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Idee per il futuro è la nuova rubrica di exibart, per dare la parola agli artisti e immaginare, insieme, nuove idee per il futuro, oltre che per provare a capire come realizzarlo, dopo l’emergenza Covid-19: l’appuntamento di oggi è con Ettore Favini.
La biografia di Ettore Favini
Nato nel 1974, Ettore Favini ha esposto numerosi progetti personali in varie sedi, in Italia e all’estero, tra le quali ricordiamo: Carré d’Art Contemporaine di Nimes, Museo del ‘900 di Milano, Istituto Italiano di Cultura di Tirana, Italian Academy della Columbia University, Man di Nuoro, Villa Croce a Genova. Ha partecipato inoltre a mostre collettive presso Autostrada Biennale di Prizren, ISCP di New York, Song Eun Art Space di Seoul, Ocat di Shanghai, Centre for Contemporary Art Futura di Praga, Manifesta 9 a Genk, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, PAC – Padiglione Arte Contemporanea di Milano, Villa Medici Accademia di Francia a Roma, Fondazione Pastificio Cerere, American Academy a Roma.
Ha vinto numerosi premi e residenze nazionali e internazionali. Nel 2019, con il progetto “Au Revoir”, ha vinto la sesta edizione del bando Italian Council indetto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Mibact.
È attualmente docente nel Corso di Visual Art della Nuova Accademia di Belle Arti NABA di Milano e Roma e del Corso di Pittura all’Accademia di Belle Arti G. Carrara di Bergamo.
Le idee per il futuro
Tre cose che chiederesti per far fronte al futuro, come professionista dell’arte
«Rispondo citando Giuseppe Chiari: “L’Arte è finita, smettiamo tutti insieme” e aggiungo “Cattelan anche”. Credo che questo momento di stop darà la possibilità ad ognuno di noi di riflettere su quanto stava facendo e se vale la pena continuare. Sarà un buon momento di riconsiderare la frenesia a cui eravamo sottoposti e che spesso ci auto-imponevamo, sarà utile per riportare ordine, per ripulire dagli eccessi, per ricondurre tutto ad un sano ridimensionamento del nostro stile di vita. Questa emergenza sta diventando molto più lunga di quanto potessimo prevedere, ma sarà uno spartiacque, molti di noi si troveranno in difficoltà e si daranno altre priorità, probabilmente molte gallerie non riapriranno più e per alcuni musei non sarà facile ripartire. Anche per gli operatori più “consolidati” sarà più dura continuare, vista la cancellazione di fiere e grandi manifestazioni internazionali per un po’ di mesi. Spero che questa pausa ci aiuti a smettere di essere schiavi dell’ego e grazie al tempo che abbiamo avuto per riflettere, ne giovi la qualità del pensiero e delle opere che verranno realizzate nel futuro. L’incertezza e la precarietà sono “territori” all’interno dei quali gli artisti si sono sempre mossi agilmente, abituati a convivere con una cronica scarsità di denari. Credo che il Governo e il Ministero dovrebbero ripartire dai Musei, da troppo tempo si sta pensando della funzione del Museo e del suo futuro, forse è giunto il momento per una riflessione profonda. Nella maggior parte dei casi si tratta di luoghi morti, polverosi, la cui unica funzione é la conservazione di opere e documenti; dovrebbero invece diventare delle cellule vibranti connesse con gli artisti, il territorio ed il mondo. Luoghi di sperimentazione e ricerca, in cui l’arte non debba essere solo conservata, ma prima di tutto immaginata, ricercata e commissionata. Luoghi flessibili, aperti anche alle sperimentazioni più recenti, le cui produzioni possano poi essere distribuite nella rete dei musei italiani. Potrei fare un parallelo con la composizione musicale: sarebbe assurdo sprecare un lavoro così lungo, costoso e complesso per un solo concerto, invece, fortunatamente, dalla singola esibizione si passa alla tournée. In arte, come sappiamo, non accade: dopo mesi di lavoro per la realizzazione di una mostra viene esposta in un museo e lì finisce, quando potrebbe essere semplicemente distribuita e promossa tra i musei nazionali, ma forse è così banale che nessuno ci ha mai pensato. Ho letto la proposta di Nicola Fratoianni rispetto a un reddito d’Arte, secondo la quale lo Stato diventerebbe mecenate per sostenere la ricerca e la funzione sociale e pubblica della cultura. Ma mi chiedo che artisti dovrebbero essere stipendiati? A partire da quali criteri? La sua proposta é interessante in termini generali, soprattutto nel passaggio in cui afferma che “Arte e cultura sono state misurate spesso con i criteri della produttività”. Il collezionismo privato non può e non dovrebbe essere l’unica forma di sostentamento per gli artisti, però purtroppo ad oggi la situazione é questa, e ciò dal momento che non esiste un Sistema artistico vero e proprio, fatto di una rete diffusa come in molte realtà europee o internazionali».
