Come scrive Tonelli (direttore di Exibart) nel suo articolo dedicato al nuovo numero di Flash Art : “da non perdere la storia del falso Oliviero Toscani”.
Molto interessante, infatti, l’articolo in questione e, naturalmente, l’operazione del Toscani (quello dei sigari) o di Oliviero il Toscani o l’Olivier (che, in realtà, firmandosi in questo modo, praticamente afferma di non essere Oliviero Toscani).
Un ragazzo in gamba costui, tanto che Politi (direttore di FlashArt) lo invita, nell’articolo, a prendere il suo posto.
Ma chi l’ha fatto, tralascia volutamente il Politi, c’è già stato.
Si tratta di Zak Manzi che, dal 15 al 30 giugno 2001 ha esposto 1200 copie di Flash Art incellophanati, imballati o incorazzati, in una parola “celati”, nella galleria T293 a Napoli. Ognuno di quei Flash Art, frutto del genio di Zak Manzi (e/o Angelo Rossi), ha il valore commerciale di 120.000 lire, ed è il primo numero delle stagioni fredde di quest’anno (autunno 2000 – inverno 2001).
Impossessarsi di un primo numero incellophanato e firmato (sul cellophan) dall’artista, non vuol dire semplicemente conservare un’opera d’arte, ma un pezzo da collezione.
Aprendolo è una rivista molto interessante ma, chiuso, non è affatto una semplice copia, ma un opera e una rarità. Una “non copia” (costa persino 10 volte in più all’originale) … uno strano inedito.
All’interno si parla di e sono annunciate mostre inedite di artisti esistenti.
Inedite nel senso che, se non le avete mai viste, forse non le vedrete mai, perché molte di queste mostre sono solo immaginate per gli artisti o sognate dagli stessi e pubblicate da Angelo e Zak; altre sono vere; altre già passate.
Questo stesso Flash Art è una sorta di falso inedito di Zak, perché a realizzarlo è stato Angelo Rossi.
Una cosa del genere è avvenuta anche in una mostra organizzata da quest’ultimo e da Riccardo Battaglia nell’ex caserma De Martino a Casagiove (Caserta), nel 1999, dove una serie di artisti hanno realizzato inediti di altri artisti famosi contemporanei e non, quali Liechtenstein, Man Ray, Matisse, Mark Dion, Shirin Neshat, ecc.(“Gia’ fatto!?”, ex caserma de Martino; Casagiove; Caserta; dal 26 settembre al primo ottobre 1999; catalogo: Melting Pot speciale; settembre 1999; n°31; anno V).
Anche partecipare a mostre via e-mail, Zak l’ho ha “già fatto”. In maniera diversa rispetto ad Olivier, naturalmente.
Ha fatto credere a molti giornalisti di aver perso una mostra interessante il cui comunicato, arrivato in ritardo (apparente), parla di un evento ormai finito. Quello che si scopre poi è che la mostra non c’è mai stata.
La mostra che si è svolta fuori dal tempo, però, non si è svolta in un non luogo. E’ questo forse ad infastidire i galleristi che lo rimproverano per questo suo gesto. Emi Fontana, di Milano, è stata la galleria scelta a caso.
Angelo Rossi ha fatto della sua produzione, l’opera di Zak, proprio come l’Olivier, che ha donato le sue idee al Toscani, per renderle visibili. E lo stesso avviene nel Flash Art: Politi è stato donatore involontario della sua rivista, come tramite per brillanti idee.
E, a sua volta, Zak, a differenza degli inconsapevoli Oliviero Toscani e Giancarlo Politi, si offre volontariamente come tramite per rendere visibili le idee degli altri, essendo il suo nome ormai famoso.
L’opera che Angelo-Zak ha pensato recentemente di fare era incendiare una galleria (col consenso del gallerista), poi ha scoperto che qualcosa del genere era avvenuta a Venezia, ma per finta: eppure le foto delle torri gemelle distrutte sembrano fotomontaggi, ma sono vere.
E’ la realtà: una realtà dolorosissima. E’ questa l’immagine che Zak ha pensato di utilizzare e che appare nella rassegna stampa e che ha suscitato enorme fastidio.
