Idee per il futuro è la nuova rubrica di exibart, per dare la parola agli artisti e immaginare, insieme, nuove idee per il futuro, oltre che per provare a capire come realizzarlo, dopo l’emergenza Covid-19: l’appuntamento di oggi è con Iginio De Luca.
Iginio De Luca è nato a Formia, il 21 agosto 1966. Vive a Roma e insegna Decorazione e Installazioni Multimediali all’Accademia delle Belle Arti di Frosinone. È un artista poliedrico e un musicista. Negli ultimi anni la sua poetica si è concentrata soprattutto sulla produzione di video, di immagini fotografiche, installazioni sonore ma anche di quelli che lui definisce blitz. Considerandoli a cavallo tra arte urbana e performance, l’artista compie azioni a volte sorvolando, altre proiettando e scappando, altre ancora arrivando in luoghi con elementi di forte disturbo e impatto visivo. Ibridando etica ed estetica, tecnologia e azioni comportamentali, Iginio reclama l’interazione con l’ambiente e il pubblico, denunciando, tra ironia e impegno, la crisi di valori di questo nostro tempo.
Nel 2019, per la casa Mincione Editions, pubblica il libro Blitz, a cura di Claudio Libero Pisano. Suoi video sono stati proiettati in numerosi festival in Italia e all’estero, ha partecipato alla XIV Quadriennale di Roma, ha esposto in spazi pubblici e privati come museo Maxxi, Auditorium Parco della Musica, Palazzo delle Esposizioni, AlbumArte, Museo Macro, Museo Ciac di Genazzano, Museo del Vittoriano. Nel 2018 ha partecipato ai Martedì Critici ed è stato invitato in varie residenze come Bocs Cosenza, Apulia Land Art, Atelier d’artista ai Mercati di Traiano. Il suo lavoro si trova in numerose collezioni pubbliche e private. Tra le mostre personali, “Expatrie” nel 2016, “Riso Amaro” nel 2017 da Albumarte, “Iailat” nel 2018 al Sound Corner dell’Auditorium.
Tre cose che chiederesti per far fronte al futuro, come professionista dell’arte
«Passione, passione, passione. La risposta semplicistica, ingenua e provocatoria, segna emozionalmente questo tempo cruciale e screma le importanze. Se si viene scossi, con una scossa bisogna reagire e non parlo di gesti eclatanti o incursioni clandestine. Il mio presente oggi è un’apnea prolungata che congela lo spazio, marca le distanze fisiche e verifica quelle affettive. Il mio pensiero cerca continuamente di aggiornare i contorni stranianti della mia vita uguale e diversa, vicina e distante a me stesso e agli altri. E’ il momento della sottrazione, dello smarrimento e dell’assenza a cui non so dare un nome, un suono, un’entità.
Il futuro è ancora da scrivere e sarà il frutto di una trasformazione viscerale prima che razionale e strategica. Vorrei chiamarle le priorità affettive, perché penso che da un trauma locale e globale il proprio sentire, profondo e articolato, sarà il primo elemento certo e salvifico, il punto zero da cui muoversi per dare senso alla realtà, poi verrà tutto il resto.
A ogni singola persona nel suo campo d’azione e di risonanza del mondo dell’arte e della cultura, della burocrazia e della politica, delle istituzioni museali e dell’economia, chiedo comportamenti passionali prima che professionali, capaci di scendere nelle proprie fondamenta emotive e setacciarne i bisogni, le pulsioni, i desideri primari. Premesse romantiche, utopistiche e fuori dal tempo, ma non saprei da dove partire se non da noi stessi e dalle nostre ragioni di vita, inceppando le pieghe del sistema in un momento così incerto, sospeso e dalle derive inaspettate. Poi potremo cominciare a parlare di denaro, di possibilità di esporre, di studi gratuiti, di minori imposte sull’Iva e cosi via. Avremo di fronte smottamenti economici, etici e biografici, valori da resettare e aggiornare, azioni da riformulare, pensieri da calibrare e anche l’arte seguirà queste metamorfosi; anzi ne illuminerà le fasi perché vive e metabolizza le circostanze problematiche che il presente gli offre e l’opera, la più sublime tra le metabolizzazioni, rappresenta un interstizio sociale e poetico, inutile o necessario, nella possibilità di creare significato radicandosi in qualsiasi condizione».
