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07
gennaio 2017
I speak Italian
Personaggi
Il nostro collezionismo non ha particolarmente brillato per volontà di condividere e per sostegno all’arte italiana. Ma qualcosa sta cambiando. E i segnali vengono dalla periferia
In molti Paesi le associazioni di collezionisti sono state la base per l’evoluzione di un sistema dell’arte moderno, in continuo dialogo con gli artisti, i galleristi e le istituzioni museali. Spesso sono state il nucleo propulsivo dietro alla creazione di spazi pubblici dedicati all’arte – e in particolare all’arte contemporanea – come nel caso delle Kunsthalle in area tedesca, sorte già nel IXX secolo a partire dalla necessità di rappresentazione nella sfera pubblica dei privati amanti dell’arte. In Italia storicamente questo modello non si è affermato, e forse anche per questa mancata sinergia tra sostegno privato e istituzioni pubbliche i nostri artisti hanno fatto nel tempo fatica a trovare spazi in cui ricevere attenzione e sostegno continuativo alle loro attività, in un panorama contraddistinto da una scarsa presenza di istituzioni dedicate al contemporaneo, almeno fino alla fine degli anni ’90. A parte alcune note eccezioni, come Acacia – l’associazione nata a Milano nel 2003 con l’obiettivo di sostenere gli artisti italiani e di promuovere la costituzione di un museo pubblico di arte contemporanea nel capoluogo lombardo – il collezionismo è stato in Italia soprattutto un’attività individuale e privata. E se negli ultimi anni anche da noi si è registrata una fioritura di fondazioni private, a differenza che in altri Paesi l’apertura al pubblico di raccolte private non ha portato con sé cambiamenti più ampi relativi al ruolo e alla responsabilità del collezionista nel sistema dell’arte. Ma per fortuna due iniziative di recente costituzione sembrano far intravedere un possibile cambiamento in questo senso, a partire dall’impegno dichiarato per il sostegno agli artisti emergenti italiani e dalla collaborazione con istituzioni museali. L’originalità di queste nuove associazioni, il bisogno di ripensare qualcosa ha contagiato anche il mondo fieristico, diventando uno dei temi dei talk della passata edizione della fiera ArtVerona, perché, se in questo momento Consorzio e Miramart (questi i nomi delle due associazioni) sembrano costituire un eccezione, potrebbero fornire un modello virtuoso da moltiplicare.
Entrambe partono da un’esperienza individuale, in cui la passione per l’arte contemporanea diventa a un certo punto una passione da condividere. Così è stato per Mauro De Iorio (in alto), medico radiologo ed imprenditore sanitario veronese, che ha sperimentato quasi per caso (o necessità) la condivisione della sua collezione che, divenuta troppo numerosa per le sue abitazioni, ha trovato spazio nei suoi studi. «In questo modo mi sono reso conto che il contemporaneo, che tutti dicono difficile, incuriosisce, stupisce, spiazza: i miei pazienti mi facevano domande sulle opere alle pareti e grazie a loro ho capito che esiste un interesse del pubblico che va facilitato». Dalla condivisione negli spazi di lavoro alla condivisione con istituzioni museali il passo è stato breve: acquisire opere di grande formato e scegliere di non lasciarle in un deposito, ma renderle fruibili attraverso prestiti a lungo termine in istituzioni legate al territorio, come il MART a Rovereto e Museion a Bolzano è stato un modo ulteriore per creare occasioni di incontro. «Mi è sempre interessato anche avere rapporti con altri collezionisti, con cui scambiare informazioni e consigli, senza gelosie». Un modo per aver accesso diretto anche al rapporto con gli artisti o con galleristi, a volte non sempre facili da raggiungere in autonomia, fintanto che non si è raggiunto uno status riconosciuto. «Le associazioni di collezionisti possono essere utili anche nel facilitare la creazione di una rete di relazioni necessaria a muoversi in questo mondo».