Zak è un’artista profondo, irriverente ma, soprattutto, davvero promettente.
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Trasfusa certamente ami scrivere, non sei come me che amo la sintesi.
Comunque più si parla di Zak Manzi, più si fa quello che lui vuole, far parlare di se.
Siamo nel terzo millennio e vi assicuro che ancora oggi chi copia resta un asino!!!
Chi poi,ancora oggi,cerca di rifilarci il mattone gonfiandolo a dismisura con citazioni in libertà da tutta quella letteratura ormai superata ma mai assimilata evidentemente dal riassemblatore,dimostra in pieno e senza ulteriori chiarimenti,la filosofia da "magliaretti"che sostiene questa squallida operazione da terroristi culturali mancati....
Tempi duri si avvicinano per questo tipo di "arte",credetemi.
A proposito,non scordatevi mai che la "Verità" esiste per davvero e anche se non l'avete mai incontrata non smettete mai di cercarla!!!!
Tanto è lei che vi verrà a prendere prima o poi,statene certi.
By By
Essere menzionati all’interno di una rivista d’arte specializzata nel bene o nel male produce un effetto di notorietà. “Essere artisti non c’entra con la fama, quella cosa intangibile che ha bisogno di integrità. Penso però che sia necessario confessare di voler diventare famosi, altrimenti non si può essere artisti.”
Copiare tema celeste
Un’opera copiata copia la creatività, un’idea copiata copia un concetto, copiare significa mettere da parte le proprie “idee” e presentare un pensiero già pensato, un’immagine già realizzata. Un’opera copiata è un’opera d’arte. Far propria un’immagine celebre o un marchio prestigioso valorizza il proprio operato, per questo Angelo Rossi, dopo aver riprodotto un disegno murale di Sol Lewitt, la rivista Flash Art e un singolo di Carmen Consoli per Zak Manzi ha realizzato un plagio di tema celeste in scala.
tema celeste pocket, di Zak Manzi, è un’opera d’arte dalla tiratura di 1000 copie. Oltre alle pubblicità, recensioni, articoli forniti da artisti, teorici e galleristi che hanno contribuito, sono incluse recensioni e pubblicità di eventi che chiamano in causa gallerie, artisti, corrispondenti all’oscuro del progetto. Affinché la rivista presenti un aspetto veritiero, sono rimaste immutate alcune caratteristiche editoriali: non mancano pertanto le “lettere al direttore”, gli sponsor, i corrispondenti, articoli riciclati da vecchi numeri e quant’altro renda la rivista riconducibile a quella originale.
L’installazione in galleria prevede la sistemazione di una o più pile (incellophanate o chiuse in scatole di ferro) di tema celeste. L’esposizione può essere arricchita da stampe cibachrome o plotter 20x30 raffiguranti pagine interne alla rivista.
Obiettivi generali
Il progetto fin dall’inizio ha previsto il coinvolgimento di più soggetti, quasi a voler ricalcare le reali dinamiche esecutive che sono alla base della realizzazione di qualsiasi rivista.
Non è uno strumento di giudizio nei confronti della rivista copiata, del direttore, degli artisti menzionati, degli sponsor e di tutti coloro che collaborano alla sua realizzazione. La copia di tale rivista ha come unico scopo la realizzazione di un oggetto d’arte.
Soggetti coinvolti
Il ruolo dei soggetti contattati è prevalentemente quello di recensore, hanno collaborato pertanto: critici d’arte, gruppi, filosofi, associazioni, artisti, istituzioni scolastiche, teorici, galleristi, curatori.
- I critici, curatori e teorici che hanno aderito sono: Giuliana Videtta, Adachiara Zevi, Gianni Pozzi, Pier Luigi Tazzi, Riccardo Tabarrani, Simona Barucco, Erika Nardi.
