Categorie: Personaggi

Il dubbio è la certezza

di - 27 Maggio 2016
La sua esistenza è stata racchiusa come in un susseguirsi di frammenti, scanditi in partiture costanti, legate, dissonanti, speculari, contrastanti. Nato a Napoli nel 1932 e scomparso prematuramente nel 1990, Carlo Alfano ha definito la vita come un movimento ritmico accelerato e ne ha fatto la base di tutta la sua ricerca artistica che si è concentrata su grandi argomenti ciclici, per un’archeologia della rappresentazione. Difficilmente inquadrabile in schemi precisi, la sua poetica ha percorso traiettorie oblique, intermediali, contribuendo a decostruire gli strumenti e i temi della pratica artistica, attraverso un denso segno concettuale, intriso tanto di inquietudini e passioni, quanto di intimità esistenziale e filologia rigorosa. Da Shakespeare a Foucault, dalla metafisica all’antropologia, dalla pittura alla scrittura, le fonti sono state eterogenee, sempre tendenti a un’elusione continua delle definizioni che, tra riscoperte continue, ne ha reso alterne le fortune.
Alfano è stato uno degli artisti di punta di Lucio Amelio, al quale era legato da grande affetto e profonda stima, e sue personali si sono susseguite tra la galleria parigina di Ileana Sonnabend e quella napoletana di Lia Rumma. Ma solo nel 2001, una mostra a Castel Dell’Ovo, curata dallo Studio Trisorio e in collaborazione con l’Archivio Alfano – che conserva una vasta mole di documentazione, tra corrispondenza e scritti autografi – ha sembrato ridestare il dibattito critico e storiografico, in attesa della prossima ampia retrospettiva al MAXXI, che potrebbe aprire nuovi punti di vista sulla sua ricerca, già storicizzata ma ancora non completamente decifrata.
Così, spazio, tempo, vita fanno parte di quella che viene definita la Triade Monade, attraverso la quale Alfano esprime la sua percettibilità e concentra la sua costante, a tratti ossessiva, indagine. Il tempo viene sezionato, frammentato, circoscritto, scandito, ripetuto come componente della conoscenza. Del tempo gli interessa cogliere le circolarità, gli arresti, le velocità. Gli autoritratti, come quello esposto al primo piano dello Studio Trisorio in occasione della mostra “La pienezza dell’assenza” (Napoli, fino al 3 giugno), presentano frammenti, pause, scansioni di tempo in misura di secondi, riportati su tela come in una partitura musicale.  La costruzione rappresentata, ripropone lo scorrere del tempo attraverso la scrittura e proprio con “silenzio”, la parola più frequentemente utilizzata all’interno di queste opere, manifesta la presenza fisica dell’artista, nonché un invito alla riflessione. Il silenzio è lo spazio delle domande che non chiedono risposta e del formularsi di nuove domande sull’esistenza, un luogo di autoriflessione, dispersione, scissione.
Proprio la scissione, come condizione di ambiguità e frattura dell’individuo, è l’altra tematica cardine dell’opera di Alfano, sempre racchiusa all’interno della ricerca della forma nello spazio. E i cicli più toccati da queste tematiche, Eco-Narciso, Eco-Discesa e Figure, sono presenti nella sala principale dello Studio Trisorio, con 5 opere di grandi dimensioni, realizzate nell’ultimo decennio produttivo dell’artista, dal 1980 al 1990. Alfano riprende i miti classici, ma li spoglia delle caratteristiche edonistiche: Narciso è colui che, nell’eco, perde ogni coordinata orientativa, diventando altro da sé; Eco è una voce che va oltre la sua fonte di origine, ha una matrice di partenza ma diventa riflesso e rifrazione. Le tele vengono divise in due parti speculari: sono l’una l’eco dell’altra, l’eco rimanda alla voce e viceversa. Come egli stesso ha sottolineato in più occasioni: «Nel mio lavoro è fondamentale il tema della duplicità, nel mio caso, il doppio non va inteso come sommatoria, bensì come condizione di ambiguità, in cui giocano il reale e il suo riflesso, alla fine tutto oscilla tra questi due falsi».
Il ciclo Eco-Discesa va oltre la divisione figurativa, presentando una vera e propria sezione della tela. Due spazi diversi e autonomi, scissi e rimessi insieme da una fitta trama di fili ma con un vuoto fisico, reale, che le distanzia. Le figure rappresentate non sono speculari ma spezzate, una perdita di linearità che è anche una mancanza di centralità dell’individuo, che pone interrogativi, incertezze, tensioni, come le stesse figure rappresentate in caduta trasversale. Nella sua opera, però, non si materializza sofferenza o angoscia. È uno stato di sospensione, incompiutezza, stasi. Le figure, ormai non più autoritratti, sono corpi immobilizzati nell’incertezza, nell’indecifrabile, in un movimento congelato.
Carlo Alfano è morto prematuramente, a soli 58 anni, non concludendo la sua ricerca sulla mutabilità della forma. Ma in un momento come l’attuale in cui i vecchi, anche dimenticati, diventano grandi vecchi e chi in genere non ha avuto il dovuto riconoscimento, può finalmente ottenerlo, la meteora di Alfano probabilmente è destinata a brillare. Lui intanto, oltre i suoi lavori, ha lasciato una chiave di lettura: «Se dovessi raccogliere sotto un unico titolo le mie opere questo potrebbe essere “sulla soglia”. La soglia è la linea simbolica che divide questi spazi, anche se emblematici, che si appartengono e contemporaneamente sono separati. La soglia è tra giorno e notte, tra veglia e sonno, tra vita e morte. Al di là della soglia niente, la trasformazione della materia. Non c’è una verità da esplicitare. Io non ho la presunzione di raffigurare verità, valori universali o certezze. Il dubbio è la certezza».

Michela Sellitto

Ha studiato Architettura e Fotografia a Napoli, dove oggi vive. Ha collaborato con varie testate online, con Exibart in particolare dal 2015.

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