Ci puoi dire un motivo per cui, secondo te, ancora oggi in Italia si fatica a riconoscere i diritti degli artisti come categoria professionale?
«Il motivo non è unico, ce ne sono tanti, alcuni atavici, altri recenti. Siamo affetti da varie sindromi, personali e nazionali: amnesia, crisi d’identità, bassa autostima, perdita di conoscenza. Tutto parte da lontano e dall’alto; dalla storia italiana, dalla scompattezza di un popolo, dalla sua giovinezza e incoscienza. Di contro pensiamo alla Francia, alla Germania fino alla Turchia dove, in maniera assai inquietante, a ogni cocuzzolo corrisponde una bandiera nazionale che ne marchia politicamente il territorio, ricordandone i fasti e le glorie.
L’Italia, dissociata, misconosce quello di cui è fatta: l’arte. Sembra un gioco al massacro, un autogol, un suicidio infinito, eppure; eppure non riusciamo a sottrarci al lato oscuro di noi stessi e guardare l’altra faccia della realtà, quella di cui gioiscono gli altri. Sortilegio? Fattura? Sicuramente alla base c’è una grande ignoranza di chi ci amministra, di chi, ai vertici di una politica autoreferenziale, non ha visione, amore, coraggio, progettualità, fiducia. Non crede all’artista perché non lo vede, non sa che è ed è sempre stato un interprete della vita civile e culturale di un’epoca, cardine sensibile di questioni fondamentali della coscienza privata e pubblica.
Figuriamoci sperare in riconoscimenti, sostegni legislativi, aiuti morali e materiali ai protagonisti della produzione contemporanea. E l’artista, nei momenti di crisi, nel suo smarrimento identitario, diventa l’anello più sottile di una catena pesante ed estranea. E quasi si auto ghettizza, convinto che in fondo produce il superfluo, l’effimero e di certo non i beni di prima necessità, specialmente in questo periodo.
Nonostante i dubbi, immancabili e ricorrenti, l’intraprendenza eroica e donchisciottesca di artisti visionari e illuminati produce culturale nazionale di ottimo livello e, forse proprio per questo, più coriacea e allenata ad adattarsi e a risorgere tra mille difficoltà.
La creatività in Italia, malgrado tutto, tenacemente resiste e, mi auguro, ora più che mai in modo ancora più feroce e potente».
Parliamo dei danni, oltre a quelli morali. A quali progetti stavi lavorando prima di questo isolamento? Prevedi che si concretizzeranno o dovranno essere abbandonati?
«Un’azione urbana di natura intima sulle dinamiche snob ed elitarie dell’arte contemporanea, una presentazione a Bruxelles del mio libro “Blitz” con relativa mostra all’Istituto di cultura, un’affissione pubblica a Torino, un bel progetto con un liceo artistico di Roma, un lavoro installativo a Torre Flavia vicino Ladispoli, la presentazione da Albumarte di un lavoro performativo avvenuto a dicembre scorso, progetti Erasmus con l’Accademia di Belle Arti di Frosinone, sede attuale della mia attività didattica. Appuntamenti da cancellare, da rinviare e da ripensare. Sicuramente non da confermare cosi com’erano all’origine. Questo è soltanto l’aspetto più didascalico del calendario mancato; la trasformazione di ogni evento sarà inevitabilmente sostanziale e profonda, nel bene e nel male di ogni possibilità.
Nel tempo interrotto e alterato, dedico ascolto a quello che per me è l’inizio di tutto: la pittura. Con passo lento e cadenzato ripercorro manualmente le fasi del mio lavoro: fotografie, blitz, frame di video, di azioni performative. Immagini tradotte dal filtro mentale e pragmatico del dipingere che nascono parallelamente ai ritmi dilatati di questi giorni. Ogni tanto mi siedo poco più in là e impugno le bacchette; il suono travolgente di quel che resta di una batteria, mia vecchia passione, mi richiama all’infanzia e il pensiero si assenta, si sposta in altri luoghi della memoria e, per un attimo, sono incoscientemente felice».
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