Categorie: Personaggi

CY TWOMBLY – LA LINEA DELL’INFINITO

di - 7 Luglio 2011

Nel labirinto dell’arte del secolo scorso, tra stanze e percorsi, la zona più aggrovigliata è quella del dopoguerra. Ricca d’intrecci e d’interconnessioni, l’arte che nasce sulle ceneri del primo grande scontro globale si propone come uno scenario aperto sul quale si movimentano passioni, progettualità nuove, ideali di libertà, slanci atti a superamento del passato verso un destino globale comune. E’ un mondo ricco di complessità, ancor oggi da dirimere nelle sue linee intricate, la cui l’intensità ha prodotto una temperatura capace di scaldare l’arte fino ad oggi. Così come la pittura di Cy Twombly. Nato a Lexington, la città del Kentucky conosciuta come la “Horse Capital of the World”, il 25 luglio del 1928, Cy Twombly è certamente uno dei giganti del ventesimo secolo. Una storia, la sua, che testimonia un periodo fertile di scambi tra l’Italia e gli Stati Uniti, e soprattutto fa apprezzare profondamente la grande cultura italiana ed europea su cui l’arte americana ha posto le fondamenta.

Cy Tombly è stato un amante dell’Italia. Nel 1952, grazie ad un premio ottenuto dal Virginia Museum of Fine Arts Cy fece un lungo tour del Mediterraneo che toccava il Nord Africa, la Spagna, la Francia e l’Italia. Questo incontro è certamente uno degli incontri fatali della storia dell’arte. Un amore infinito. Qui tornerà definitivamente, per stabilirvisi, nel 1957. Aveva uno studio nei pressi del Colosseo, e in quell’anno scrisse un breve testo sulla pittura (rarissima riflessione scritta da Twombly) che fu pubblicata dalla rivista d’arte L’Esperienza moderna, dove lascia intendere il valore della pittura: “Ogni linea è ora l’esperienza effettiva con la sua storia innata. Non illustra. E’ invece la sensazione della sua stessa realizzazione”. Questa affermazione chiarisce il senso di una pittura che si raggruma tutta nell’esperienza, nel farsi, nella qualità processuale dell’arte che non si arresta e intende assumere in sé la totalità dell’espressione. Il segno e il colore sono gli strumenti che alternativamente agiscono sulla conoscenza come tasti di un pianoforte: accendono e spengono sensazioni, producono narrazioni che non hanno una storia, se non la storia stessa del narrare. Le parole quindi entrano sullo schermo della pittura per dilatare il senso, non per dichiarare gli esiti. Sono passioni che la parola rende riconoscibili. Come nel caso di una sua opera storica Olympia, in cui la parola Roma si rovescia nel suo lato appassionante: Amor. A Roma ha l’avvio il suo lavoro di scultore con le prime sculture astratte nate nel bianco. Qui inizia l’affermazione del suo stile personale e il distacco dalla cultura espressionista americana. In quegli anni a Roma, la scena newyorkese trovava grande rappresentazione: Franz Kline esponeva alla galleria La Tartaruga, lì dove subito dopo espone le sue opere fatte di bande di tela un noto italiano emigrato a New York: Salvatore Scarpitta. In quel contesto Plinio De Martiis presenta il lavoro di un giovane artista americano ancora sconosciuto, destinato a dare molto a Roma, allora capitale anche dell’arte. E’ Cy Twombly. Quel soprannome, Cy, gli viene dal padre, Cy Twombly senior, estimatore del lanciatore per i Chicago White Sox Cy Young. Era proprio in quel contesto di libertà creativa, e nelle ricerche intrecciate e libere tra immagine e parola, che assumono importanza il gesto calligrafico e le relazioni tra la parola e l’immagine.

