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Da Villa Medici a Porquerolles. Intervista a Chiara Parisi
Personaggi
Nell’arcipelago mediterraneo delle isole di Hyères, dette anche isole d’oro, si situa l’isola di Porquerolles, tredici chilometri quadrati di superficie e con una popolazione di duecento abitanti. Quest’isola ospita nel cuore di un parco nazionale, circondata da vigneti, la Villa Carmignac che accoglie per il secondo anno una mostra d’arte contemporanea. Sotto il titolo emblematico di La Source, cioè fonte intesa come origine delle cose e di impulsi creativi, si è aperta una mostra curata da Chiara Parisi, che conta sessanta opere della collezione Carmignac, ma anche prestiti importanti e creazioni in situ. La villa di proprietà di Edouard Carmignac, creatore dell’omonima fondazione d’arte (che comprende una collezione di trecento opere e il Prix Carmignac du Photojournalisme), è una vecchia magione provenzale di duemila metri quadrati e di due piani, di cui uno è scavato nel sottosuolo e illuminato grazie a un soffitto d’acqua. L’isola e l’architettura della villa hanno ispirato la curatrice italiana nell’elaborazione dell’esposizione, che principia con l’opera Alice in Wonderland di Max Ernst, che è a sua volta diventa punto di partenza di un affresco immersivo firmato da Fabrice Hyber. Il percorso espositivo, al quale si accede rigorosamente a piedi nudi, esplora tematiche come il corpo femminile attraverso opere di Egon Schiele, Roy Lichtenstein o Thomas Ruff, e l’astrazione espressionistica con Gerhard Richter, Theaster Gates o Susan Rothenberg. Il pianoterra accoglie una prima mostra personale in Francia della britannica Sarah Lucas, con una mise en espace di quindici opere, tra cui l’iconica serie fotografica di autoritratti Eating a Banana (1990). Presentata all’inizio della sua carriera, l’artista affronta nella serie gli stereotipi di genere e di sessualità, in cui si autorappresenta mentre mangia una banana in varie pose e guarda lo spettatore in modo cosciente. Un cortile interno accoglie una creazione in situ dell’artista coreano Koo Jeong-A che vede incastonati nelle pareti di pietra settemila cristalli Swarovski, creando magici giochi di luci durante le ore diurne. Troviamo tra le opere anche quelle di Bertrand Lavier, Dewain Valentine, Cyprien Gaillard, Forrest Bess, Elmgreen & Dragset, Maurizio Cattelan, Ugo Rondinone e Ed Ruscha.
Per saperne di più ne abbiamo parlato con la curatrice Chiara Parisi.
Puoi parlarci della mostra e del tuo approccio curatoriale?
«È una mostra vitale, che parte da una selezione di opere della collezione della società di Édouard Carmignac. La Fondazione da lui voluta che nasce da un’antica Villa immersa nell’isola di Porquerolles, rappresenta una sorgente, anche dal punto di vista architettonico, consacrata alla creazione artistica, da qui, anche, il titolo La Source, attraverso la quale è possibile rileggere la collezione – El Anatsui, Bruce Nauman, Sigmar Polke… – arricchita di nuove produzioni, soprattutto scultura con alcune pratiche, tendenze e artisti che si sono affermati negli ultimi decenni: Francis Alÿs, John Baldessari, Maurizio Cattelan, Rebecca Horn, Sarah Lucas, Annette Messager, Rosa Barba… Mi piace pensare d’aver generato una mostra sensuale, sorprendente, ritmata, capace di coinvolgere il visitatore, che deve percorrere la mostra a piedi nudi; ma soprattutto mi piace pensare a una mostra nella quale possano emergere le opere e le poetiche degli artisti, che sono sempre al centro del lavoro curatoriale».
Per una curatrice scambiare idee e opinioni con gli artisti presentati è importante, per esempio penso a Fabrice Hyber. Com’è andata per La Source?
«Il dialogo con gli artisti è una fonte inesauribile di stimoli. Dobbiamo a loro l’esistenza di ciò che chiamiamo ‘il mondo dell’arte’ dove agiamo. Ho deciso appositamente di dar loro voce in catalogo raccogliendo le loro risposte alla stessa domanda: “Dov’è la fonte?”. Le loro reazioni mi hanno orientata nella costruzione della mostra. Nel caso di Fabrice Hyber, la sua opera è una mappa immaginifica, una guida a La Source e alle sue diramazioni; una sintesi di quello che l’esposizione vuole rappresentare, al centro della quale si trova un disegno di Max Ernst, che è stata la prima opera acquisita da Édouard Carmignac. La contaminazione tra le due opere unisce temporalità e approcci diversi, una relazione osmotica che pervade tutta la mostra. È la prima opera che il visitatore vede, è il manifesto visivo del percorso espositivo con la sua diramazione nei diversi giardini del parco».
Attualmente curatrice per l’Arte Contemporanea presso Villa Medici a Roma, sei stata direttrice artistica alla Monnaie di Parigi, mentre prima hai diretto per diversi anni il Centre International d’art et du paysage – île de Vassivière nel Limusino, conosciuto per essere un territorio privilegiato d’incontro tra natura e arte. Guardando alle relazioni tra opere, percorso e luogo, al di là delle differenze tra centro d’arte e fondazione, quali sono le affinità e le diversità con la Villa Carmignac?
