«L’indifferenza dei linguaggi, la loro equivalenza, e lo sfiorire del teorico ho l’impressione che caratterizzino la linea dell’arte delle generazioni più recenti». A questo pensiero luminoso – legato ad alcune riflessioni irrinunciabili nate «dietro l’angolo degli anni ’80», nell’area e nei confini segnati dal Postmoderno – Angelo Trimarco (Catanzaro, 8 aprile 1941) ha dedicato, in tempi non sospetti, una serie di interventi utili a leggere lo spazio critico in tutte le sue varie declinazioni linguistiche. Uno spazio in cui il confronto con le altrui teorie è luogo privilegiato per stabilire confini o confluenze: Confluenze (1990) è, tra l’altro, il titolo di un suo importante libro sul rapporto tra Arte e critica di fine secolo.
Napoli e il suo ventre creativo. Gli States, guardati e frequentati. Il discorso sull’inconscio dell’opera e quello sugli itinerari freudiani. E poi il Surrealismo, ripreso, questo, in più occasioni. Ma anche l’Arte Povera, l’Arte Concettuale e, successivamente, la questione moderno-postmoderno. E, ancora, il dibattito sulla città. Sull’arte e l’abitare più precisamente. Sono alcuni temi trattati da Trimarco per ripensare, tra inevitabili brecce e convergenze teoriche, gli impatti dell’arte, della critica e della teoria, appunto, nel mondo della vita. Quel mondo che «resta per tutti», è lui a dirlo, «l’orizzonte dentro il quale si tesse la trama dell’opera».
La pratica critica è, per Trimarco, allenamento, dialogo con l’artista, vis-à-vis con l’opera e, nel contempo, attenta e lenta analisi del linguaggio. Indispensabile «interpretazione relativa», «strega metapsicologica, secondo il detto di Freud», sentiero democratico e, sempre sulla scia freudiana di saggi quali Die endiiche und die unendiiche Analyse e Konstruktionen in der Analyse, «esercizio interminabile» (e non, naturalmente, puerile «esercizio di decifrazione compiuta di senso»), «consapevolezza della discontinuità che corre fra le opere e il testo critico», necessaria costruzione di linguaggio. Ma anche rinuncia al commento e al disciplinamento. Perché è proprio rinunciando a questi che la critica «diviene […] teoria dell’interpretazione e costruzione, lavoro, non per disoccultare l’enigma che giace laggiù nel testo, ma per ritessere all’infinito le connessioni che la latitudine dei segni pone fra sé e l’alterità, l’inconscio dell’opera, mai riducibile né assimilabile a un significato dominante […]».
Fedele ad un pensiero polisenso e plurale – legato, assieme ad Achille Bonito Oliva (ma per «diversità complementare» o per «coesistenza delle differenze»), al magistero interdisciplinare di Filiberto Menna – Angelo Trimarco ha disegnato e disegna, del secondo Novecento e di questo incerto primo ventennio in fase di dispiegamenti, parabole teoriche e viatici critici che, tra dati e date (Sanguineti), schiudono sentieri di ricerca rivolti non solo alla Galassia (2006) estetica segnata dal Post-storia (2004), ma anche, e soprattutto ai paesi instabili di un pulsante (irresistibile) presente dell’arte, della vita.
«Ora, nel tempo della megalopoli», avverte Trimarco in un periodo in cui l’Ornamento (2009) non è più un delitto, «si ha come l’impressione che, uscita anche dal campo delle opere, la critica, quasi leggero accompagnamento curatoriale, è andata incontro a un’eclissi che inquieta». Malgrado ciò la critica, «quando non sia esercizio rigido e cadaverico» o semplicistica attività froide et algébrique (Baudelaire), «è sempre», per lui – questa la sua lezione – «un lavoro che si fa e si disfa con pazienza e con lentezza. È in ogni momento un lavoro di cantiere. Ricerca che si disfa e si rifà senza pregiudizi e superstizione. La superstizione che la critica sia giudizio di valori certi». Perché il suo compito, «il compito della critica in quanto costruzione è, appunto, quello […] di porsi all’ascolto, utilizzando i più raffinati strumenti ermeneutici, dei sommovimenti che provengono dagli strati più nascosti». Strati da dispiegare e riguardare con la dovuta cautela per guardare, sempre, al presente. Che per lui – teorico dell’arte vicino all’antropologia, alla sociologia e alla psicanalisi – è ambiente felice per costruire un’isola riflessiva sui luoghi e sulle occasioni del tempo.
La galleria Pinksummer porta l’arte fuori dalle sue mura espositive per fondersi con la città presentando una collettiva estiva dal…
Manna Rain: le nuove piogge astratte e cinematografiche di Rita Ackermann in dialogo con l’eredità di Cy Twombly, per la…
La maison italiana fondata nel 1974 fa il suo ingresso nel gruppo d’aste Millon, ma mantiene forte la sua identità
Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo…
WineWise: parte la open call per artisti emergenti promossa da Art Days Napoli Campania. In palio la produzione di un'opera…
Per far splendere la sua Ronda di Notte, Rembrandt usò un particolare pigmento: la scoperta grazie a un nuovo studio…