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Idee per il futuro è la nuova rubrica di exibart, per dare la parola agli artisti e immaginare, insieme, nuove idee per il futuro, oltre che per provare a capire come realizzarlo, dopo l’emergenza Covid-19: l’appuntamento di oggi è con Fabrizio Bellomo.
La biografia di Fabrizio Bellomo
Fabrizio Bellomo (Bari 1982).
Parte dei risultati della ricerca portata avanti, sono stati esposti nei più svariati contesti, fra cui: “Arcipelago Italia. Progetti per il futuro dei territori interni del Paese” – Padiglione Italia alla 16. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, “About a City 2019” – Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Milano, “Meccanicismo” – KCB Kulturni Centar Beograda, “Talent Prize 2017” – MACRO Museo Arte Contemporanea Roma, “plat(t)form 2015” – Fotomuseum Winterthur, “Teatri i Gjelberimit” – Galeria Fab Tirana, “Erosioni” – Fundaciò Enric Miralles Barcelona, “ArtAround” – MuFoCo Museo di Fotografia Contemporanea, “55° Festival dei Popoli di Firenze”, “34e Cinemed – festival international du cinéma méditerranéen de Montpellier”. Negli ultimi anni ha pubblicato per l’edizione pugliese di La Repubblica e saltuariamente per Artribune, Zero, Elle Decor e Il Sole 24 Ore magazine. Meridiani, paralleli e pixel. La griglia come medium ricorrente, postmedia books, Milano – e Villaggio Cavatrulli, Centro DI, Firenze – sono gli ultimi libri editi.
La parola agli artisti
Tre cose che chiederesti per far fronte al futuro, come professionista dell’arte (Denaro? Possibilità di esporre? Studio gratuito? Minori imposte sulla Partita Iva? Abbassamento dell’IVA per chi decide di investire in arte? Creazione di un sindacato?…)
I 5000 euro che arrivano agevolmente in due tre giorni dal governo tedesco fanno fare paragoni, certo. Poi, ma anche prima di tutto ciò: ci sarebbe già voluto un regime estremamente e realmente agevolato per gli operatori culturali a partita iva (magari anche rendendo la previdenza facoltativa, se già non riesco a essere sostenibile oggi come posso anche occuparmi delle modalità in cui lo sarò domani?). Certo è, che alcune tassazioni, traslate sull’arte, diventano beffarde, per fare un esempio a mio avviso emblematico: le somme destinate ai vincitori dei premi artistici, sono tassate alla stessa maniera delle tassazioni che vigono su gratta e vinci e Superenalotto. Non viene preso in considerazione il lavoro di ricerca e anche di caparbietà e di investimenti, che porta al risultato – in questo caso alla vincita di un premio (e non per elogiare i premi), però è emblematico vedere questi introiti trattati fiscalmente, come se fossero meramente legati al colpo di fortuna, tassati alla stessa maniera. La prima volta, quando ventenne – mi ritrovai di fronte a tale situazione, il tutto mi sembrò beffardo, mi ripeto – ma credo sia il termine corretto.
Ci puoi dire un motivo per cui, secondo te, ancora oggi in Italia si fatica a riconoscere i diritti degli artisti come categoria professionale?