Gli artisti che hanno aderito sono: Vincenza Casaluce Geiger, Mariapia Saccone, Mario Franco, Giancarlo Mazzaro, Francesco Manzi, Cesare Pietroiusti, Pino Modica, Daniele Bacci, Bruno Donzelli, Andrea Cerini, Renè Bassani, Antonio De Luca, Eugenio Giliberti, Genny Capitelli, Stefano Bosco, Tony Corbo, Ezio Pierattini, Federico Belluomini, Angelo Sebastio, Gianluca Cupisti, Enrico Nardi, Donata Carlucci, Angelo Usai, Vanna Russo, Lido Marchetti, Bruno Pollacci, Monica Lugas, Roberto Cerbai, Manfred Linke.
Le Gallerie che hanno aderito sono: T 293 (NA), Zonca e Zonca (MI), Vismara Arte (MI), Officina (LU), La Nuova Pesa (Roma), Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea (Rep. di S. Marino), Vera Vita Gioia (NA), Galleria Continua (SI), Galleria Base (FI).
Fino al 14.X.2001
galleria, Emi FontanaMilano, v.le Bligny 42
tel&fax 02.5830.6865/3395002642
emifontana@virgilio.it
Terrorismo e arte si mescolano armonicamente nella nuova mostra “Clegg&Guttmann” di Zak Manzi
giovedì 4 ottobre 2001
ZAK MANZI
Esistono idee che trovano nella ripetizione la loro forza e nella loro dichiarata falsità la loro verità, questa volta per reiterare la continua ripetizione, Zak Manzi mescola l’opera d’arte all’informazione televisiva, l’arte e l’informazione si ripetono vorticosamente fino all’assuefazione. La forza della ripetizione riduce la verità a menzogna.
Di questo sembra essere assolutamente convinto Zak Manzi che sulla ripetizione (non sempre differente) ha basato il suo lavoro.
“CLEGG&GUTTMANN” è la sua ultima installazione, composta da sei foto fatte rielaborare (l'ideatore e l'esecutore delle opere non è stato rivelato dall'artista) della celebre coppia, un’esposizione insolita e provocatoria per la galleria Emi Fontana.
Le grosse gigantografie mescolano ambientazioni classiche di Clegg&guttmann a scioccanti sequenze terroristiche, mescolando l’atmosfera pacata delle opere originali alle ultime drammatiche scene di distruzione verificatesi negli USA. L'attacco al World Trade Center il volo 11 della American Airlines, che trasportava 81 passeggeri e 11 membri dell'equipaggio, in viaggio sulla rotta da Boston a Los Angeles, l'11 settembre 2001 si è schiantato contro la Torre Nord del World Trade Center, a Manhattan, poco prima delle 9 di mattina, circa 15 minuti più tardi, il volo 175 della United Airlines, che volava sulla stessa rotta Boston-Los Angeles, con 56 passeggeri e 9 membri dell'equipaggio a bordo, si è disintegrato contro la Torre Sud, è di questi fatti che ci parla Manzi attraverso improbabili ambientazioni.
Pur sapendo che si tratta di un inganno seguiamo il percorso di Zak Manzi, un percorso che alla fine coincide con la nostra esperienza mediatica, l’unico vero intoppo alla visione sembra essere la presenza dell’opera d’arte, troppo vicina alla morte per non passare inosservata.
Quella che fuoriesce è una tragedia muta, il silenzio dell’arte soffoca l’esplosione, l’accostamento arte-terrorismo lascia il fruitore attonito, quasi sprovvisto, sei foto come sei canali televisivi, le opere di Clegg&Guttmann revisionate, rendono indifferente una tragedia.
ZakManzi si spinge al di là di un’illusione semplicemente spaziale, sostenendo che un ordine imposto (un qualsiasi sistema di credenze), una profondità apparente e l’illusione della realtà, generano in tutti i campi del sapere una falsa conoscenza, come ben esemplifica la selezione tematica delle sue foto: geometria, architettura, psicologia, linguistica, teoria, politica e religione, ovvero il nostro modo di percepire e costruire lo spazio, noi stessi, il nostro linguaggio, le azioni, le credenze.
Una reiterata illusione.
Elisa Lusso
La rivendicazione dei diritti d’autore,
il fatto che “sempre” un artista deve
firmare e nessun altro può utilizzare
la sua immagine come propria, l’avarizia,
il desiderio di riconoscimento del proprio
operato, la detenzione, la possidenza
di una forma, di un pensiero, sono i motivi
che mi hanno spinto ad accettare la proposta
di Zak: non essere autore a suo favore.
