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Germano Celant morto per Coronavirus: si spegne la voce dell’Arte Povera

di - 29 Aprile 2020

Germano Celant, tra i maggiori protagonisti dell’arte contemporanea italiana e del suo rinnovamento, voce seguitisima della critica internazionale, è morto oggi, 29 aprile, a 80 anni. Celant, che coniò il termine Arte Povera, si è spento a causa delle conseguenze del Covid-19, virus che aveva contratto recentemente, durante un viaggio di lavoro negli Stati Uniti. La notizia ci è stata confermata da fonti vicine alla famiglia. Si chiude così, in maniera drammatica, una grande epoca per l’arte contemporanea in Italia.

La biografia di Germano Celant

Nato a Genova nel 1940, da padre impiegato in una ditta di import-export e madre casalinga, Germano Celant da giovanissimo iniziò a frequentare il vivace ambiente culturale che si stava sviluppando in quegli anni nella città ligure. Conobbe il gruppo dei cantautori, Gino Paoli, Umberto Bindi e Luigi Tenco e frequentò lo stesso Liceo di Fabrizio De Andrè. Nella metà degli anni ’60, iniziò a scrivere per riviste di cultura, nel 1964 lavorò alla progettazione di un libro sul design della Olivetti e, viaggiando tra Milano e Torino, conobbe Arturo Schwarz e Gian Enzo Sperone – qui ebbe modo di vedere la mostra di Andy Warhol, con Leo Castelli e Ileana Sonnabend tra gli invitati – oltre al gruppo di quelli che sarebbero poi diventati gli alfieri dell’Arte Povera.

Celant coniò la definizione di Arte Povera nel 1967, inquadrando un nutrito gruppo di artisti italiani che comprendeva Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali ed Emilio Prini, le cui opere furono esposte nella mostra leggendaria alla Galleria La Bertesca di Genova.

Nel 1968 la consacrazione con la mostra “Arte Povera più azioni povere”, nell’ambito della Rassegna Internazionale di Pittura agli Arsenali di Amalfi, organizzata da Marcello Rumma e recentemente ricordata in una mostra al Madre di Napoli, a cui parteciparono Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio, Ableo, Paolo Icaro, Pietro Lista, Gino Marotta, Gianni Piacentino, Richard Long, Jan Dibbets, Ger van Elk. Piero Gilardi, invece, non espose ma partecipò al convegno successivo, considerato uno degli atti fondativi dell’Arte Povera e, in generale, del rinnovamento dell’arte italiana, durante il quale intervennero anche critici come, tra gli altri, Achille Bonito Oliva, Gillo Dorfles, Filiberto Menna, Angelo Trimarco. Successivamente precisò la direzione teorica del gruppo, attraverso scritti ancora oggi attualissimi, come Conceptual Art, Arte Povera, Land Art del 1970.

Nel 1977, iniziò a collaborare con il museo Guggenheim di New York, di cui diventò in seguito senior curator.  Sempre al Guggenheim allestì nel 1994 la mostra “Italian Metamorphosis 1943-1968”, nel tentativo di avvicinare l’arte italiana alla cultura americana, un obiettivo costantemente ricercato da Celant, attraverso una serie di mostre dal forte taglio innovativo, nei musei più importanti al mondo, dal Centre Pompidou di Parigi, nel 1981, a Palazzo Grassi, a Venezia, nel 1989.

Nel 1997 fu nominato direttore della 47ma Biennale d’Arte di Venezia. «Non vorrei essere presuntuoso, ma credo che il compito che mi sono posto, appena venuto a conoscenza dell’incarico, sia stato quello di “mostrare” che la Biennale è potenzialmente uno strumento ad alto funzionamento qualitativo. A parte le infinite difficoltà politiche e burocratiche, la Biennale è un meccanismo espositivo unico al mondo, con potenzialità infinite sia sul piano dell’informazione che della didattica, sia della ricerca che del funzionamento. Gestita al massimo della sua potenza – che non è potere – potrebbe diventare un meccanismo a tempo pieno per la cultura contemporanea, e questo senza gravare molto sulla città e sullo stato. Lavorando a una sua ottimizzazione procedurale e funzionale, i risultati sarebbero sorprendenti. Infine, un altro traguardo che mi sono imposto è stato quello di riportare a Venezia i grandi protagonisti dell’arte mondiale, in tutte le loro manifestazioni linguistiche e di diverse generazioni», scriveva a commento della sua nomina. “Futuro, Presente, Passato” era il titolo della sua mostra, che presentava opere di artisti come, tra gli altri, Maurizio Cattelan, Enzo Cucchi, Ettore Spalletti, Marina Abramovic, John Baldessari, Vanessa Beecroft, Daniel Buren, Cai Guo Qiang, Dinos e Jake Chapman, Francesco Clemente, Gino De Dominicis, Jan Dibbets, Jim Dine, Jan Fabre, Luciano Fabro, Rebecca Horn, Ilya e Emilia Kabakov, Anselm Kiefer, Jeff Koons, Sol LeWitt, Roy Lichtenstein, Mario Merz, Annette Messager, Mariko Mori, Maria Nordman, Claes Oldenburg, Dennis Oppenheim, Giulio Paolini, Gerhard Richter, Pipilotti Rist, Edward Ruscha, Haim Steinbach, Luc Tuymans, Emilio Vedova, Franz West, Gilberto Zorio.

Celant non abbandonò mai il piacere della scrittura e ha continuato a collaborare per importanti riviste e giornali. Dal 2015, Celant è stato soprintendente artistico e scientifico della Fondazione Prada, per la quale, fin dalla metà degli anni ’90, ha curato mostre memorabili. Dalla prima personale in Italia di Walter De Maria, nel 1999, a “Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918–1943“, grande collettiva, presentata nel 2018, con più di 600 lavori, fino alla prima retrospettiva dedicata a Jannis Kounellis dopo la sua scomparsa, presentata nel 2019 nella sede di Venezia della Fondazione.

Nel 2001 è stato commissario del Padiglione Brasiliano alla 49ma Biennale Internazionale d’arte di Venezia, nel 2004 supervisore artistico della programmazione dei cento eventi culturali di “Genova 2004, Capitale Europea della Cultura”. Dal 2005 è curatore della
Fondazione Aldo Rossi, Milano e, dal 2008, è stato curatore artistico e scientifico della Fondazione Annabianca e Emilio Vedova, Venezia. In occasione di Expo 2015, ha curato la mostra “Art & Food” alla Triennale di Milano.

«Le avanguardie, le neoavanguardie, i collettivi, le tendenze, lasciano il posto a nuove figure fortemente connotate a livello individuale. Ti potrei fare degli esempi: da Julian Schnabel e Jeff Koons arrivi a Damien Hirst. Sono i nuovi eroi dell’arte che gestiscono direttamente la loro produzione. Quando Hirst si inventa la sua asta da Sotheby’s si muove con questa precisa determinazione», commentava in una intervista, nel 2017.

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  • Un grande uomo. Non parlo della sua cultura, perché è ovvio. Parlo di lui uomo. Anche bello. Una persona speciale che ha saputo vivere.

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