La prima volta che ebbi modo di passare del tempo con Germano Celant, considerato dai curatori della mia generazione un maestro distante e quasi inarrivabile, era la primavera del 1993, pochi giorni dopo la personale di Enzo Cucchi al Museo Storico della Liberazione di via Tasso. Era il primo pomeriggio, stavo lavorando a casa e squilla il telefono: ÂŤSono Germano Celant, sono a Roma e vorrei visitare la mostra di Cucchi. Enzo mi ha detto che puoi accompagnarmiâŚâ
Dopo unâora eravamo nelle stanze del museo: Germano si guarda intorno e ci dirigiamo entrambi nella cella di contenzione, dove Enzo aveva collocato le sue teste deformate, disegnate su lunghi fogli di carta che dal soffitto arrivavano al pavimento. Germano sembrava interessato, ma fece pochi commenti e dopo una mezzâoretta uscĂŹ.
Non abbiamo mai lavorato insieme, ma penso che ci fosse fiducia reciproca. Non era un uomo da lunghe conversazioni ma di poche battute, spesso piuttosto caustiche. Conosceva il fatto suo, e non lo nascondeva, senza mai ostentarlo.
Il secondo incontro a tu per tu avvenne nel 2011 ad un tavolo del Caffè delle Arti a Roma, in occasione di unâintervista sulla nascita dellâArte Povera, protagonista di una serie di mostre curate quellâanno da Germano in diversi musei italiani. Anche in questa occasione la conversazione fu puntuale e precisa, durante la quale Germano raccontò gli anni dei suoi esordi come critico dâarte. Quando gli chiesi come fosse nata lâArte Povera rispose: ÂŤDalle circostanze. Avevo appena scritto un testo nel catalogo della mostra âLo Spazio dellâImmagineâ a Foligno nel 1967, e quindi sapevo di dovermi confrontare con il problema del rapporto tra lâopera e lo spazio. Vedevo che gli artisti utilizzavano materiali come il carbone, giornali o fascine di legno, e quindi mi venne in mente la parola âpoveraâ. Il riferimento al teatro povero di Grotowsky è arrivato piĂš tardi, allora non lo conoscevo perchĂŠ câerano poche informazioni su quello che accadeva fuori dallâItaliaÂť.
Unâaltra volta, sulla terrazza dellâappartamento di Lia Rumma affacciato sul Golfo di Napoli, gli avevo espresso il desiderio di raccontare la sua vita in un libro intervista, ma mi spiegò che in America due studentesse di storia dellâarte stavano lavorando ad un saggio sul suo lavoro, e la forma dellâintervista la riteneva troppo superficiale.
In occasione dellâantologica di Kounellis da Prada a Venezia avevo chiesto a Celant se aveva intenzione di esporre lâinstallazione che Jannis aveva presentato alla Pescheria di Pesaro, ma Germano rispose che era troppo complicato a livello organizzativo, e presentò il video. Ma non solo: lâimmagine coordinata della mostra a CĂ Corner della Regina è una fotografia di Michele Alberto Sereni scattata durante lâallestimento alla Pescheria.
In realtĂ , per una strana coincidenza, una circostanza di carattere privato mi aveva unito a Germano. Abbiamo due figli della stessa etĂ , e Argento Celant e Alexandre Pratesi avevano giocato insieme intorno ai 5 o 6 anni, durante un pranzo alla Maison Flipot a Torre Pellice, ospiti di Tucci Russo. Eravamo seduti allo stesso tavolo e ricordo che Paris, la mamma di Argento, suggeriva di vietare a mio figlio lâuso di qualunque dispositivo tecnologico, compresa la televisione. Mi sembrò una scelta troppo radicale, ma lei insisteva. ChissĂ se lâha educato cosĂŹ..
Lâultima volta che ho visto Germano era al Grand Palais, durante lâopening della Fiac lo scorso ottobre: era seduto su un gradino di una scala e stava mangiando. Mi misi a sedere accanto a lui e gli chiesi cosa avrebbe fatto nel pomeriggio: mi invitò ad un incontro con Giuseppe Penone alle 17 a Palais IenĂ . Gli dissi che ci sarei andato volentieri, ma per un imprevisto non ci riuscii. Non sapevo che non lâavrei piĂš rivisto.
Ciao Germano, ci mancherai.
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Ho avuto l'occasione di lavorare per delle mostre di Celant prima come assistente di Maurizio Fagiolo al Guggenheim di New York nel 1994 e poi ho scritto due testi su Giacomo Balla per le mostre della Fondazione Prada (Venezia 2012 e Milano 2018). Infine ho condotto il professore a rivedere Casa Balla recentemente ....l'aveva giĂ vista tantissimi anni prima con le "Signorine" mi disse..Insieme a Fagiolo sono stati veramente due maestri unici. Grazie