Rinuncio a firmare le “mie“ opere:
per consentire a Zak Manzi di fare arte
senza far nulla, per consentirgli di non
pensare da artista ma produrre,
esporre e vendere ugualmente.
Angelo Rossi 1999
I remember the day when I put on glasses for the first time, I wasn't too happy, that time must have been a special one because shortly after my parents decided about present me a bicycle, I never had it before, I just had tried tricycle and similar but an adult's bycicle...never.
my world vision changed by magic with those glasses and that bicycle, everything became deformed and set in moviment, I never more wasn't me, I wasn't that alchemy and so, in that state I was in, I felt my first love, sabrina, the same ward, in neighbouring buildings, I lived at the ground floor, she lived at the top one...
how many times I looked up searching her shape, I cycled and looked up.
I'm not me anymore
Da tempo alimentavo l’idea di azzerare la mia creatività, di non lasciare più documenti. Riuscire ad esistere senza lasciare traccia. Un segno che scompare invita a riflettere, un artista che aspira al minimo non può fare a meno di annullarsi, di lui non resta altro che una firma, l’esistenza dei segni passa anche attraverso la loro scomparsa, di un segno che si perde resta il pensiero.
Il pensiero rallenta la realtà.
Se un artista decide di non mettersi in rapporto con il mondo nel quale è incluso elabora una comunicazione inaccessibile, scarta la possibilità di lasciare un segno, espone l’invisibile, è l’autore dell’invisibile. L’assenza di creatività, può produrre arte: l’artista può essere creativo o non esserlo, l’artista creativo rinuncia ad essere autore, l’artista non creativo autentica l’opera senza autore. La firma non è altro che il simulacro di due autori scomparsi. L’artista non creativo deve unirsi a quello creativo se desidera documentare l’improduttività.
Il 24 luglio 1999 Angelo Rossi rinuncia ad essere autore, la mia firma autentica la sua nuova produzione.
Zak Manzi
Lucca-Casalnuovo di Napoli 1999
IDENTITA’
Niente mi riconduce a me stesso, mi guardo ogni giorno il viso, il corpo nel suo insieme, mai definito, ascolto la mia voce, ricerco sensi riconducibili, qualcosa, capisco i miei pensieri.
Cambio me stesso, sottraggo al mondo tutte le mie sembianze e non mi bastano capelli vestiti peli espressioni parrucche occhiali parole, rendo mio ciò che è stato pensato, ciò che non è stato sequestrato, la poesia non legittimata, l’angoscia mai provata.
Sono rosso, io, te, qualsiasi cosa, una costoletta di maiale, il sorriso stampato, l’ulcera, Salvatore, il basso pieno di effetti, il suono si allunga e si ripete, fuori il sole, il calore, dico bugie e non faccio a tempo. Apro la porta e per terra due scarpe vellutobordeaux trentasette trentotto.
Apprezzo ciò che non è mio, i miei occhi vedono due grosse navi piene di carburante, di gente ammassata, di armi, inconsapevoli puttane, tutti senza libretto di istruzione, senza disegni-indicazioni-linee in evidenza, mi interessano i rapporti interpersonali, tra me e te, tra te e lui, tra lui e me, tra me e lei, tra lei e lui. Quando da solo attendo un treno mi commuovo se guardo i rapidi pendolini, treni veloci. Ogni parola, ogni espressione.
Sono un’altra persona se mostro ed amo ciò che non ho fatto, ciò che non ho pensato? Chi sono se migliaia di persone al mondo muoiono di fame indipendentemente dalle mie intuizioni di artista?
Mi interessa il potere economico e culturale dell’artista, il suo inserimento sociale, la sua identità fortificata dalla densità del vuoto circostante. L’identità dell’artista è un furto, un’invenzione in promozione, un gioco di potere finalizzato alla notorietà, l’artista non sei tu.
L’artista si esprime, tu non ti esprimi.
L’artista esprime ciò che tu non sai dire, tu non lo sai dire.
