Carmen Covito è nata a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, vive e lavora a Milano. Il romanzo d’esordio, La Bruttina stagionata, meritò, nel 1993, il Premio Bancarella. La trama è stata in seguito la base di un film e di un monologo teatrale. Ha altri romanzi al suo attivo e con Aldo Busi ha intrapreso una proficua collaborazione che l’ha vista coautrice di traduzioni letterarie. Da un mese, pubblicato da Mondadori, è disponibile in libreria il suo ultimo romanzo: La rossa e il nero.
Uno spaccato di vita reale in cui emerge come l’ambiente in cui si cresce sia determinante per la formazione della personalità di ognuno, sia che con esso si crei un rapporto “pacifico”, sia che generi quella necessità di allontanarsene alla ricerca di un passato che non c’è più, in cui ci si
Perché l’archeologia nel tuo romanzo?
Perché tutti i romanzi che ho letto su questo tema o erano polpettoni di avventura senza alcuna base scientifica o erano romanzi storici. Non avevo ancora trovato un romanzo che fosse ambientato in cantiere di scavo vero, e di oggi. Perciò ho deciso di scriverlo io. Credo che la vera archeologia sia molto più affascinante e “romanzesca” di tutte le scemenze irrazionalistiche che vanno di moda adesso (per intenderci: gli accrocchi fra extraterrestri e piramidi mi fanno rabbrividire dal disgusto). Spero che il mio romanzo lo dimostri. Ho voluto scrivere una storia che fosse divertente, animata, piacevole, ma basata su dati rigorosamente verificabili.
La documentazione accurata che è alla base di La rossa e il nero è legata al romanzo o ha origini più profonde?
E va bene, confesso: avrei voluto fare l’archeologa io stessa… E invece mi sono laureata in filosofia e poi ho fatto altre cose, ma l’archeologia mi ha sempre attirata, così appena ho potuto (a 50 anni…) mi sono messa a studiarla. Poi ho avuto l’occasione fortunata di poter seguire due campagne di scavo in Siria, non dell’università di Parma, naturalmente: quella è un’invenzione letteraria, così come è del tutto inventato il sito di Tell Mabruk dove si
Quanto l’essere nata a Castellammare di Stabia ha influito nella tua vita?
Tanto quanto l’essere nata a Scafati influisce sulla vita di Cettina. Lei è a due passi da Pompei, io ero proprio in mezzo alle ville romane di Stabia, anzi dovrei dire “sotto”, perché le ville sono sul pianoro di Varano che domina la città. E insieme a Pompei e a Ercolano hanno dominato la mia fantasia, da ragazzina. E anche adesso. Ogni volta che torno a casa dei miei per le vacanze non manco mai di fare una visita a questo o a quel sito vesuviano: c’è sempre tanto da rivedere o vedere, per esempio Oplonti l’ho scoperta solo da poco e l’estate scorsa ho visitato il bellissimo recupero del rione Terra di Pozzuoli.
Sulla sovraccoperta del tuo libro un particolare di una foto scattata nel 1933, una chicca per gli archeologi…
Sì, quella foto piace molto anche a me. In effetti un altro tema portante del romanzo è ciò che definirei la preistoria dell’archeologia mediorientale: da Layard a Leonard Woolley, credo di aver citato quasi tutti i padri fondatori… E naturalmente ho citato moltissimo Agatha Christie, che proprio negli anni Trenta, dopo aver sposato Max Mallowan, cominciò una straordinaria attività di fotografa e restauratrice che fu messa in ombra dalla sua enorme fama di giallista: solo oggi, dopo la mostra dedicatale dal British Museum, ne viene riconosciuta l’importanza per la documentazione di quegli anni.
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manuela esposito
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