Capita a volte di trovarsi il futuro davanti, di essere così vicini all’idea di progresso, di sviluppo tecnologico, da poterlo toccare con mano; e quando si ha questa fortuna si riesce a intuire, anche solo da lontano, la reale portata della scienza. Succede a Roma, che dal 16 luglio al 2 agosto mostra il suo lato contemporaneo, quello dell’architettura più recente, della scienza, della fotografia, della street art, della performance per diventare la città del futuro. “Genius loci – Dove abita il genio” è il festival della scienza che dal 2018 ogni anno anima Roma con un fitto programma di eventi gratuiti sia su canali fisici che digitali, che permettono di aprire le porte dei luoghi dedicati alla ricerca scientifica, normalmente inaccessibili se non agli addetti ai lavori. Un appuntamento fisso con il progresso – inserito nella programmazione di Eureka!Roma e Romarama di Roma Capitale – che ogni anno va ampliando la sua rete di location, di partner e la partecipazione di pubblico.
Ne parliamo con la curatrice Laura Calderoni, architetta, dottore di ricerca, membro dell’associazione Open City Roma, che promuove eventi artistici e culturali nella Capitale, fra i quali “Open House Roma”, che ogni anno dal 2012 apre le porte di 250 luoghi di interesse architettonico.
“Genius loci. Dove abita il genio” mette in luce le tante realtà di rilievo nel campo scientifico e delle arti contemporanee, che spesso non vengono valorizzate né comunicate ma che fanno di Roma un punto di riferimento internazionale. Si tratta di un cambio di prospettiva importante nel guardare alla Capitale, di una narrazione del tutto nuova.
«È importante che il nostro immenso patrimonio storico e culturale non oscuri la spinta al contemporaneo, sia nell’arte che nella scienza, la tensione verso il futuro, che è molto presente a Roma e nel nostro Paese. Ci sono a Roma istituti scientifici che tutto il mondo ci invidia ma che sono poco conosciuti in Italia. Per esempio in pochi prima dell’emergenza sanitaria sapevano dell’importanza della ricerca dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani, dove è stato isolato il Covid-19 e si sta studiando il vaccino, che noi abbiamo aperto al pubblico nel 2018.
“Genius loci. Dove abita il genio” vuole proprio raccontare questo impulso al progresso attraverso l’architettura, la street art, la fotografia, la performance, la grafica, per cambiare l’immaginario della città, che adesso corrisponde solo in parte alla realtà».
Il programma del festival si articola in attività ed eventi differenti fra loro e si sviluppa sia su canali fisici che digitali, qual è il tipo di esperienza più utile per la divulgazione, per trasmettere l’importanza della scienza?
«L’esperienza virtuale non è e non può essere una sostituzione dell’esperienza diretta, l’abbiamo introdotta in questa edizione a causa del virus e abbiamo da subito lavorato per trasformare questo strumento così potente e versatile in una risorsa, in un’occasione per sperimentare nuove soluzioni comunicative, che rendono possibile l’impossibile. Per esempio il tour virtuale “Aqua urbis” sarebbe irrealizzabile fisicamente, un viaggio attraverso gli acquedotti, le torri piezometriche e i castelli idraulici, seguendo il percorso dell’acqua, per parlare di architettura e di fisica. Oppure l’evento “La fine der monno – Chi ha lasciato la Tera sur foco?”, pensato da La scienza coatta come spettacolo teatrale, diventa una web serie che pubblicheremo sui nostri canali, cinque pillole per parlare del cambiamento climatico nel format che fa del romanesco il veicolo per trattare con ironia e rigore scientifico temi complessi. Sicuramente l’integrazione dei due tipi di esperienza, reale e virtuale, che inauguriamo quest’anno, sarà centrale anche nelle prossime edizioni».
Con l’associazione Open City Roma ogni anno organizzi numerosi eventi che hanno l’obiettivo di far avvicinare le persone all’architettura contemporanea. Dopo tanti anni di ricerca e divulgazione su questo tema quali sono le tue riflessioni sulla percezione collettiva dello spazio pubblico e dell’architettura?
«Parlare di architettura contemporanea in Italia non è mai semplice, perché molte sono state le speculazioni che hanno causato la deturpazione del nostro territorio e le persone sono, a ragione, prevenute. Oltretutto il mondo dell’architettura è stato troppo distante dalle persone, rifiutandosi di fare dell’architettura un “bene necessario”, arroccandosi dietro figura dell’archistar che non ha bisogno di spiegare nulla. E invece l’architettura va raccontata affinché diventi occasione di dialogo e riacquisti peso sociale, rilevanza estetica ed economica. Quando ci troviamo di fronte a un’architettura contemporanea di qualità è sufficiente fornire alcune chiavi di lettura per vedere le persone emozionarsi e appassionarsi, come ad esempio succede nella visita alla sede dell’Agenzia Spaziale Italiana, opera di Alfonso Femia con 5+1AA, che interpreta il tema dello spazio in maniera poetica e suggestiva».
Cosa vi aspettate per questa terza edizione riguardo la partecipazione del pubblico, considerando che “Genius loci. Dove abita il genio” è anche fra i primi eventi di rilievo nello spazio pubblico a Roma, all’indomani del lockdown?
«La risposta è già stata sorprendente, i posti per molte delle visite sono terminati in poche ore. Il festival da quest’anno ha una programmazione triennale che ci permette di strutturare progetti più articolati, che consentono al pubblico di seguire la mappatura dei luoghi della scienza iniziata nel 2018. Sarà una guida architettonica e scientifica su una Roma inaspettata, verso la quale guideremo alla scoperta anno per anno. In ogni edizione chiameremo un fotografo a raccontare in maniera personale cinque luoghi della scienza. Quest’anno abbiamo scelto Francesco Cicconi che con il suo progetto “Medium” lavora con un salto di scala: ritratti dei ricercatori davanti alle imponenti architetture che li ospitano e still life di uno degli strumenti del proprio lavoro».
Il tema di quest’anno è l’ambientalismo scientifico, come verrà affrontato?
«La tutela dell’ambiente investe ogni parte della nostra vita ed è un tema che non può più essere rimandato, per questo lo affrontiamo attraverso una narrazione confidenziale che lo avvicina al nostro quotidiano, come nell’evento “Mio nonno non buttava via niente” con Circolo Legambiente Mondi Possibili e Tavola Rotonda, in cui parleremo di economia circolare attraversando gli spazi dell’Ex Cartiera di via Salaria».
La rassegna quest’anno si svolge in un momento storico in cui l’attenzione per la scienza, in molte delle sue applicazioni, è elevata, a causa della pandemia. Come deve essere veicolata la divulgazione scientifica per risultare efficace e a portata di tutti?
«Penso che il problema principale non sia la divulgazione scientifica, spesso bulimica e inappropriata, ma piuttosto la possibilità di poter accedere alle fonti corrette e sapersi districare tra il mare magnum delle fake news. Parlare con i ricercatori, nei luoghi dove questi lavorano, vuol dire, metaforicamente, risalire alla fonte. Ecco, questa ricerca, che è il cuore dell’informazione corretta, non è mai scontata».
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