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Sulla nomina di Cecilia Alemani come curatrice della 59ma Biennale di Venezia, nel 2021, si può discutere o meno. Si può dire che abbia già avuto il Padiglione Italia, si può dire che continui la tradizione del “Family Business”, essendo legata all’ex direttore Massimiliano Gioni. Ma si può anche dire che sia l’italiana più internazionale e più in vista dell’arte contemporanea che il nostro Paese abbia sfornato negli ultimi anni. E che il suo ruolo alla direzione artistica della High Line di New York abbia un peso non da poco, nel prospetto globale delle istituzioni dell’arte.
La notizia è “nella” nomina di Cecilia Alemani alla cura della Biennale di Venezia
Ma del ruolo e dell’aderenza di Cecilia Alemani alla direzione della Biennale Arte di Venezia avremo modo di parlarne. Perché quella che oggi sembra essere la vera notizia è l’incipit del comunicato lanciato dalla Biennale: «Ritenuta non più procrastinabile l’attribuzione dell’incarico di Direttore del Settore Arti Visive per l’immediato avvio della progettazione della 59. Esposizione Internazionale d’Arte 2021 (negli anni precedenti l’incarico veniva dato poco dopo la chiusura della precedente edizione)». Una excusatio non petita che, a una prima lettura, potrebbe far esclamare che la Alemani è stata tirata fuori dal cilindro in preda alla fretta di definire un vertice per la sezione Arte della Biennale, prima dell’addio del Presidente, Paolo Baratta.
Una dichiarazione che pare quasi una boutade, visto che Ralph Rugoff, direttore della 58ma Biennale Arte che si è chiusa a novembre, è stato nominato il 15 dicembre 2017; Christine Macel, direttrice nel 2017, è stata nominata il 22 gennaio 2016; Okwui Enwezor, direttore della 56ma edizione nel 2015 fu nominato il 4 dicembre 2013. E, attenzione, Massimiliano Gioni, che diresse l’edizione 2013, fu annunciato il 2 febbraio 2012. Addirittura, Bice Curiger, direttrice della 54ma edizione, nel 2011, fu nominata il 12 maggio 2010, appena un anno prima! Insomma, non ci sembra proprio che il nome arrivi fuori tempo massimo.
La fretta, stavolta, sembra più dettata dalle circostanze, ovvero che lunedì prossimo, il 13 gennaio, è la data in cui decadrà l’attuale CdA e da quel momento, citiamo il comunicato stampa, «decorrerà il periodo di prorogatio, secondo le norme in vigore, durante il quale potranno essere assunti solo provvedimenti di ordinaria amministrazione o urgenti e indifferibili; in questo quadro, sarà accelerata la predisposizione del bilancio consuntivo del 2019, già ampiamente esaminato dal Cda nella forma di preconsuntivo, che prevede risultati positivi». E una ultima nota che suona un po’ come “state tranquilli, i conti sono a posto”: «Il Presidente e il Consiglio, a conclusione del mandato, sottolineano che per il futuro è assicurata una consistente dotazione di riserve economiche e continuità dell’attività, nel pieno rispetto dello spirito e della lettera dello Statuto».
Il significato di alcune parole. E quelle che mancano
Infine, per fare le pulci, insieme ai ringraziamenti di Cecilia Alemani, ciò che manca è una postilla di presentazione ufficiale. Una motivazione, da parte del CdA, sul perché la scelta sia caduta sulla figura della curatrice di base a New York. E perché, sempre dalle fonti della Biennale, mentre Curiger e Rugoff avevano lo specifico compito di «Curare l’Esposizione Internazionale d’Arte», Alemani dovrà «Progettare e curare»? Gli altri curatori non avevano progettazione da mettere a punto? Nella fretta sembra essere sfuggito qualcosa.
A ogni modo, vogliamo rassicurare i vertici della Biennale: per ora ci sembra bene quel che finisce bene. E senza Cecilia Alemani poteva finire molto peggio!
In realta’ tutti pensano che la nomina di Cecilia Alemani sia assolutamente fuori luogo per diversi motivi ma nessuno chiaramente ha il coraggio di dirlo. E’ fuori luogo innanzitutto perche’ la curatrice italiana non ha mai curato nulla di minimamente vicino come impegno ad una mostra come la Biennale di Venezia, il progetto High Line cosi incensato in Italia in realta’ non consiste in nulla di piu’ di inserire delle opere lungo una passeggiata sospesa, in america non importa a nessuno della High Line tranne che a qualche galleria di New York che puo’ mostrare ai suoi collezionisti come alcune opere si possano mettere anche in esterno. Il nepotismo della nomina e’ vergognoso, dimostra al mondo quanto noi italiani siamo provinciali. In bocca al lupo!