Una grande installazione cinetica è il polo d’attrazione della seconda personale del duo Eva Hide, dopo un esordio a Bari nel 2014: un totem accosta l’alta definizione di ex voto sessuali, realizzati in lucida maiolica dipinta (nella foto in homepage e in alto), alla bassa definizione degli altri elementi che concorrono a comporlo, in un collasso di registri estetici differenti. Una struttura di travi di legno non verniciato, figlia di un bricolage sfacciato e senza ambizioni estetizzanti, si pone al centro dello spazio carica di vistosi pezzi di carne offerti al pubblico, appesi a fili neri come avanzi di marionette scomposte: piedi, seni, peni, un addome, un orifizio anale. Una struttura aliena e arcana, evocatrice delle offerte negli antichi santuari dedicati ai culti di divinità ctonie che si credeva potessero esercitare poteri di guarigione.
È una “Fontana” anti-duchampiana – perché non risignificata a partire da un ritrovamento casuale e ma dettagliatamente costruita – nella quale un semplice tubo di plastica gialla fa fuoriuscire un fiotto d’acqua da un organo genitale maschile. A raccogliere il getto è un bidone nero, all’interno del quale il tubo stesso attinge in un moto di riciclo perpetuo dell’acqua. Nel bidone è collocato il simulacro di un organo genitale femminile, in un esplicito discorso sulla differenza e sulla violenza di genere, tanto crudo nella sua carnalità quanto intriso di un sognante surrealismo che ricorda, nella ricomposizione di uno smembramento, le bambole di Bellmer. Non è in alcun modo un’operazione concettuale, calligrafia di un fine intellettualismo ammantata di un alone sacro alla Luigi Ontani, ma un’opera dolente e leoncillianamente somigliante a un Sebastiano senza santità oppure a una laica crocefissione, che impasta la terra plasmata e smaltata alla sofferenza della carne nutrita del sopruso quotidiano. Albero della Cuccagna o forca d’impiccagione, foriero di reminiscenze nordiche, fiamminghe oppure di un simbolismo decadente o ancora di una macelleria alla Francis Bacon, questo Frankenstein potabile giganteggia nello stretto spazio della galleria e interpella il pubblico, chiamandolo ad attivare un qualche meccanismo di fruizione che non sia solo passivo incidente di visione. E il visitatore più sfacciato infatti beve, piegandosi fino a sfiorare quasi con le labbra il grande pene dal quale l’acqua esce, interrompendo il flusso. Questa “Fontana” è uno dei quattro interventi – tutti di sapore installativo e incentrati sul disequilibrio del conflitto insito nel rapporto padre-figlio – che compongono la mostra bergamasca, a cura di Ginevra Bria, di questo duo di artisti colti e barbari, schivi e rigorosi. In un’incongrua vetrinetta espositiva, trovano scomodamente posto le minute sculture in tecnicolor della serie “Why Children Steal”, spiazzanti accostamenti di elementi rassicuranti e terrificanti, innocenti e crudeli, in cui una sessualizzazione esplicita, esasperata, non priva di ironia e sarcasmo, racconta una solitudine contemporanea in un deserto di sentimenti avanzati da narrazioni altrui e naufragi di utopie. Nella cornice bambinesca di un teatrino in ceramica ornato di teneri orsacchiotti, si ripete in un loop lento e feroce “Hero”, un video amatoriale rubato in internet, ennesima incarnazione di un padre ferino che fuma e troneggia nella cornice di un gioco psicanalitico di voyeurismo e sottomissione, esibizionismo e comando, in continuo ribaltamento. Vera novità nella ricerca del duo, la serie di struggenti collage di immagini rubate dal web, in cui alto e basso si incontrano, morte e vita, trionfo e scempio, in una vanitas onnipresente che non sente il peso del suo millenario rispecchiarsi.
Francesco Paolo Del Re
mostra vista l’8 aprile 2017
Dall’8 aprile al 16 settembre 2017
Eva Hide – Dad is God
Traffic Gallery
via S. Tomaso 92 – 24121 Bergamo
info: T +39 035 0602882 – info@trafficgallery.org