L’interazione tra arte e tecnologia è l’imprescindibile presupposto per chi voglia immaginare scenari creativi futuri? Se -come alcuni affermano- l’Arte non si può considerare tale in assenza di messaggi, la comunicazione di questi ha nella tecnologia uno strumento innovativo, flessibile e certamente affascinante, ma non privo di trappole.
Il Centro Culturale Europeo promosso dalla Fondazione Carige ha proposto un incontro tra due personalità che al tavolo del confronto in tema di comunicazione e tecnologia hanno molto da offrire.
Gerfried Stocker (1964) è dal 1995 direttore artistico dell’Ars Electronica Center e co-direttore artistico dell’Ars Electronica Festival di Linz, contenitore di mostre, convegni, performance volti a far dialogare Arte, scienza e società. Oliviero Toscani (1942) si può definire un artista che ha trovato nella pubblicità lo strumento più efficace e diretto per veicolare i suoi messaggi, portando i temi sociali alla ribalta. Già nel 2001 Stocker aveva innescato una polemica proponendo una visione dell’artista futuro come proveniente dall’ambiente produttivo a scapito dell’idea di artista puro.
Il confronto parte con la dichiarazione di Oliviero Toscani, presente ben
La replica di Stocker ridefinisce i termini del problema: la tecnologia esiste e investe in maniera profonda la società e anche chi non la utilizza direttamente ne è comunque coinvolto, per questo non va lasciata nelle mani sbagliate. Gli artisti devono appropriarsene e utilizzarla come megafono per il loro messaggio, che, punto da tutti condiviso, deve avere come contenuto principale la lettura e lo sviluppo della condizione umana. La valenza sociale dell’interfaccia tra uomo e macchina è il fulcro di Ars Electronica, che attraverso la forma del festival ed iniziative popolari quale la nuvola dei suoni tenta di riunire intorno all’arte grandi masse di persone, rendendole partecipi delle potenzialità rappresentate dalla tecnologia e del ruolo di quest’ultima come strumento di espressione. Un esempio convincente è offerto dal teatrino delle ombre a Linz, ideato in modo tale che i passanti interagissero con le figure proiettate sul Municipio: le persone hanno fatto proprio il progetto in maniera ludica, improvvisandosi attori/autori di divertenti rappresentazioni e riappropriandosi pienamente dello spazio pubblico.
La tecnologia sembra poter creare anche ponti tra i popoli: due passerelle collegate tra loro in due città lontane rilevano simultaneamente il passaggio dei pedoni facendo intuire a chi sta a Linz la presenza in quel momento, sull’altra passerella di un passante di Budapest; di qui il tentativo della gente di comunicare a distanza premendo punti della passerella e attendendo una risposta. La tecnologia, dunque, come opportunità che va colta per un’arte sempre più interattiva? O alibi per mascherare la sterilità d’idee?
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www.aec.at
www.olivierotoscani.it
www.fondazionecarige.it
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E' scontato essere tecno-scettici quando la tecno-opera non ingloba una tecno-riflessione.
E' scontato essere tecno-entusiasti quando la tecno-opera ingloba una tacno-riflessione (come un lampo che fa vedere-pensare-godere qualcosa).
Doug Aitken, ad esempio, non ne sbaglia una.
Carsten Nicolai, Carsten Hoeller, Eliasson, Cardiff&Muller, ecc.: producono naturale tecno-entusiasmo.
Ma molto del loro tecno-epigoni è tecno-onanismo.
Della tecno-marea rimarrà un tecno-laghetto per le generazioni future, presumibilmente tecno-generazioni.
Interessante questo dualismo tecno, l'entusiasmo da una parte e lo scetticismo dall'altra.
E' solo che accadde la stessa cosa con la pittura impressionista, con la fotografia, con l'arte minimalista.
Differentemente dai "visionisti" (cioè dei visionari pessimisti) sulle sorti del futuro artistico "tecno", disastrato e alla meno peggio relegato ad un'esperienza marginale di pochi entusasti, ritengo che la tecno-arte non solo entrerà a viva forza con le sue energie nuove, ma se ne avvertirà sempre più la necessità ed il bisogno per l'interpretazione fluida e corrente nella comunicazione della nuova linguistica sociale.
Può non piacere, ma forse, quel che non piace, può anche essere una pessima rappresentazione, oppure una argomentazione che non interessa e basta. Altrettanto come avviene per alcuni individui di fronte ad un dipinto del 1500 o a una rupestre narrazione.
Angelo Errico