24 febbraio 2014

Ciao Carla, giovane, grandissima combattente

 
È scomparsa ieri, in punta di piedi, come era apparsa sulla scena dell’arte in cui lascia un segno indelebile. Artista, quando per una donna era difficile affermarsi come tale. Profonda innovatrice, del linguaggio dell’arte come dello stare al mondo. Ci lascia un grande patrimonio, fatto di una ricerca che ha saputo rigenerarsi pur rimanendo fedele a se stessa. E che anche per questo è diventata un modello delle giovani generazioni. Buon viaggio, Carla

di

Carla Accardi, Pieno giorno (Veduta), 1987 - vinilico su tela 220x420 cm, trittico

Carla Accardi nasceva 89 anni fa, nel 1924, in una Trapani dai costumi ancora ottocenteschi ma in una famiglia di mentalità decisamente aperta e moderna che le permise di trasferirsi a Palermo per frequentare l’Accademia di Belle Arti e poi nel 1946 di lasciare la Sicilia per andare a vivere a Roma. Nella capitale Carla frequenta l’intellighenzia dell’epoca che si riuniva nell’osteria dei Fratelli Menghi, lì conosce l’artista Tommaso Sanfilippo, anche lui siciliano e fuggito dall’isola, che sposa nel 1949 e con cui, insieme agli amici astrattisti, Attardi, Consagra, D’Orazio, Guerrini, Perilli e Turcato fonda il gruppo Forma 1 di ispirazione politica marxista. 
Carla Accardi, Smarrire i fili della voce, 2012 vinilico su tela cm 160x220
Carla Accardi è stata una grande artista, prolifica, generosa, innovativa al punto da essere diventata nella terza età un punto di riferimento formale e concettuale per le nuove giovani generazioni di artisti, anni fa Paola Pivi disse che veniva a Roma, all’Accademia Americana come borsista «perché in questa città ci vive Carla Accardi». Di lei e del suo lavoro Germano Celant, nel catalogo ragionato uscito nel 1999, parlerà di «rigenerazione nell’assoluta continuità» e infatti la Accardi ha prodotto e riprodotto il suo linguaggio espressivo in termini sempre nuovi e sorprendenti. I primi anni Cinquanta hanno visto la nascita dalle sue tele nere in cui proliferavano e si intrecciavano i segni bianchi, in un perfetto bicromatismo che annullava completamente la narrazione e il segno era usato liberamente per creare la luce, una materia ineffabile ma fondamentale nel suo lavoro «Più che i colori io amo da sempre gli accostamenti e l’emanazione di luce che ne deriva. Anche il mio periodo bianco e nero per me era luce, contrasto, come nella salina di mia madre a Trapani, abbagliante. Anche quando ho usato il rosso col verde, magari anche il rosa col celeste, l’importante è che  due colori abbiano la stessa forza e che non siano complementari. Così fanno a lotta e fanno luce. Poi quando ho usato il  monocromo, il fluorescente, c’era anche la trasparenza, quanto mi piaceva! Per esempio il verde fluorescente sul trasparente, non so, il massimo della solarità per me» (Accardi intervistata da Vanni Bramanti, Conversazione con Carla Accardi, Roma, 29 novembre 1982, in Vanni Bramanti, Carla Accardi, catalogo della mostra, Ravenna, Pinacoteca Comunale, p.84). 
Carla Accardi, Segni 68 (Aranciorosso), Vernice su sicofoil cm 50x50, 1980
Dalla fine degli anni Cinquanta inizia infatti un periodo di intensa ricerca cromatica e il segno si struttura in una sorta di griglia in cui è ritmato come in uno spartito musicale. La ricerca della luminosità intensa e accecante della sua isola natale e contemporaneamente il desiderio di destrutturare fisicamente il quadro per permettere al segno di spandersi oltre i limiti del telaio portano la Accardi a nuove e ardite sperimentazioni che culmineranno verso la metà degli anni sessanta con la serie dei Sicofoil in cui la tela è sostituita da strisce di plastica industriale, trasparente che non solo permetteva all’occhio di cogliere la struttura del telaio mettendola a nudo, ma al colore di brillare e risaltare con nuovi e affascinanti effetti cromatici. 