L’artista ti conosce, tu non ti conosci.
Osservo gli artisti che esprimono se stessi, la loro identità, osservo gli artisti di concetto, gli impiegati, la definizione standardizzata del collocamento rende un tipo di lavoratore indefinito, l’artista che pensa non pensa una cosa qualunque, perchè nel momento in cui la pensa ha attinto dalla sua autorevolezza. L’azione comune dell’artista.
ORGANIZZAZIONE
La realtà da sempre propone un’infinità di eventi indirizzati all’uomo affinchè quest’ultimo, per una serie di convergenze concettuali-emozionali, selezioni in termini di classificazione evento dopo evento, sollecitazione dopo sollecitazione .
Quotidianamente ciascun individuo accetta di rientrare nella realtà. Per realtà si vuole intendere tutto quello che accade, tutto ciò che può accadere, tutto quello che qualcuno decide di farti accadere.
La realtà produce documentazione, la notizia giunge alla collettività, la realtà viene distribuita e come ogni distribuzione che si rispetti non viene tralasciata la fase del “confezionamento”, la realtà confezionata cambia sembianza, formato, diventa immagine, ma quante immagini possiede la realtà confezionata? Qual è l’immagine artistica? Le immagini selezionate per la distribuzione sono quelle più vicine alla verità, perché non sempre la realtà, trasformata in sequenze, contiene il fascino della verità. La verità del “cittadino intero” è l’immagine più vicina alla vita, più vicina alla morte, è la visione stereotipata di ogni sentimento possibile, è la visione inequivocabile dell’organizzazione.
Intero, come se esistessero da qualche parte uomini parziali, non assemblati, un errore, per puro errore mi perdo una miriade di componenti in attesa di accorpamento. L’uomo divide in due blocchi la realtà, o meglio divide la sua “reazione” ad essa in “reazione normale” e “reazione straordinaria”,funzione di merda, merda di vita. La normalità non richiede una “reazione straordinaria” perché ripropone eventi ordinari, già decodificati,la normalità non necessita urgenza, la normalità è ciò che conosciamo, ciò che è prevedibile, ciò che le multinazionali sottraggono alla libertà, la normalità utilizza una serie di elementi in modo prolungato, la normalità è un evento lungo lungo, è il tempo, infatti, che dà stabilità allo spirito, il benessere è l’esperienza fortificata di un evento prolungato, è una forma di organizzazione che non utilizza l’urgenza o che comunque non dà a quest’ultima il significato di emergenza.
Ci sono momenti in cui avverto la brutalità di chi mi paga, la sua avidità, il ghigno, immagino l’esigenze, il potere supersonico, l’intima economia.
Da sempre l’uomo ha tentato di prolungare il proprio stato di normalità, dalla pioggia alla vita, dall’eruzione all’infermità, dall’uragano alla morte, ha sempre tentato con ogni mezzo di scacciare l’ignoto, la non conoscenza, la disgrazia.
Basti pensare all’evento morte, oggi quasi “ghettizzato”, ridotto alla minima visibilità. La persona che il medico crede al termine della sua vita viene spesso ospedalizzata, tolta dallo sguardo tanto sofferente quanto critico di parenti, amici, spesso accantonato dallo sguardo indiscreto dell’intera società, dell’umanità che non può, o meglio non vuole accettare l’idea della morte come evento naturale, quindi da reputare “normale”e avvicinabile senza problemi.
La capacità diabolica di sorridere al momento giusto, la dialettica di chi mi odia.
Odio chi mi odia, quando chiudo lo sportello se lo apro per scendere, quando timbro dal lato “entrata”, inspiro la sigaretta del collega vicino(mi sfiorano a volte le sue angosce), intervengo in tempo reale, all’interno di otto lunghe ore, adoro gli operai disinibiti, la tecnica impeccabile del professionista.
L’idea di tornare indietro, di rivivere vecchie violenze.
