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19
gennaio 2020
Bologna, la mia radice arteriosa: intervista a Sissi con Jacopo Benassi
Personaggi
Anteprima oggi, a Palazzo Bentivoglio di Bologna, della mostra di Sissi, “Vestimenti”, a cura di Antonio Grulli. Abbiamo intervistato l'artista (la versione completa la trovate su Exibart 107) con la partecipazione del fotografo Jacopo Benassi, per raccontarvi anche di una performance speciale
Quando lo scorso novembre, al Bunker di Torino, ho visto la performance Rollers (organizzato da Francesca Minini e Tiziana Di Caro) in cui Sissi disegnava lo spazio del club in una danza ipnotica illuminata solo dai flash direttissimi di Jacopo Benassi, e le ruote dei suoi pattini scandivano il ritmo dell’azione, ho pensato che per “incalzare” – quando si tratta di lavorare live – basti eliminare le sovrastrutture. E, dalla parte del pubblico, partecipare sentendo l’azione: Rollers è un cuore che pulsa, la meccanica di una “macchina” che tuona il proprio rumore, l’entropia di un colpo di luce secco che spiana le rughe e dilata le pupille. Tutti alieni, coinvolti in una danza tribale metropolitana.
Un rituale che esplora anche il concetto di esibizione in senso lato, e dove il flash nel buio e senza intermezzi resoconta anche – nella dimensione contemporanea dell’ossessione per l’immagine perfetta – una necessità di incontro con la realtà a una maggiore intensità, e con una minore mediazione di filtraggi.
«A Torino è stata la seconda di Rollers; la prima invece era stata a Sarzana, durante la mostra di Lorenzo D’Anteo, nello spazio che utilizza Cardelli & Fontana. Avevamo deciso di organizzare due eventi, uno di Kinkaleri e uno dove io e Sissi avremmo fatto qualcosa insieme, perché era da tempo che volevamo lavorare a quattro mani», racconta Benassi.
Che è spezzino, ma che con Bologna ha un rapporto tanto recente quanto inteso. La sua mostra “Bologna Portraits”, lo scorso anno sempre a Palazzo Bentivoglio e sempre curata da Antonio Grulli, è stata forse il più bel ritratto fatto in tempi recenti alla città intesa come agglomerato umano.
«Volevamo fare qualcosa insieme – mi dice Sissi – perché da parecchio tempo Jacopo indaga il corpo attraverso la fotografia, il ritratto e l’autoscatto. Una pratica che è vicina a un mio “segreto” quotidiano: ogni giorno infatti mi fotografo vestita, prima di uscire, per documentarmi. Ma mentre il mio è un modo di scattare che definirei “tecnico-archivistico”, quello di Jacopo è invece un momento diretto, senza intermediazioni. Volevamo attivare la sua sperimentazione con il mio modo di vestire, ma non volevamo che le parti rimanessero isolate, che si trattasse solamente di reportage.Con Rollers siamo riusciti a compenetrare le nostre due pratiche: l’azione del corpo viene svelata solo attraverso lo scatto».
Per chi non l’avesse visto c’è infatti da dire che Rollers si svolge completamente al buio, ma oltre al bagliore del flash che scandisce il movimento di un attimo. C’è una potente partitura sonora data dal passaggio dei pattini su una serie di lastre di metallo “microfonate”. «Mi sono attrezzato con campionatori ed effetti di chitarre, e alla fine la base sonora dell’azione diventa molto riconoscibile. Sissi, passando con i pattini, crea il suono. Il pubblico è rimasto molto colpito», dice Benassi.
Parliamo di Bologna. Sissi ci sei nata, continui a viverci e a lavorarci. L’ultima grande mostra, “Manifesto Anatomico”, ai Musei Civici, non è nemmeno così lontana nel tempo. E Jacopo, invece, l’hai fatta tua attraverso i bolognesi “sparati” in bianco e nero…
Sissi: «Per questa domanda devo cercare di selezionare i sentimenti. Dal punto di vista “anatomico”, perché questo è il mio filtro, Bologna è la mia radice arteriosa tentacolare. È sempre stata punto di partenza per la produzione dei miei lavori, c’è sempre stato un dialogo stimolante con le persone, l’arte del fare è vissuta in maniera spontanea. La sua dimensione umana mi permette di concretizzare velocemente tutte le mie idee, e in un giorno sono tantissime. È un’officina di grandi artigiani con cui mi sento sicura. È il mio grande nido che è anche un archetipo del mio lavoro. Ho studiato a Bologna all’Accademia di Belle Arti che mi ha strutturato, supportato fin da quando ero molto giovane. Il mio studio è sempre stato qui a Bologna, al Collegio Venturoli. È complicata questa domanda, perché non riesco a scindere i sentimenti, l’emotività. Tutta Bologna è la mia famiglia, e io non la riesco a lasciare».
