Categorie: Personaggi

Arte, tecnologia e innovazione post-Covid 19. Intervista a Valentino Catricalà

di - 30 Aprile 2020

Ricostruzione post-Covid 19, tra innovazione e sostenibilità, in primis ambientale. È il nuovo paradigma che guida, o dovrebbero guidare, le task force governative che sono state chiamate a condurci fuori dall’emergenza, non solo sanitaria, in atto. Al riguardo, gli artisti che operano con la tecnologia e la ricerca scientifica già da tempo hanno indicato alcune strade. Ne parliamo con Valentino Catricalà, studioso e curatore d’arte contemporanea specializzato nell’analisi del rapporto degli artisti con le tecnologie e con i media, in uscita con il suo ultimo libro sul tema: The Artist as Inventor. Investigating Media Technology through Art (Rowman & Littlefield, Londra 2020).

Occorre, naturalmente, sempre ricordare che il fine degli artisti che operano in questo ambito non è mai l’invenzione della tecnologia in sé…

«Certo, ma nel raggiungere la propria visione questi artisti sperimentano con tecnologie producendo anche innovazione. In questo modo gli artisti aprono a nuove interpretazioni più sostenibili, parlandoci di temi quali l’antropocene, i cambiamenti climatici, l’hyperintelligence, e molto altro. È questo il momento storico per dimostrare che, oltre l’assistenzialismo per gli artisti, è l’artista piuttosto che può assistere lo Stato. Lo Stato ne ha bisogno più che mai. Perché nella task force del governo non c’è un artista? Perché non ci sono piani di inclusione di artisti in progetti di innovazione tecnologica o scientifica? Ora è il momento di dimostrare che l’artista è un motore fondamentale per la società. Abbiamo una grande ansia per il futuro, un’ansia che si tramuta in bisogno, necessità di sapere. Ascoltiamo, leggiamo, cerchiamo di avere qualche appiglio, seppur immaginario, per avere un minimo di orientamento. Dopo lo shock iniziale della pandemia, è tempo ora di iniziare a crearlo questo futuro. Per fare ciò, è necessario trovare una nuova visione, un modo per vedere le cose diversamente. Qui diviene fondamentale il ruolo degli artisti».

Hito Steyerl, Power Plant, Serpentine Gallery, 2018

Per fare ciò non c’è anche bisogno, però, di una nuova idea di artista?

«Sì, certamente, è essenziale. Oltre il sistema dell’arte, l’artista deve ritrovare quella sua funzione attiva all’interno della società; a mio avviso, questo è evidente, oggi, nel rapporto che gli artisti instaurano con la tecnologia e l’innovazione. L’artista che lavora con la tecnologia, non solo inventa contenuti per il mondo dell’arte, ma produce innovazione, si inserisce all’interno dei processi di produzione e ideazione dell’innovazione tecnologica. Dona nuovi orientamenti e nuova conoscenza. L’artista oggi lavora in team con ingegneri e scienziati, in dipartimenti scientifici, in aziende del settore tecnologico. Questo è ciò che spinge il mercato dell’innovazione tecnologica a essere sempre più interessato al coinvolgimento degli artisti nei processi produttivi delle aziende. Moltissime aziende hanno iniziato a introdurre residenze d’artista, a diffondere le proprie tecnologie specificatamente agli artisti, permettendo loro di sperimentare con tecnologie spesso costose e ancora non accessibili. Si pensi alle residenze di Microsoft, Google, Adobe; a quello che stiamo cercando di fare con il Sony CS Lab di Parigi e la Maker Faire-The European Edition; e poi ci sono anche il CERN di Ginevra e molti altri dipartimenti scientifici in giro per il mondo attivi in questo ambito. Luoghi che prima non erano minimamente interessati all’arte, ora lo sono. Da qui sta nascendo un’altra figura dell’artista, in favore di una figura professionale più imprenditoriale. Il mondo dell’arte ha iniziato a interessarsi a questo settore senza, però, una vera e propria ricerca alle spalle».

Ian Cheng, Emissary 2018

Qual è il contributo concreto che apporta un artista in un gruppo di lavoro tra ingegneri e scienziati?

