilia e non ho mai preteso di essere chiamata “onorevole”, come si conviene a tutti coloro che – da noi – diventano appunto deputati. È per questo che tutti continuano a chiamarmi Letizia, semplicemente. Non mi importa dei titoli, della fama, del successo. Giuro, davvero nulla. Tengo alle piccole cose: all’amore, al rispetto, alla gentilezza. Sì, ho a cuore la fragile gentilezza. E insisto nel dirlo: le donne vengono spesso bloccate, ostacolate nel loro lavoro perché hanno cultura, preparazione, sensibilità. Occorre proteggerle, poiché spesso si tende a scavalcarle».

Letizia Battaglia, Omicidio targato Palermo, 1975

E Lei si è sentita protetta?

«(Apostrofa duramente, poi riprende fiato). Mai, no! Prima perché ero giovane e carina, poi perché ero donna, poi perché ero brava. Quando ho fatto la fotografa per il quotidiano L’Ora di Palermo, non ho mai ricevuto un complimento per i miei scatti. Oggi, quelle stesse foto sono nei musei. Io piangevo…No, non sono stata mai protetta. Figurati, anni fa una fotografa non era considerata niente. Però ho avuto un talento di perseveranza verso il lavoro e i diritti. Non sono mai stata una “bacchettona” e la mia vita l’ho vissuta appieno, anche scandalosamente. Poi è arrivato anche il giorno in cui sono riuscita a impossessarmi di me stessa, a scoprire Letizia nella sua totalità, ma erano ormai già passati molti anni».

Tra le sue foto presenti nei musei, c’è anche quella che ritrae l’arresto di Leoluca Bagarella. Che ricordo ha di quel giorno?

«Che noia, quei ricordi. Oggi vivo interessandomi soltanto del futuro. Ricordare Bagarella, quel calcio che mi diede facendomi cadere all’indietro, ormai è un altro mondo. Ora dirigo il Centro Internazionale di fotografia a Palermo, all’interno dei Cantieri culturali alla Zisa e mi dedico al nudo femminile».

Si può dire ormai lontana da quella memoria fatta di arresti, delitti e faide mafiose?

«Io non sono solo lontana. Sono predisposta al futuro. Anche se ho quasi ottantacinque anni, non mi lego al passato. Le foto che ho scattato e che raccontano la Palermo sotto il fuoco della mafia sono esposte in tante gallerie e musei, ma io, Letizia, voglio andare avanti, voglio fare parte della ricostruzione di un mondo nuovo. Per questo fotografo le donne nude, senza sovrastrutture, prive di brillanti e vestiti alla moda».

Letizia Battaglia, Vicino la Chiesa di Santa Chiara. Il gioco dei killer 1982 Palermo © Letizia Battaglia

Cosa rappresentano, oggi, i corpi femminili da lei osservati?

«La bellezza, quella autentica. I corpi delle donne non sono perfetti come quelli delle modelle, tutte “ritoccate” e stereotipate. Le donne sono altro, hanno le pieghe e sono bellissime nel loro esprimere la vita. Il seno prima è duro e poi diventa un po’ più molle. È così. Vorrei che tutte capissero che è importante non rimanere ingabbiate in un modello. Vorrei che si fuggisse da quelle diete che non funzioneranno mai e che vincolano tante ragazze a restare chiuse in casa, in attesa di una trasformazione fisica. Vorrei osannare in tutti i modi la donna, vestita e nuda. Fotografarla non è solo una spinta artistica, ma un’operazione politica. E lo faccio con gioia e orgoglio, perché prima ci hanno condannate ad essere quello che volevano gli uomini, ora invece siamo quello che vogliamo noi».

In ogni sua scelta, come in ogni suo scatto, si innesta dunque un vero e proprio atto d’amore.

«Assolutamente sì. Credo sia questo il rapporto che noi donne dovremmo avere nel mondo, per tentare di aggiustarlo un po’. Tornare a considerare l’amore come un sentimento lontano dall’uso che se ne fa nelle poesiole. L’amore è profondità, non superficialità. Direi essenza. Io non sono lesbica, ma sono certamente complice delle donne, un’alleata. Perché tutte noi siamo un piccolo grande esercito di persone che hanno bisogno di essere rivalutate».

Letizia Battaglia

Magazzini Fotografici

Via San Giovanni in Porta, 32 – Napoli

13 dicembre/8 marzo 2020

Orari apertura

dal mercoledì al sabato: dalle 11:00 alle 19:00

domenica: dalle 11:00 alle 14:30

Nata a Giulianova nel 1978 è docente di Lettere, giornalista e critico d’arte. Laureata presso la Facoltà di Lettere dell’Aquila, si specializza alla Luiss di Roma in Management culturale. Collabora con il quotidiano di Teramo La Città, in vendita nelle edicole in allegato a Il Resto del Carlino. Per la Di Felice Edizioni dirige la collana d’arte Fili d’erba, e collabora con la Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture di Castelbasso. Su Radio G Giulianova cura la rubrica d’arte Colazione da Alessandra.

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