Nell’immaginario comune l’architettura si realizza per via di porre. Nel corso della sua storia l’uomo ha imparato a costruire abitazioni e città, connotando gli spazi in altezza prima che in estensione. Eppure esistono luoghi nati per sottrazione, afferenti a un’idea diversa di architettura, condotta per via di levare, che dalla natura ricava materia e geometrie. Matera, con i suoi Sassi, è per definizione una città di sottrazione. A questa suggestiva immagine, reale e metaforica insieme, rende omaggio la mostra attualmente in corso alla Fondazione Sassi, a cura di Valerio Vitale. Dieci gli artisti invitati a “riempire il vuoto dei Sassi” o, meglio, a riflettere su di esso, dando forma sensibile a un concept suggestivo, interpretabile su un duplice versante: architettonico e antropologico. Il primo guarda ai Sassi come sito della “sottrazione” con le antiche abitazioni ricavate nei secoli scavando nella calcarenite, tipica roccia di facile lavorazione dell’area delle Murge, il secondo rievoca la “sottrazione” dei materani, avvenuta a partire dal 1952, quando, in seguito ad apposito decreto, gli abitanti dei Sassi sono stati “invitati” ad abbandonare le loro abitazioni per occupare la città nuova che, non senza clamori, si stava costruendo in periferia. Matera all’epoca era per tutti la città da recuperare, la ferita da risanare.
Dieci i nomi invitati, selezionati in seguito a una “call for artist under 35”, senza vincoli di nazionalità o mezzi espressivi. Scelti da una giuria di esperti composta da Fiorella Fiore, Silvia Padula e Tommaso Strinati, gli artisti hanno partecipato a una residenza di cinque giorni nei Sassi, riflettendo sulle dinamiche abitative e relazionali in essi attuate, sul passato e sul futuro di un luogo che in meno di cinquant’anni ha tracciato un percorso virtuoso, transitando dalla mortificante condizione di “vergogna d’Italia” a quella edificante di patrimonio dell’umanità. Incipit del percorso sono gli scatti fotografici con intenti spiccatamente antropologici di Marina Berardi, lucana di stanza a Roma. Le sue riprese ritraggono la Magliana, quartiere periferico di Roma sorto negli anni Sessanta, socialmente connotato e territorialmente circoscritto, alle prese, come tante altre località, con il fenomeno dell’immigrazione e il conseguente ripensamento degli spazi comuni. L’artista sottrae alla visione l’aspetto esteriore dei luoghi per concentrarsi su quello interiore, mettendo in risalto il nuovo ruolo del quartiere: da luogo dell’irregolarità e del degrado a luogo dell’accoglienza. Mentre Silvia Monacelli attua la sua idea di sottrazione nelle trasparenze determinate dal sovrapporsi di blocchi di cera e fogli di rosa spina, in una metafora visiva del tempo che nasconde e rivela, il napoletano Roberto Marchese traduce il concept della mostra nella destrutturazione e contaminazione dei linguaggi. Mediante una cassa tubolare rivestita da articoli di cronaca riguardanti Matera e il suo travagliato passato, l’artista diffonde alcune riprese sonore tratte dalla vita nei Sassi evocando, per via uditiva, la progressiva gentrificazione del centro storico e confondendo passato e futuro nell’archiviazione del presente. Paesaggio sonoro è anche quello ideato da Valerio Sammartino, che dedica la sua installazione al Palombaro Lungo, antica cisterna dei Sassi, luogo simbolo dell’antico insediamento abitativo. Il suono dell’acqua si mescola alla storia di Matera desunta dal libro “Giardini di Pietra” di Paolo Laureano, accentuando l’idea della sottrazione, afferente la natura del luogo, grande cavità ricavata dalla roccia, ma anche la sua assenza iconica. Al Palombaro Lungo, in particolare alle sue peculiarità cromatiche, è dedicato il lavoro a quattro mani dei romani Alessio Ancillai e Daria Paladino. Un’installazione a parete, un video e un dittico fotografico compongono una riflessione transmediale, in cui l’immagine del Palombaro, passata al setaccio speculativo e mediatico degli autori, diviene altro da sé, un motivo nuovo generato dalla sottrazione del topos di partenza.
Interamente fondato sull’idea del sottratto è il lavoro (nella foto in alto) di Eva Trevisan, giovane artista veneta. Una serie di calchi in gesso, simili a ciotole (rievocative di una dimensione domestica e quotidiana perduta, come quella dei Sassi), stimolano il pensiero memoriale, attuando una riflessione a tratti nostalgica su ciò che c’era e che ora non esiste più, se non nella traccia in negativo di se stesso. Completano il percorso i lavori installativi di David Scognamiglio e Andrea Del Pedro Pera e Anita Calà e Annalisa Ferraro. I primi due sintetizzano il dualismo tra pieno e vuoto in una traccia a led che percorre per intero l’ambiente, rievocando la presenza dell’aria e dell’acqua (torna alla memoria l’immagine del Palombaro Lungo), ancorata a un blocco di cemento armato, immagine grave del pieno, ma anche attualizzazione dei Sassi. Le seconde invece, un’artista e una storica dell’arte, hanno dato luogo a una composizione verbo-visiva, in cui la storia della città è resa visibile solo attraverso la proiezione sul muro della sagoma dello spettatore (nella foto in homepage). Il significato di base, quasi un sillogismo, è assai profondo: la storia si concreta nell’uomo e dalle relazioni che esso riesce a stabilire con i “suoi” luoghi; sottraendo il primo da questi ultimi si depaupera la storia.
Carmelo Cipriani
mostra visitata il 27 luglio
Dal 27 luglio al 15 settembre 2017
Luoghi per sottrazione
Fondazione Sassi
Via San Giovanni Vecchio 24 (Rione Sasso Barisano), 75100 Matera
Orari: dal lunedì alla domenica, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 20.00.
Info: 08351950111, info@fondazionesassi.org, www.fondazionesassi.org