Visitando le mostre di Adrian Paci (PROVA, Galleria Nazionale d’Arte di Tirana) e di Cesare Pietroiusti (Un certo numero di cose, MAMbo, Bologna) si assiste all’inaspettata coincidenza espositiva di fogli di quaderni scritti/compilati dai due artisti in giovanissima età.
A Bologna, nella sala centrale della mostra di Cesare Pietroiusti (una retrospettiva nella retrospettiva giocata dall’artista con 64 oggetti – anno che ne raccontano la vita secondo un processo narrativo e relazionale aperto) sono immediatamente visibili due sgabelli e una piccola scrivania rossa sulla quale poggiano dei fogli scritti a matita e con particolare cura dal bambino Pietroiusti. Sono le lettere del 1960 a Babbo Natale e alla Befana, la prima delle quali ha questo testo: Caro Babbo Natale io sono stato abbastanza buono perciò portami un trenino tedesco con 4 gallerie e con 4 vagoni e una locomotiva. Un ping-pong, i soldatini di ferro e il libro della bella addormentata nel bosco anche il film, la pista delle macchinette. Ringrazio. Cesare Pietroiusti.
A proposito di questo oggetto – anno 1960, nel ricordarne le aspettative, Pietroiusti introduce nella sua didascalia una critica al sistema occidentale, all’oscuro incrocio del 25 dicembre tra cristianesimo e società dei consumi, scrivendo, tra le altre osservazioni “… Tutti – i genitori ndr- a dicembre si piegano, come nelle manifestazioni di massa del totalitarismo di cui parla Hanna Arendt, a un rito collettivo di accumulazione di oggetti che, nella stragrande maggioranza dei casi, saranno già rotti o noiosi pochi minuti dopo l’apertura dei pacchi”
Nell’ultima sala della sua mostra personale alla Galleria Nazionale d’Arte di Tirana, Adrian Paci espone invece un nuovo lavoro dal titolo Bukurshkrimi: sono le fotografie in scala 1 a 1 di otto pagine dai suoi primi quaderni di scuola (1974) che si contrappongono spazialmente al video A Real Game del 1999 nel quale la figlia dell’artista narra, come in una fiaba, la sua storia di bambina emigrante.
Nelle pagine esposte da Paci la pratica della scrittura e l’apprendimento del linguaggio si rivelano il passaggio obbligato che va dai segni lineari a precisi dettati di propaganda politica: alle piccole linee e stanghette che si mescolano con le macchie di inchiostro, suscitando in noi un sorriso di memoria, seguono infatti pagine dalla scrittura larga e faticosamente curata i cui testi in albanese, tradottami da Adrian, recitano: “Tirana è la nostra capitale. A Tirana lavorano i nostri cari leader. Tirana sta diventando ogni giorno più bella” … seguiti poi dalle ripetizioni di nomi di città e villaggi albanesi come Shkodra, Elbasani o Bushat …
Pagine da cui emerge con chiarezza l’ineludibile compresenza di pratica ortografica e dottrina politica in un Paese sotto regime.
Adrian Paci (Scutari, 1969) e Cesare Pietroiusti (Roma, 1955) sono due artisti distanti per origine, pratica e poetica artistica: amici oltre che colleghi, si distinguono per esiti che si basano su presupposti e quotidianità strutturalmente diversi, forse anche per questo le pagine comuni “di scrittura elementare” possono diventare un’opportunità di lettura e confronto. La data di nascita degli artisti giustifica per entrambi una pratica che, rivolgendosi al futuro, è capace di collegarsi al passato con una ricerca spontanea sul concetto di identità e di storia personale. A ciò può sommarsi la circostanza che specifiche opportunità di lavoro, come quelle di mostre di particolare rilievo, spinge gli artisti verso dinamiche che, con strategie ed esiti diversi, raccolgono e mescolano opere e stralci di vita. Ma se nella lettera di Cesare Pietroiusti a Babbo Natale l’attenzione è puntata sul concetto di dono e sull’evidenza della sua strumentalizzazione nella società dei consumi occidentali, nelle pagine di Adrian Paci l’accento si muove verso una dichiarazione di origine in stretta relazione con la specifica condizione storica e sociale dell’Albania, una dichiarazione che trasforma le stesse in testimonianze silenti.
Differenze significative che possono essere interpretate anche dai distinti set di presentazione: la letterina a Babbo Natale di Pietroiusti è appoggiata su mobili a misura d’infanzia appositamente cercati e allestiti in mostra, le pagine di quaderno di Paci sono fotografate, incorniciate e disposte a parete come disegni.
Entrambi gli artisti – per via indiretta il primo, per via diretta il secondo – fanno riferimento a forme di totalitarismo, ai loro riti e pratiche di diffusione, alle loro dottrine e pratiche di propaganda, inserendosi a pieno titolo nell’eredità storica e politica del XX secolo. Ma la distanza reale, oggi di attualità globale, che viene restituita dalla semplice e inaspettata compresenza di queste pagine d’infanzia, è la netta e inalienabile percezione della differenza tra chi è nato su una sponda o sull’altra di un mare comune.
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