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È morto a 85 anni Andrea Branzi, tra i padri indiscussi del design italiano
Personaggi
di redazione
Architetto e designer nato a Firenze nel 1938, Andrea Branzi ha sempre messo in crisi il movimento moderno e le teorie urbane.
In una conversazione che tenne al Politecnico di Milano con Richard Ingersoll affermò che «Se si osserva lo sviluppo della cultura del progetto dal XX sec ad oggi, possiamo constatare che il movimento moderno è passato attraverso la densa e drammatica storia del novecento senza subire modificazioni o adattamenti. Privo di alcun turbamento ha proseguito nella storia della propria disciplina autoreferenziale».
Pochi come Andrea Branzi hanno saputo interpretare e comprendere la realtà che ci circonda. Nel XXI secolo ancor più che nel XX secolo le trasformazioni delle città sono molto più che evidenti. E se nel precedente secolo è stato permesso di ignorarle, per la nostra contemporaneità non è più possibile. Questo è il monito di Andrea Branzi ed è da qui che la sua ricerca prende forma e sostanza.
Negli anni ’60, precisamente era il 1966, fondò con Massimo Morozzi, Paolo Deganello e Gilberto Corretti, Archizoom Associati. Il suo pensiero influenzò la poetica del primissimo Italian Design (che Emilio Ambasz ha raccontato nella mostra The New Domestic Landscape al MoMA nel 1972), oltre che intere generazioni di progettisti. L’Archizoom pensiero, che considerava l’architettura e il design come strumenti per un’elaborazione critica della società e delle sue derive consumistiche, si concretizzò nel celebre No Stop City, un progetto-manifesto di città consapevole della nuova modernità dove è naturale interrogarsi e mettere in discussione i dogmi della modernità urbana. Tutto il suo senso risiede nel concepire una città non più attraverso gli edifici e le forme architettoniche, ma attraverso flussi di persone, informazioni e merci: «La città non è più rappresentata da un insieme di scatole architettoniche, ma è un prodotto fluido di persone, servizi, comunicazione e globalizzazione. Oggi la No-Stop city è interpretata come uno dei primi tentativi di rappresentare il progetto nell’era della globalizzazione», spiegava Branzi.
Tra i progetti di Branzi si ricordano quello per la nuova Galleria d’Arte Moderna e il piano di recupero dell’isolato di S.Francesco ad Arezzo (1987), il progetto di ricerca Tokio City X per Mitsubishi Co.(1990) – insieme a Isao Hosoe, Clino Trini Castelli e Tullio Zini – per un insediamento misto su un’area di 17 ettari nella baia di Tokio, la ricerca sul futuro degli uffici Citizen Office per Vitra (1993), con Michele De Lucchi e Ettore Sottsass. Nell’ambito dell’industrial design Branzi ha collaborato tra gli altri con Acerbis, Alessi, Artemide, Cassina, Interflex, Lapis, Pioneer, Twergi by Alessi, Unitalia, Up & Up, Zanotta. Tra i progetti per aziende estere vi sono gli occhiali per il produttore giapponese Murai; il decoro di moquette per Vorwerk e gli accessori e decori per bagno per Dornbracht.
«Ci regala un’eredità potente e generativa di opere e di testi – e un film prodotto un anno fa da Triennale che è a tutti gli effetti il suo testamento intellettuale. Andrea ci ha lasciati pensando e progettando; poche ore fa ci eravamo sentiti per riprende il progetto di una “Grende Parigi” percorsa da 50.000 grandi mucche sacre affinché riducessero lo stress metropolitano», ricorda Stefano Boeri, saltando Andrea Branzi con la speranza che continui «a sognarci».