Le responsabilità qui credo siano molteplici. Da un lato, non si riconosce il valore del lavoro intellettuale e soprattutto non si riconoscono le ricadute che questo può avere e ha, anche e soprattutto nella vita quotidiana di tutti. (Pensiamo a quanto la percezione di questo periodo sarebbe potuta peggiorare senza film, musica o libri e immagini di artisti ecc…). Molte opere e soprattutto i progetti relazionali, o di matrice architettonica e nell’ambito dell’arte pubblica, considerati spesso solo utopie, dovrebbero e potrebbero divenire parte della quotidianità con le conseguenti ricadute esperenziali per le comunità così amministrate. Non basteranno mai però i soli artisti, per facilitare l’innescarsi di una profonda evoluzione – senza amministratori e detentori del potere altrettanto visionari, non se pò fa’, almeno non in modo sistemico. Se solo l’ambiente politico e istituzionale fosse più pregno di queste visioni e rischiasse di più… Ma si rivendono sempre e solo seguendo determinate e comode scie o abili intuizioni, guarda oggi – chi sbandiera subito il trasferimento di massa dalle città nei borghi, fino a ieri promuoveva il potere sovversivo (?) dei grattacieli muniti di fioriere – ma d’altronde siamo una società che è stata in grado di inventarsi le piante di plastica – le piante di plastica – dove intravedo i prodromi di quei ‘boschi’. Come sembrano vecchi – già oggi questi edifici. Va detto anche però che il proliferare di scuole e soprattutto di artisti e creativi spesso privi di qualsivoglia attenzione per la ricerca – non ha aiutato a essere visti positivamente nella società contemporanea. Diciamocelo, quanti ricercatori appassionati orbitano intorno all’industria culturale: purtroppo ed evidentemente una percentuale non abbastanza sufficiente. Questa reputazione non può essere il risultato solo di un pregiudizio. Il pensiero-comune sull’artista come cazzaro non è del tutto campato in aria, e magari il cazzaro in questo caso potrei anche essere io mentre affermo ciò :-).
Parliamo dei danni, oltre a quelli morali. A che progetti stavi lavorando prima di questo isolamento, ma soprattutto prevedi che si concretizzeranno o dovranno essere abbandonati?
Stavo lavorando alla realizzazione di un progetto d’arte pubblica su commissione dell’ICCD l’Istituto Centrale per la Documentazione e la Catalogazione del MiBAC. Abbiamo sospeso il tutto ma ritorneremo a lavorarci su. Stessa sorte per un progetto filmico, commissionato dall’associazione culturale “I Bambini di Truffaut”, da realizzarsi con un gruppo di adolescenti del quartiere San Paolo di Bari. Anche su questo ci rimetteremo a lavorare appena possibile. Docenze e seminari: quello da fare a Milano alla Bauer non subirà credo alcuno slittamento, si farà on line. Non si lavora male con lo schermo condiviso sulle piattaforme. Bisogna ammetterlo. Al Sud, sbircio più problemi di gestione sulla digitalizzazione, ma era chiaro sarebbe accaduto. Questa crisi ha ovviamente fatto emergere, anzi ha fatto esplodere le diverse velocità, così come i diversi privilegi. Altro che livella. Questa narrazione di uguaglianza dettata dalla pandemia è vomitevole. Presto esploderà anche una rinata lotta di classe. L’immagine dei riders (piloti? Di cosa?), dei fattorini operanti per i vari marchi di delivery, che aspettano a Milano l’ultimo treno notturno per rientrare a casa. Solo loro, una lunga fila di uomini che vengono trattati e vestiti finanche ad assumere le sembianze di soli numeri, di soli pixel tridimensionali – con quel box colorato dietro le spalle. Tutti a casa a quell’ora, meno che coloro che ci portano i capricci culinari della serata da passare davanti all’ennesima seriaccia di Netflix. Una scena barbarica che ha finalmente palesato visivamente e in modo molto potente, la condizione di schiavitù di alcune categorie. Questa sensazione di ingiustizia sociale, si percepiva già da anni, girovagando per Milano e incontrando per le strade o nei punti di ritrovo di Porta Genova o del McDonald di Ventiquattro Maggio, decine e decine di fattorini dei delivery – tutti quasi sempre immigrati, tutti con la pelle più scura. Era qualcosa di già estremamente evidente, ma quella scena dell’attesa del treno è inumana. Da questa immagine bisognerebbe ripartire, per rimodellare la società. Lo faremo? Ne dubito fortemente, qualche giorno fa Amazon in sole 5 ore, ha fatto utili per oltre 6 milioni. Io personalmente non ho da lamentarmi, sono stato un privilegiato e in questi mesi di clausura ho potuto lavorare a un altro nuovo film, e a un libro: entrambi a buon punto della produzione ormai.
[…] possono essere valorizzate e ripensate per i tempi nuovi. Il tema dell’arte pubblica è stato evocato da più voci, sebbene la sua definizione non sia univoca, anzi dia spesso adito a fraintendimenti e sia molto […]