Alla Galleria d’Arte Moderna Archille Forti di Verona è esposta, fino al 28 giugno 2020, l’installazione Frammenti di Thomas Scalco, frutto della collaborazione dell’artista con Patrizia Nuzzo, curatore responsabile della collezione della GAM. Questa esposizione è stata resa possibile grazie alla selezione di Scalco come vincitore del premio Level 0 alla 14a edizione di ArtVerona.
Abbiamo intervistato l’artista per farci raccontare come è nata la collaborazione con con la GAM, per i suoi Frammenti.
Raccontaci com’è andata la tua partecipazione alla scorsa edizione di ArtVerona e la tua selezione come vincitore del premio Level 0 da parte di Patrizia Nuzzo, curatore responsabile della collezione della GAM di Verona.
«La scorsa edizione della fiera per me è stata importante per diverse ragioni. Si è trattato della prima di una serie di collaborazioni con la galleria Luisa Catucci di Berlino, con cui tutt’ora lavoro, c’è stato un largo consenso per le opere presentate, manifestatosi, come hai ricordato, con la vittoria del premio Level 0 e, quindi, la possibilità di esporre alla GAM di Verona».
Frammenti è un ciclo di opere iniziato nel 2018. Cosa ci puoi dire a riguardo?
«Il titolo si riferisce visivamente e semanticamente alla modalità di composizione delle opere e, al contempo, filosoficamente, alla raccolta dei pensieri eraclitei, denominata appunto Frammenti.
La serie di carte nasce quasi contemporaneamente alle sculture, in entrambi gli approcci, ciò che mi interessa è evocare il legame tra il singolo e il plurimo, in un gioco di rapporti che passa dalle forme al gesto pittorico, sino alle tinte coinvolte. Il tutto parte da grandi fogli dipinti a olio e acrilico con una pittura informale, un richiamo alla prima fase di realizzazione delle opere su tela, a cui segue poi un lavoro sulla forma, tra pieghe, tagli ed incisioni. I residui di questa fase, simili a frammenti marmorei, riprendono forma unendosi in un processo che richiama alla mente le tecniche del mosaico e dell’intarsio. Nel caso dei collage numerose figure prendono corpo, ognuna caratterizzata da un accenno di individualità, ma in fondo tutte composte della medesima materia in proporzioni differenti, come avviene, in un certo senso, in natura. Le sculture si legano a questo pensiero portando il discorso compositivo sulla forma tridimensionale, rivelandosi un modo per sviluppare la pittura nelle tre dimensioni e per portare il dialogo tra forma e gesto, presente nelle opere pittoriche, su un ulteriore livello».
L’installazione che sarà esposta fino al 28 giugno 2020 presso la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, dal titolo Frammenti, è una continuazione del ciclo di cui ci hai parlato? Può il dialogo con la cornice che ospita la tua opera, la meravigliosa Cappella dei Notai a Palazzo della Ragione di Verona, proporre diverse riflessioni?
«L’installazione alla GAM riprende il discorso iniziato con le serie citate in precedenza, collage e sculture, ponendolo in relazione allo spazio espositivo. Le opere sono nate da un’analisi preliminare degli ambienti della Cappella dei Notai e di altre aree della galleria, che ha permesso di attingere alle materie prime da cui si è sviluppata l’opera: finti marmi dipinti su tele e affreschi, residui di pavimentazioni antiche e pietre riemerse durante i restauri. In un accenno alla mimesis, da sempre strettamente legata alla pratica artistica, dalla fase di ricerca è nata una palette di cromie riprese da dettagli degli ambienti e dallo spazio da cui ne sono state selezionate alcune. Le due uniche opere esposte come sculture tradizionali su di un piedistallo all’ingresso della sala riecheggiano i fossili contenuti nei marmi rossi veronesi, altre simulano elementi architettonici, un’altra invece è stata posta in sospensione come fosse un drappo o un sudario. Colore e forma, in questo caso, hanno insistito più di quanto non avvenga usualmente, nella mia pratica, sulla somiglianza ai materiali di partenza, giocando sull’ambiguità della percezione. A tal proposito c’è una frase di Jung che mi torna continuamente alla mente: Il mito è o può essere ambiguo, come l’oracolo di Delphi o come un sogno» (C.G. Jung, Ricordi,sogni,riflessioni). L’ambiguità è insita nel limite tra forma e materia, nella presenza attiva nello spazio di questi fragili fogli. Carta e pittura divengono pietra non per dimostrare le possibilità della tecnica ma per svelare i nessi insiti anche tra cose apparentemente lontane: un discorso sulla superficie, che vuole provare a mostrare cosa c’è in profondità».
Com’è stato collaborare con la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti?
«Questa collaborazione si è rivelata un’esperienza estremamente formativa e stimolante, perché le problematiche legate al luogo non sono state poche, basti pensare, nel caso particolare della Cappella dei Notai, alla decorazione che avvolge lo spazio dalle pareti alla volta, nonché ai vincoli espositivi legati a spazi simili. Il primo problema è stato quello di entrare in relazione con il luogo, conscio del fatto che ogni opera vi sarebbe stata allestita necessariamente in dialogo e che il rischio recondito fosse quello di appesantire il tutto. Da qui la soluzione, dopo più progetti e cambi di rotta, concretizzatasi in forme diffuse: in primo piano, seminascoste o mimetizzate, in modo da entrare in dialogo con le pitture, le decorazioni e l’architettura della sala espositiva».
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