Carla Accardi, Triplice Tenda, 1969-71
Rivoluzionaria l’opera Tenda del 1965, una vera e propria struttura abitativa trasparente con il tetto e pareti dipinte con il suo inconfondibile segno e la sovrapposizione geometrica del fucsia con il verde. A proposito di questo lavoro, che rimane una pietra miliare del suo percorso artistico, Carla Accardi dirà a Carla Lonzi che il passaggio alla trasparenza non è solo un “allegerimento” ma anche, metaforicamente, il suo ingresso nella “maturità” : «io la maturità me la sono sentita quando ho alleggerito tutto il mio lavoro». Insegnamento prezioso, specie per capire come affrontare l’età adulta, dell’artista e della persona tutta.
Appartengono a questo periodo anche i Rotoli, cilindri trasparenti appoggiati a terra e dipinti con colori acidi e brillanti, una riflessione quindi non solo sulla struttura del quadro e sulla pittura ma anche sulla scultura, sulla tridimensionalità dell’opera che sembra fondersi nello spazio grazie alla sua trasparenza. Questo rapporto ibrido fra pittura e scultura viene scandagliato anche in opere come Triplice Tenda del 1969-71, Ambiente Arancio del 1966-68, che comprendeva anche il Grande Ombrello del 1967, e poi i Coni e le Sculture Trasparenti degli anni 2000. 
Carla Accardi, Rotoli, 1965–68, Courtesy the artist & Galleria Massimo Minini
Questa piccola ma grandissima donna, non è stata solo un artista potente, visionaria e coraggiosa, unica donna in un mondo, quello dell’arte, decisamente maschilista in cui aveva cominciato a muoversi con un’indipendenza di pensiero e di stile davvero unici, ma, anche un’attivista, una combattente e una femminista di grande spessore ideologico. Alla fine degli anni Sessanta comincia infatti il suo sodalizio intellettuale con Carla Lonzi giovane e impegnata critica militante che nel 1970 fonda il gruppo Rivolta femminile e una piccola casa editrice con cui pubblica un saggio che è ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile del pensiero femminista, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale del 1971. Nel 1970 il Manifesto di Rivolta femminile è scritto con Carla Accardi ed Elvira Banotti ed è importante sottolineare che il documento contiene in nuce tutti gli argomenti d’analisi che il femminismo avrebbe fatto propri: l’attestazione e l’orgoglio della differenza contro la rivendicazione dell’uguaglianza, il rifiuto della complementarità delle donne in qualsiasi ambito della vita, la critica verso l’istituto del matrimonio, il riconoscimento del lavoro delle donne come lavoro produttivo e, non ultimo, la centralità del corpo e la rivendicazione di una sessualità autonoma svincolata dalle richieste maschili. Carla Lonzi, e il gruppo da lei fondato con Carla Accardi, rappresentarono una vera e propria avanguardia intellettuale, perché furono in grado di anticipare con largo margine i punti focali che sarebbero poi appartenuti all’intero movimento femminista, riuscendo ad intuire sin dal principio l’imprescindibilità di alcune pratiche come l’autocoscienza e la necessità di cercare una nuova struttura visiva per poter esprimere artisticamente l’universo femminile. Rappresentarono anche un’esperienza assolutamente originale da un punto di vista “estetico e formale” per l’utilizzo costante della scrittura che da allora diviene strumento privilegiato di molta pratica artistica femminista. 
Carla Accardi, Rotoli, 1967
Carla Accardi lascia un grande vuoto umano e culturale, mi sembrerà strano non vederla più camminare, in compagnia dei molti amici che aveva, in queste vie del centro storico che sono state il suo microcosmo. La sua eredità intellettuale di impegno, lotta, lavoro, passione e visionarietà è enorme e preziosa e, come tutti i grandi artisti, resterà immortale perché il suo lavoro parlerà di lei a chi verrà dopo di noi.

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