«Ti rispondo con qualche esempio. Nel 1979, il regista e artista Michael Neimark entrò nel team dell’ingegnere Andrew Lippman al MIT, proponendo una nuova idea per l’orientamento visivo all’interno di una città. Nacque così l’Aspen Movie Map, la prima mappa interattiva di una città, antesignano di Google Street View (se si paragonano le due immagini, sono praticamente identici!). Cosa è accaduto? Per raggiungere la sua idea estetica, un artista in un dipartimento di ricerca, crea un medium nuovo che anticipa di trent’anni una tecnologia immessa sul mercato. Lo stesso è accaduto alla fine degli anni Novanta con il Tenori On di Toshio Iwai, concepito dall’artista giapponese con la Yamaha: un controller, come il launch pad, per la generazione di suoni e musica in tempo reale. Gli esempi nel passato sono molti, da Nam June Paik e l’invenzione del primo sintetizzare nel 1969, alle macchine visive dei Vasulka, ecc. La differenza con ieri, è che oggi questo è sempre più evidente e strutturato all’interno delle aziende. Per un artista, infatti, un conto è avvalersi di una consulenza scientifica o tecnica, un conto è essere inglobato all’interno dei processi di ricerca e produttivi stessi. Per fare altri esempi, pensiamo al progetto Aerocene di Tomàs Saraceno, che ha aiutato gli scienziati a ripensare il rapporto arte e atmosfera; a Ian Cheng, che ha prodotto un software per la creazione di organismi a intelligenza artificiale; ad Antoni Abad e alla sua app blind.wiki per i non vedenti. O, ancora, a una società di produzione di Realtà Virtuale come Acute Art che ha chiamato un curatore come Daniel Birnbaum coinvolgendo artisti quali Marina Abramovic, Jeff Koons, Jakob Kudsk Steensen. Concepito in questo modo, l’artista non si limita più solo a farci riflettere sulla nostra contemporaneità, ma diventa un vero e proprio motore per la società, mostrandoci una idea più sostenibile di innovazione, di progresso ed economia, aprendoci a nuove interpretazione del mercato, dello sviluppo tecnologico e del ruolo dell’uomo nella società».

Aspen Movie Map, Michael Neimark, fine anni ’70

E in Italia ti sembra che ci sia un buon territorio per quanto riguarda il rapporto più generale tra arte e tecnologia?

«Sì, ma senza dei veri e propri fondi strutturati, né progetti da parte di istituzioni. L’Italia rimane un po’ fuori da questi circuiti internazionali, non solo per una certa dose di esterofilismo, ma soprattutto perché lavorare con la tecnologia costa e il reperimento di fondi è un problema.

Comunque, per venire alla ricerca nostrana, penso agli ultimi lavori di Daniele Puppi, che ha iniziato una collaborazione con la Bright Sign di San Francisco, o a quelli di Luca Pozzi, che ha sviluppato un progetto al Cern di Ginevra, o di Donato Piccolo con i progetti di intelligenza artificiale nei dipartimenti universitari, di Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, che da anni in questo ambito conducono collaborazioni con le aziende, o di Davide Quayola operativo invece con imprese del settore della robotica. L’artista in questo modo dà una nuova interpretazione dell’innovazione, più etica e sostenibile, ne critica i presupposti e ne mostra la faccia nascosta. Penso, fra i molti, al lavoro di Elisa Giardina Papa, di Paolo Cirio, di Eva e Franco Mattes. Bisognerebbe, poi, aggiungere tanti altri artisti che, con il loro lavoro, ci aiutano a rileggere il mondo della tecnologia e dell’innovazione, come Roberto Pugliese, Alessandro Sciaraffa, Arcangelo Sassolino, Giuliana Cuneaz con il suo ultimo lavoro in 3D, Chiara Passa, Kamilia Kard, None Collective e molti altri».

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Tag: Alessandro Sciaraffa Arcangelo Sassolino Daniel Birnbaum Daniele Puppi Davide Quayola Elisa Giardina Papa Eva e Franco Mattes Ian Cheng Oriana Persico Roberto Pugliese Salvatore Iaconesi valentino catricalà

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