Ci puoi dire un motivo per cui, secondo te, ancora oggi in Italia si fatica a riconoscere i diritti degli artisti come categoria professionale?
«Questo è un tema che mi è molto caro, nel 2010 con Luca Bertolo, Chiara Camoni, Maddalena Fragnito, Linda Fregni Nagler, Alessandro Nassiri Tabibzadeh e Antonio Rovaldi, ci siamo riuniti in un gruppo spontaneo dal nome “Vladivostok”. Eravamo tutti accomunati dalla delusione nei confronti del “Sistema Italia” e spinti dalla necessità di scrivere un documento che potesse riassumere la situazione dell’Arte Contemporanea italiana e che, di conseguenza, suggerisse alcune possibili linee di cambiamento. Ricordo che soprattutto nei primi incontri uscivano posizioni vicine al “sindacalismo dell’arte” a cui mi sentivo molto lontano, i punti fermi dovevano essere la centralità dell’artista e la tutela della vita dell’opera d’arte. Da queste riflessioni siamo arrivati a tradurre una serie di contratti utilizzati in Germania, per poi adeguarli alla normativa italiana grazie alla Prof.ssa Alessandra Donati (Università Milano-Bicocca) e al Prof. Gianmaria Ajani (Università di Torino), tramite il contributo di Anna Detheridge li abbiamo poi sintetizzati in un manifesto e resi pubblici attraverso il sito che avevamo realizzato appositamente e finalmente presentati e discussi in pubblico, presso la Gam Torino, Accademia di Brera di Milano, Nomas Foundation Roma e numerosi spazi indipendenti. Alessandro ha poi continuato ad aggiornare i contratti che adesso vengono adottati da artisti e gallerie, più di quanto ci saremmo aspettati, ma sicuramente meno che nel resto d’Europa e del mondo. Personalmente credo che molta responsabilità sia proprio a carico degli artisti che non vogliono rivendicare i propri diritti per paura o timore, preferendo i contratti all’italiana (la stretta di mano). Dopo l’esperienza di Vladivostok, quando vengo chiamato per un lavoro chiedo sempre di poter firmare o adottare un contratto che regoli e tuteli le parti. Sempre nella storia dell’arte sono esistite le forme contrattuali: se guardiamo ad artisti come Caravaggio, era proprio la committenza che si tutelava con contratti, per paura che l’artista non consegnasse l’opera…oggi purtroppo le parti si sono invertite».
Parliamo dei danni, oltre a quelli morali. A quali progetti stavi lavorando prima di questo isolamento, ma soprattutto prevedi che si concretizzeranno o dovranno essere abbandonati?
«La mia vita non é stata stravolta dalla pandemia, l’unico cambiamento è che ora tutte le riunioni e gli appuntamenti si svolgono online, compreso l’insegnamento. Spero che questo servirà nel futuro ad evitarci inutili spostamenti per doversi necessariamente vedere di persona (ridimensionamento come dicevo sopra). Più che di danni, parlerei di disagi momentanei, stavo lavorando in particolare al progetto “Au Revoir”, vincitore della VI edizione di Italian Council, indetto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea. Attualmente la mostra ospitata al Carré d’Art Contemporaine di Nîmes curata da Roberta Garieri, la mostra é stata installata poco prima del lockdown in Italia, ma ancora da inaugurare. Il programma di promozione, che stiamo portando avanti con l’associazione Connecting Cultures, per ora é stato rimandato, ma sono certo, anche in funzione dei contratti che sono stati sottoscritti, che verrà terminata».