Idee per il futuro è la nuova rubrica di exibart, per dare la parola agli artisti e immaginare, insieme, nuove idee per il futuro, oltre che per provare a capire come realizzarlo, dopo l’emergenza Covid-19: l’appuntamento di oggi è con Bianco-Valente.
Bianco-Valente (Giovanna Bianco, Latronico, 1962 e Pino Valente, Napoli, 1967) vivono a Napoli dove si sono incontrati nel 1993. Iniziano il loro progetto artistico indagando dal punto di vista scientifico e filosofico la dualità corpo-mente, l’evoluzione dei modelli di interazione tra le forme di vita, la percezione, la trasmissione delle esperienze mediante il racconto e la scrittura. A questi studi è seguita un’evoluzione progettuale che mira a rendere visibili i nessi interpersonali. Esempi sono le installazioni che hanno interessato vari edifici storici e altri progetti incentrati sulla relazione fra persone, eventi e luoghi.
Dal 2008 curano con Pasquale Campanella il progetto di arte pubblica A Cielo Aperto, sviluppato a Latronico, in Basilicata, perseguendo l’idea di lavorare alla costruzione di un museo diffuso all’aperto, in cui diverse opere permanenti dialogano con l’ambiente montano, e di intervenire nello spazio urbano con progettualità condivise e partecipate.
Sin dai loro esordi Bianco-Valente hanno partecipato a numerose mostre personali e collettive, in Italia e all’estero, ed eseguito interventi installativi per importanti istituzioni museali e spazi pubblici, come Museo MAXXI (Roma), MACBA (Barcellona), Museo Madre (Napoli), Fabbrica 798 (Pechino), Palazzo Strozzi (Firenze), Triennale di Milano, Urban Planning Exhibition Center (Shanghai), Museo Reina Sofia (Madrid), Palazzo delle Esposizioni (Roma), Museo Pecci (Prato), Kunsthaus di Amburgo, NCCA – National Centre for Contemporary Arts (Mosca), MSU-Muzej Suvremene Umjetnosti, Zagabria (Croazia).
Il loro progetto Terra di me viene selezionato come evento collaterale per Manifesta 12 (Palermo 2018), partecipano alla Bienal del Fin del Mundo 2015, Mar Del Plata (Argentina) e alla 2nd Xinjiang International Art Biennale, Urumqi (China) 2014. Hanno realizzato progetti site specific anche in Libano (Becharre), in Marocco (Marrakech), New York (ISP 2014 Whitney Museum a The Kitchen), Rio de Janeiro (Casa Italia – Olimpiadi Rio 2016), Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma, 2018, FreiRaum Naples/Amsterdam 2018/2019, Ambasciata Italiana di Yerevan, Armenia, 2019, Harabel/Istituto Italiano di Cultura di Tirana, 2020.
«La pandemia si è sovrapposta alla crisi finanziaria del 2008, nella quale eravamo ancora tutti più o meno invischiati. Le gallerie, al netto delle tante che avevano già chiuso negli anni scorsi, non sanno più cosa inventarsi pur di mantenere aperti i battenti, mentre gli artisti hanno quasi tutti imboccato la strada dell’insegnamento, con il fisso mensile che permette di guardare alla catastrofe del sistema economico dell’arte come se non fosse un proprio problema.
Finché non si allarga la fascia delle persone che hanno un surplus economico che gli permetta di comprare opere d’arte, possiamo immaginare tutte le strategie che vogliamo, ma non andremo comunque molto lontano.
Che fare?
In attesa del cambio di rotta nel trend economico globale, avremmo probabilmente bisogno di “palestre” in cui fare esporre giovani artisti in mostre curate da giovani critici. Esporre le proprie opere e mettere in chiaro i propri concetti è fondamentale, si attiva il confronto con gli altri artisti, gli appassionati e la critica, nascono le fazioni, si scopa, si cresce tutti insieme.
Lo si potrebbe fare nei musei, visto che spendiamo molti soldi per tenerli aperti, potremmo così attivarli dandogli un ulteriore senso, ma lo si potrebbe soprattutto fare nelle gallerie piccole e medie, usando dei finanziamenti a fondo perduto che darebbero un po’ di ossigeno a questi spazi che dobbiamo considerare come degli imprescindibili presidi culturali.
Lo stato potrebbe anche attivarsi tramite i musei per l’acquisizione di opere di artisti italiani, con il doppio vantaggio di mantenere in essere questo comparto e creare una collezione che acquisirà valore con il tempo, che potrà essere esposta nei musei e nei luoghi di rappresentanza della nostra cultura, soprattutto all’estero.
Sul piano personale non ci è mai interessato il riconoscimento ufficiale da parte dello stato, siamo contrari all’istituzione di un ordine professionale, contrari anche agli incentivi di stato che vanno a placare le urgenze della vita. Se e quando non saremo più in grado di vivere con i proventi dell’arte, ci dedicheremo anche ad altro.
Avevamo tanti progetti in programma, mostre, incontri, presentazioni, sopralluoghi per nuove mostre, inutile stare qui a farne l’elenco, ovviamente è tutto saltato, magari si riuscirà a riprendere qualcuno di questi progetti in futuro, mentre altre cose stanno già nascendo da questo periodo così problematico. Non ci dimentichiamo che è proprio dai momenti di crisi e dalle difficoltà oggettive che nascono le grandi spinte ideali in grado di cambiare il mondo. Citiamo sempre l’esempio degli studi di Cinecittà, completamente occupati dagli sfollati alla fine della seconda guerra mondiale, contingenza che spinse i registi a girare i propri film portando le macchine da presa direttamente nelle strade delle nostre città, dando così avvio alla stagione del neorealismo.
Chissà quale sarà la reazione degli artisti a questo fenomeno misterioso, percettivamente invisibile ma potenzialmente in grado di radere al suolo l’economia, la socialità e l’organizzazione intrinseca del nostro stesso corpo».
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