Luciano Bianciardi, Milano 1960
In occasione della ricorrenza del centenario della nascita, alla Scuola Normale di Pisa è in corso di svolgimento un’interessante e ben dettagliata mostra documentaria a cura di Ottavia Casagrande su Luciano Bianciardi e la Normale di Pisa. “Bianciardi alla Normale”, aperta gratuitamente al pubblico fino al 16 dicembre 2022, prende in considerazione il periodo passato dallo scrittore, giornalista, traduttore, bibliotecario, attivista e critico televisivo italiano nell’istituzione toscana, alla quale ebbe accesso partecipando a un bando di concorso del 1945/46 riservato a reduci e partigiani.
Nella mostra sono presenti documenti preziosi, come gli scritti delle prove di ammissione o i verbali relativi alla vita giornaliera della scuola stessa e i rapporti con gli insegnanti dell’epoca tra le quali spiccano le figure importanti di Luigi Russo, Delio Cantimori, o Aldo Capitini, che saranno fondamentali per la sua formazione futura. Come sarà importante il clima sostanzialmente antifascista che si viveva all’interno della scuola un orientamento politico basato su un liberal socialismo che troverà poi una base nel futuro Partito d’Azione, che rappresentava una élite aliena ai due grandi blocchi comunista o cattolico.
“Non studiare troppo, aprirsi al dialogo con l’altro”: tale raccomandazione, Bianciardi la farà sue per tutto il corso della vita futura, dapprima quando tornerà a Grosseto sua città natale e dirigerà per ben dieci anni la Biblioteca Comunale inventandosi “bibliobus” (uno fra i primi in Italia), una biblioteca mobile nata allo scopo di diffondere la cultura e la lettura verso il maggior numero di persone possibile, un uso sociale del libro… “se le persone non vanno ai libri, i libri andranno alle persone”, amava dire; poi quando sarà chiamato a Milano dal giovane editore progressista Feltrinelli a collaborare con la nascente casa editrice.
L’impatto con la metropoli Milano sarà devastante per Bianciardi non abituato per formazione, cultura, educazione, a sostenere l’impatto con la grande città e i suoi ritmi frenetici. Ma, soprattutto, critico feroce della corsa sfrenata verso il consumismo, l’omologazione culturale, la manipolazione della tv nei confronti dell’individuo, tutte cose che stavano nascendo in quel periodo in Italia e che lui fu fra i primi a intuire e teorizzare, ancor prima di Pasolini o Umberto Eco.
Significativi per capire meglio quanto detto in precedenza sono i tre romanzi della trilogia della rabbia: Il lavoro culturale (1957) L’integrazione (1960) e il capolavoro La vita agra (1962) dal quale fu tratto anche il buon film omonimo di Carlo Lizzani con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli del 1964. Scrittore, intellettuale, bibliotecario, saggista, anticonformista, anarchico individualista costruttore di utopie e distruttore al tempo stesso di luoghi comuni e tic culturali, Bianciardi resta una figura importante da cui non si può prescindere se si vuole capire meglio la cultura italiana dal secondo Novecento italiano. E mostre, come quella in corso alla Normale di Pisa, sono importanti e benvenute per conoscerlo ancora di più.
«Grazie a loro [Russo e Chiarugi] la scuola funzionava, ciascuno di noi
riprendeva confidenza coi testi, imparava daccapo a studiare. Ma soprattutto
ciascuno di noi imparò una cosa mai vissuta prima, imparò la democrazia; e se
questo avvenne il merito – e la gratitudine nostra – va specialmente a lui. […]
Luigi Russo seppe far sì che la Scuola si aprisse continuamente a quest’aria
nuova, e che anzi desse il suo contributo alla vita civile, pisana e italiana.
Ricordo la sua raccomandazione, a certi fra noi: di non studiare troppo, di non
aggobbire sui libri, di uscire per le strade, di discutere e di litigare col prossimo»
[Luciano Bianciardi, Il Gran Priore, in «Belfagor», 30 novembre 1961]
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