08 novembre 2010

CRAIG L’ANGLO-ITALIANO

 
Con 173 cm a Londra, Kit Craig ha inaugurato l’autunno di un anno pieno, in cui ha fatto ripetutamente la spola fra Italia e Inghilterra. Ne abbiamo parlato con l’artista, autore di pezzi bellissimi e complessi, che si spiegano a parole ma si capiscono solo a guardarli...

di

Puoi dirci qualcosa della tua ultima esperienza italiana,
Sette piccoli errori?

Il gruppo di artisti era singolare. Sebbene il nostro
lavoro possa sembrare molto differente, credo che tutti condividiamo un
interesse percettivo relativo alla comunicazione e rappresentazione di idee.
Questi lavori sono connessi alla trasformazione implicita al processo di
realizzazione.

E il tuo lavoro What if I had to make a sculpture of Janus’s
head
?

È nato da una conversazione con Stefano Cagol ma in un
certo senso è lo sviluppo consequenziale di altri pezzi. Si colloca in
una sorta di volontà di descrivere se stessi a se stessi. È costituito da 11
disegni che descrivono il retro l’uno dell’altro ma la struttura stessa che li
tiene insieme interferisce e crea una serie di interruzioni di lettura. Una
logica leggermente illogica e non facilmente allineabile fa da connettivo.
L’interesse per la struttura del linguaggio come fattore descrivente è riflessa
nel titolo stesso, di 11 parole.

Trovi che sia
facile?

I miei titoli
sono un elemento importante, un indizio o una nota a pie’ di pagina… ma non
voglio essere didattico. Questo lavoro è fatto per essere ostico, questo pezzo
in particolare. Tecnicamente è molto elaborato… Di fatto è una scultura fatta
di disegni che articolandosi si oscura.

Da dove viene il tuo lavoro? La critica insiste
molto nel vedere un rapporto con il codice linguistico: tutto qui?

Ogni lavoro è
legato al successivo ma non necessariamente in termini di continuazione
logica… Anni fa feci questo pezzo in relazione all’analogia dello Scarabeo
nella scatola di Wittgenstein. Credo che il mio lavoro si riferisca al formarsi
di idee attraverso la comunicazione, formare l’idea di una cosa parlando di
questa cosa. Non si tratta propriamente di mis-comunicazione ma di creare
qualcosa in base al parlarne quasi…

Ma allora è possibile comunicare?

Beh
esattamente… Cercare di comunicare sull’impossibilità di comunicare diventa
un paradosso.

Perciò, tornando al punto di prima, dev’essere
difficile?

Riguarda la
difficoltà in ogni caso… Non si tratta di fare affermazioni immutabili ma
essere sicuri della loro complessità.

E dev’essere bello?

Non sono
certo che sia bello, suppongo che ci sia una certa eleganza, che abbia
un’estetica.

Ti è piaciuto lavorare in Italia in questa
occasione e prima? Com’è stata la tua collaborazione con Norma Mangione?

Direi che è
stato un anno positivo, ho fatto diverse cose in Italia. Ho lavorato molto bene
con Norma Mangione, è una galleria giovane ma molto generosa… Lo show era
insieme a Nick Lessing. Siamo amici ed è stato naturale lavorare insieme,
condividiamo lo stesso approccio scientifico, credo.

E cosa avresti fatto se non avessi fatto
l’artista?

Non so… Forse
il vignettista satirico.

E perché hai fatto l’artista?

Volevo fare
arte, non l’artista; ma facendo arte sono diventato artista. Credo sia logico.

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[exibart]

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