«Si tratta di due luoghi completamente diversi. Vassivière è una località decentrata, selvaggia e bellissima, un’isola artificiale nata da una diga. Il Centro d’arte è un’istituzione pubblica, nata all’epoca di Jack Lang che dagli anni Ottanta aveva avviato una politica finalizzata alla creazione di istituzioni artistiche fuori Parigi, rivolte principalmente alla ricerca e alla sperimentazione. L’isola di Porquerolles è il mediterraneo, luminoso, preservato e unico, meta nel tempo di villeggiatura. Ciò che accomuna i due luoghi è senz’altro il parco di sculture che entrambi presentano: un territorio che il visitatore può esplorare liberamente, compiendo un’esperienza sicuramente unica. Nei due casi, la potenza dell’ambiente circostante è un elemento essenziale nella creazione di una programmazione artistica. La Fondazione con questa seconda mostra, si mette chiaramente nella linea delle grandi fondazioni private internazionali tra le quali le italiane, così importanti sulla scena mondiale, di essere un centro d’arte, un museo, un luogo pedagogico, e nello stesso tempo un terreno aperto a forme di creazioni quali la performance, la danza, e la musica grazie alla visione del figlio di Édouard Carmignac, Charles. E trovo importante che sia data come missione di presentare una collezione come visione e non solo esposizione delle proprie opere d’arte. La Source presenta opere provenienti da altre collezioni a testimonianza del senso di apertura della Fondazione, e produzioni effimere, che alla fine della mostra a novembre, spariranno. Introduce, dunque, l’idea di effimero che è una durata diversa ma intesa quanto un’opera permanente soprattutto per un parco di sculture».
La Source è in sintonia con i temi d’attualità?
«È una mostra che si ispira di alcune opere ‘classiche’ della storia dell’arte, per arrivare alle pulsioni degli artisti, alle origini degli atti creativi degli artisti invitati in mostra. Nel percorso espositivo ci sono il senso del tempo e della materialità dell’opera; opere d’impronta concettuale e altre meno “mentali”, più esplicite. Il tutto, sempre credendo alla possibilità di coinvolgere il visitatore con un’esperienza attraverso la molteplicità di immagini, e dunque di dibattiti, che l’arte mette a disposizione».
Com’è stata percepita la mostra dal pubblico? È andata come volevi?
«Assolutamente sì. È stato incredibile osservare – e far parte a mia volta! – della moltitudine di persone che passeggiava scalza. È stato come prendere parte a un rito collettivo e liberatorio. Sono felice del fatto che le persone restino per ore all’interno degli spazi, prendendosi del tempo prima all’interno e poi nei giardini. Si muovono lentamente, sia quando passeggiano in quella che chiamo una pianta a croce greco-romana, la parte sotterranea della Villa, con tutta questa immersione nella pittura, tutto aperto, nessuno muro con questo immenso soffitto trasparente di acqua – il ritmo museografico ottenuto grazie alla presenza della scultura e della luce naturale – e poi, salendo, accanto ai magneti di Micol Assaël, ci si ritrova ‘a casa’ di Sarah Lucas con la sua sessualità poetica e affermata nello stesso tempo».
Guardando alla collezione della Fondazione Carmignac, quanto è vicina la visione di Édouard Carmignac alla tua?
«Sono rimasta affascinata da una collezione che nascendo dall’arte americana, la New York di certi anni, si è poi andata arricchendo con gli artisti di Los Angeles, maestri e nuova generazione. E la scelta di chiedere un’opera monumentale a Ed Ruscha per il parco di sculture, nel campo da tennis abbandonato che era nella proprietà dove la Villa è stata costruita – ideale collegamento tra paesaggio naturale e paesaggio mentale – è per me stupenda; ho scoperto, anche degli artisti come R. B. Kitaj, Susan Rothenberg, solo per fare qualche esempio. Con Édouard Carmignac abbiamo condiviso anche le scelte di dare ampio spazio a Sarah Lucas, per la sua prima personale in Francia, e a Maurizio Cattelan, che, realizzando un’opera che “contiene” quasi tutta la sua produzione, ha creato un collegamento metaforico con l’idea stessa di collezione»
Pensando alla figura del curatore quali sono (se ci sono) le differenze tra l’Italia e la Francia?
«Sono due realtà che sicuramente hanno una grande eredità in termini di storia dell’arte e cultura visiva. Fare il curatore in contesti del genere significa misurarsi con questo tipo di stratificazione e riflettere non solo su questioni di stringente attualità. Condensare secoli in un’immagine unica, una mostra contemporanea, è quello, anche, che ci accomuna».
[…] Il suo lavoro non sarà certo semplice ma, come i suoi predecessori, Laurent Le Bon ed Emma Lavigne, avrà un accesso privilegiato alle risorse del Centre Pompidou che, però, saranno eventualmente da condividere con le altre sedi di Malaga, Bruxelles e, da adesso, Shangai. Di certo, la filiale di Metz rappresenta un luogo e un evento altamente simbolico, perché fu il primo esempio di sede distaccata di una grande istituzione culturale francese. L’avveniristica struttura fu progettata da Shigeru Ban e Jean de Gastines , subì un incendio durante i lavori e l’inaugurazione slittò al 2010, con Nicolas Sarkozy a fare gli onori di casa. Sono già passati dieci anni e una delle sfide di Chiara Parisi, insieme a Jean-Marie Gallais, responsabile della programmazione del Pompidou-Metz sarà quello di celebrare degnamente la ricorrenza. «Il dialogo con gli artisti è una fonte inesauribile di stimoli. Dobbiamo a loro l’esistenza di ciò che chiamiamo ‘il mondo dell’arte’ dove agiamo», ci ha raccontato Parisi in una recentissima intervista, a ottobre 2019. […]