Però ci hai provato diverse volte…
Sissi: «Ci ho provato tantissime volte; sono stata a New York tanti anni, e ora ho anche casa a Londra, dove mi sono trasferita qualche anno fa. Posso vivere un po’ di tempo altrove, ma Bologna è famiglia: c’è continuità, collaborazione, supporto. E c’è anche un rapporto più intimo tra le persone che sviluppa progetti genuini».
Jacopo Benassi: «Io invece la odiavo Bologna, non mi piaceva per niente. Poi quando Antonio (Grulli) mi ha invitato a Bologna e mi ha fatto conoscere Gaia Vacchi ho iniziato ad amarla e ora penso che tutti i migliori amici siano qui. Se dovessi pensare a un luogo per farci uno studio penserei a Bologna. Anche Rollers è partito da Bologna, visto che uno dei primi Bologna Portraits era stato lo scatto a Sissi. Mi sono affezionato. Colgo un sacco di legami. Penso che Bologna sia sottovalutata, potrebbe essere una città ancora più stimolante».
Sissi: «Bologna ha una natura rigogliosa, anche se si pensa sempre al cibo. Però questo cibo ha anche, sempre, connotato la fertilità di questa città, che da sempre accoglie un po’ l’incontenibile. È un organismo compatto che però riesce a fluire. A Bologna si riesce ad avere una visione della città, ad abbracciarla. E questo per la creatività è fantastico. L’espansione di Bologna è ovunque, è un ventre molto generoso».
Parliamo un po’ di “Vestimenti”…
Sissi: «Questa mostra è un “mondo”, un universo di cui sto ha cercato di renderne visibili le parti, anche perché ci sono molto stratificazioni – come la pelle – che passa dall’epitelio alla cute più profonda. Voglio introdurre al pubblico questo universo che quotidianamente realizzo. Ogni mattina cucio i miei abiti per introdurmi emotivamente nel mondo; abiti che sento come un’estensione di me, che voglio condividerli con gli altri. La mostra si muove su diversi ambienti, entrando attraversiamo la stanza laboratorio per poi immergersi nella storia degli abiti scultura e di quelli più transitivi per tutti i gironi. Mi ha sempre affascinato notare che quando s’incontra un abito lo si tocca, lo si gira e lo si vuole possedere come un altro fuori da se».
Jacopo ricordo una tua dichiarazione, a proposito di livelli, che suonava più o meno così: “Fotografo in presa diretta perché, come sui social network, voglio farti arrivare addosso una scarica di immagini così forte che tu non abbia tempo di pensare al fatto che sono imperfette”…
Jacopo Benassi: «Mi piace la fotografia in tempo reale, perché da una situazione di buio totale creo una drammaturgia, come dicevo prima. Mi impongo, quando faccio una performance, di essere il più diretto possibile. Mi piace il modello fotoreporter, mi piace questo immaginario, anche se poi quando ho iniziato a fare le foto non ho mai avuto il coraggio di partire. Ma quando scatto è come se ingaggiassi sempre una battaglia, è come se fossi sempre sul campo: devo scappare, ho l’impressione di essere aggredito».
Sissi: «Jacopo, quando fotografa, strappa un pezzo di te».
Jacopo Benassi: «Cerco sempre di fare lo scatto. Di portarmelo via. Anche se non è come me lo immaginavo. Lavoro molto sulla rinuncia a realizzare immagini perfette».
D’altronde, come recitava un notissimo manifesto di Barbara Kruger (creato per la Marcia delle Donne a Washington nel 1989), Your Body is a Battleground, il tuo corpo è un campo di battaglia. Nell’arte, sulla scena, nella vita. E nei vestimenti che ogni giorno scegliamo per raccontarci.