In Italia, Twombly assume la cultura classica attraverso la parola che è di per se la vera testimone della Storia. A Roma, Twombly trova un luogo incantato dove con l’arte antica convivono i registi, gli scrittori e gli artisti di Piazza del Popolo. Quella piazza, come ricorda Fabio Mauri nel suo saggio: “Nel 1960 gli anni ’50 avevano 10 anni”, è un luogo necessario, inevitabile per lo svolgersi dell’arte stessa. Lì si ritrova tutta l’intellighenzia culturale romana, in un’epoca in cui gli specifici (l’arte, la letteratura, la poesia) non sono distinti in campi separati ma sono espressività che si fondono. Questo vale tanto più per il lavoro di Twombly che sembra dar voce ad una poesia fatta di immagini, dove il segno incide, decifra e crea codici contemporaneamente e si assume dalla poesia all’interno dell’immagine. Piazza del Popolo allora – soprattutto il Cafè Rosati e la galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis da un lato, e la galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani dall’altro – è il forum di Roma. Roma, per Twombly è la città antica e moderna, una piazza aperta sul teatro del mondo che raccoglie tutte le sollecitazioni culturali più pregnanti. Nel ’58 la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, diretta da Palma Bucarelli, presenta la prima mostra di Pollock in Europa. Parallelamente Appia Antica, la rivista diretta dal poeta e critico d’arte Emilio Villa, propone di dare maggior attenzione agli artisti americani. Dopo la mostra di Kline e di Twombly, nel ’59 è proprio Robert Rauschenberg ad esporre a La Tartaruga.

I primi anni sessanta per Cy Twombly sono gli anni in cui si immerge nella cultura italiana. Le sue opere seguono l’intensità della Grande Maniera rinascimentale e ne ricalcano la grandezza: Twombly si misura con Raffaello, e dipinge The Italians nel 1961 e School of Athens dello stesso anno che evoca l’affresco di Raffaello, e poi The Second Voyage to Italy (o la Caduta di Iperione) del 1962. Quell’azione automatica prodotta dal segno si alterna a grumi di colore e l’inconscio lascia risalire la storia della pittura attraverso la storia nuova. Cy Twombly propone una variante naturale della pittura d’azione che non agisce solo per impeto e come progetto libero dalla forma, ma come processo psichico che s’incardina con l’intelletto. Il segno è un’effrazione rapida e precisa della pagina bianca mallarmeiana. La sua è una pittura colta, mai casuale, semmai causale, ovvero nata dalla necessità di reagire al confronto con la Storia: si produce come una natura biologica posta in reazione alle rovine della grande tradizione classica e rinascimentale. Gli anni cinquanta e sessanta sono gli anni più intensi per Twombly.

Tra il 1961 e il 1963 sulla tela si confrontano i più importanti nomi della mitologia greca: Leda e il Cigno, Venere, Apollo, Achille fino a giungere nel 1963 ad una serie di opere intitolate Nine Discourses on Commodus dedicate alla megalomania dell’Imperatore romano che Twombly conobbe attraverso il romanzo di Alain Robbe-Grillet. Dal 1966 la pittura di Twombly recupera una dimensione mentale e la tavolozza vira sul grigio, come mostra il celebre Treatise on the Veil. La stessa tendenza alla semplificazione, che denota un avvicinamento alle poetiche delle strutture primarie e del concettualismo, si avverte nelle sculture, che l’artista torna ad eseguire dal 1976. Poi l’infinito. La storia di Twombly è una storia senza fine, così come le sue opere che propongono una matassa di segni che si ingarbuglia e si scioglie, si irrigidisce o si diluisce con la stessa intensità dell’energia cerebrale. Secondo Argan: “La action painting americana non rappresenta né esprime una realtà oggettiva o soggettiva: scarica una tensione che si è accumulata nell’artista (…) il margine di casualità è minimo: è il pittore che sceglie i colori, ne dosa le quantità, determina con i propri gesti il tipo di macchia che faranno cadendo dall’alto sulla tela”. Se Pollock ha incarnato la danza dei nativi americani, e le improvvisazioni del Be Bop di Charlie Parker, Louis Armstrong, Jelly Roll Morton, Count Basie, Duke Ellington, Cy Twombly ha ricercato nella classicità europea una tensione intellettuale antica. Quella che appartiene al graffito, ai graffi sulla roccia di Lascaux, al segno da decifrare. Quel segno ha proseguito il suo percorso infinito divenendo una traccia sempre più intensa e appassionata. Una traccia scavata fino in fondo a rivendicare la libertà infinita della pittura, come dimostrano le ultime mostre alle diverse inaugurazioni delle gallerie di Larry Gagosian e l’antologica romana del 2009. Il segno in pittura è un segno naturale, così come lo intendeva Sant’Agostino: ogni segno rimanda ad un’esperienza: “se c’è una nuvola, ci sarà pioggia”. Il segno sussume l’arte.

Cy Twombly si è spento il 5 luglio 2011, quel segno entrato nell’infinito ha conosciuto una parola nuova: è l’Eterno che dell’arte, come Baudelaire ricorda, è la faccia opposta alla mortalità, termine finale e vero inizio dell’infinito.

angelo capasso

[exibart]

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