E una volta che la rete è costituita? De Iorio, da anni nell’associazione di Amici della Gamec di Bergamo, ha deciso insieme a un gruppo di altri quindici, tra cui il decano dei collezionisti veneti Giorgio Fasol, di dar vita a una serie di progetti per sostenere l’arte emergente – da sempre tra i suoi interessi – in sinergia con il territorio in cui vive e lavora. La scelta è stata quella innanzitutto di collaborare con la fiera di Verona, adoperandosi per facilitare la presenza di giovani gallerie che svolgono una funzione essenziale di ricerca e supporto al lavoro di artisti che si trovano ancora in una fase delicata della loro carriera. Una priorità per De Iorio, che è pronto anche a immaginare nuovi formati espositivi all’interno della fiera: «Un domani sarebbe bello ipotizzare che in fiera ci potesse essere anche uno spazio per artisti giovani che non hanno un rapporto con le gallerie, selezionati per una sezione speciale da un curatore, per dar anche a loro modo di avere una vetrina e allacciare rapporti con i collezionisti in modo diretto».
E nel frattempo la condivisione è andata avanti con una mostra curata da Andrea Bruciati al museo di Castelvecchio a Verona nell’autunno scorso, dove i sedici collezionisti entreranno con altrettante opere selezionate dalle loro raccolte in dialogo con gli spazi e i percorsi espositivi del museo, con pezzi di artisti storici italiani come Fausto Melotti e Giorgio Griffa e mid career come Pietro Roccasalva, Arcangelo Sassolino, Gianni Caravaggio, Loris Cecchini, oltre a un gruppo di stranieri tra cui Tony Cragg, Nathalie Djurberg, Marlene Dumas, Jimmie Durham, Elad Lassry e Hans-Peter Feldmann.
Sulla costa ligure, a Santa Margherita, Andrea Fustinoni ha dato vita invece dal 2015 a Miramart, un’associazione che ha sede nell’hotel di famiglia, che nel periodo di bassa stagione diventa un luogo aperto a tutti in cui organizzare mostre, eventi e presentazioni, con lo scopo di avvicinare all’arte contemporanea un pubblico diverso da quello che già frequenta mostre e musei, e allo stesso tempo offrire anche a chi è già appassionato – collezionisti e non – un luogo in cui incontrarsi. «L’arte contemporanea troppo spesso si chiude in spazi non facilmente accessibili», sostiene Fustinoni, una storia da collezionista lunga ormai 15 anni, che ha coinvolto come fondatori dell’associazione anche il fotografo Andrea Botto e Raffaella Fontanarossa, curatrice e storica dell’arte. Il focus anche in questo caso è sull’arte giovane italiana, con una linea che privilegia la fotografia, medium che ha contraddistinto tutte le iniziative pubbliche finora realizzate, a partire dalla mostra di Moira Ricci che ha inaugurato la programmazione. Il dialogo con la collezione privata è discreto ma costante: una parte è confluita nella collezione Miramart, a cui è stata dedicata una mostra, e il progetto prevede che dal 2017 vengano installate alcune opere in modo permanente negli spazio dell’albergo.
Ma le attività non si limitano agli spazi di Santa Margherita: la mission che l’associazione si è prefissa viene svolta anche garantendo sostegno ad artisti italiani per progetti che non sono direttamente collegati ai suoi spazi. «Quando decidiamo di sostenere economicamente il progetto di un’artista non chiediamo in cambio nulla, né un’opera né una mostra nei nostri spazi: pensiamo che sia importante riuscire a fornire un sostegno a giovani di talento, senza dover entrare necessariamente in una logica di scambio». Così hanno già fatto per Claudia Losi, Claudio Gobbi e Luca De Leva. E la loro attenzione è già così nota che diversi artisti hanno approcciato direttamente l’associazione con i propri progetti richiedendo un sostegno economico. Ma Fustinoni è anzitutto un entusiasta sostenitore del museo genovese di Villa Croce: non solo è tra i suoi “Amixi” – così si chiama il gruppo di amici dell’istituzione – ma fece parte della cordata che nel 2011 si spese con il sindaco della città, chiedendo ed ottenendo che fosse indetto un concorso internazionale per il nuovo direttore del museo e garantendo sostegno finanziario al suo mandato. Il passo da collezionista a mecenate ha rappresentato anche un cambiamento nella qualità dei rapporti all’interno del sistema dell’arte, aprendo nuove prospettive: «Con Miramart produciamo eventi in cui non si ritrova la pressione tipica di alcune situazioni come gli opening o le fiere, cadono dei filtri nel contatto tra il pubblico e l’artista e non si sente la pressione che troppo spesso caratterizza questo mondo».
Silvia Simoncelli