La conoscenza del cittadino si riduce all’assimilazione dell’informazione, una notizia non detta ipotizza una porzione di vita priva di importanza, l’informazione risparmia alla collettività il contatto diretto con la decomposizione, la morte non fa paura perché non sei tu a morire, tu non sei morto, la morte è notizia e tu come al solito non fai notizia. L’informazione segnala una verità distante da chiunque ma che in qualche modo ci appartiene, è una possibile implicazione collettiva.
La non conoscenza non è l’evento mai accaduto(straordinario), indica piuttosto la rottura della normalità. Alla reazione normale viene accreditato uno stato di serenità, è infatti luogo comune pensare che laddove gli eventi si succedono senza creare necessità di interventi d’urgenza, vi sia una situazione di tranquillità e quindi di “felicità” . In realtà è l’organizzazione stessa che ha il compito di tutelare la felicità e se la felicità è uno stato prolungato di normalità è possibile pensare che quest’ultima sia per l’uomo una forma di incoscienza. La felicità dunque equivale all’incoscienza, al non comprendere la propria vulnerabilità, come se l’uomo felice fosse un disorganizzato, un elemento fragile, costantemente a rischio.
L’organizzazione tutela o ripristina lo stato di felicità.
La felicità dunque equivale alla normalità, alla prevedibilità? Sicuramente no, basti considerare come un evento inaspettato può dare gioia se contiene positività l’uomo non ha paura di uscire dalla normalità se l’elemento straordinario è veicolo di felicità. L’emergenza è la condizione estrema della felicità, fa i conti con l’evento straordinariamente pericoloso, cerca di salvare il “disorganizzato”.
Ma la felicità può essere organizzata?
Organizzare la felicità significa prevedere un tempo di infelicità, dove esiste uno stato di benessere, e creare i presupposti di felicità dove vige il disagio. Una delle prime forme di organizzazione è stato il lavoro, l’arte, invece ha la capacità di sovvertirla, l’arte è economia, l’opera d’arte è una risposta di tipo economico alla fame e al benessere. L’organizzazione si oppone alla violenza, utilizzando, per assurdo, le stesse modalità.
La violenza si giustifica fra le cose, fra un respiro e l’altro, nessun materiale dura in eterno, adattarmi a tempi brevi, l’intermittenza della produzione, è assolutamente vietato rimuovere, eludere, utilizzare, apportare, eseguire, compiere, pensare. E’ assolutamente vietato sospettare che la mia vita non ha valore, bestemmie scritte in stampatello con funzione talismanica, miraggi di fede, vorrei essere altrove.
La violenza infatti descrive l’irregolarità, modifica gli eventi, si perfeziona nella calma, nella meditazione, fornisce un linguaggio alternativo al concetto di benessere. La mente è il grande distributore del reale, la realtà unita all’intuizione produce uno scarto, un salto sul margine della volontà, l’intuizione modifica la conoscenza, ripristina il reale, ipotizza ogni azione. L’organizzazione ha coscienza del tempo in cui agire, vive l’attesa, discerne il flusso della vita, impone la felicità, i desideri, illude l’umanità. L’uomo che sfugge all’organizzazione è impensabile, la fuga rientra nell’archivio universale della sicurezza, la “rete” organizzativa trasforma il fuggitivo in dati fondamentali, e il mondo intero diviene terminale discendente. L’organizzazione desidera ristabilire lo stato di normalità nell’uomo, negli uomini, ascolta, comprende, dice ed esclude, esplica un’azione di controllo, impone una visione, vorrei essere altrove, labbra fresche al di là delle grate, ladri d’amore, messaggi segreti, primizie d’autunno, un percorso, inventa un tempo e mette tutti dentro, uno dietro l’altro, scadenza dopo scadenza.
La folle ferocia di uno psicopatico fa scattare lo stato di allerta mentre alla fame nel mondo l’organizzazione risponde con l’informazione o meglio silvioinformazione, così da trasformare un’emergenza collettiva in morosi interessi internazionali. L’emergenza così come l’urgenza, è una invenzione paradossale, è un censimento, sono migliaia di parole scritte e recitate con sapiente drammaticità, è l’ultima immagine da ricordare. L’allarme indica che sei poco, sotto, fuori, che non rientri nel conteggio, hai usato male il tempo. Un intoppo, un rallentamento, il solito percorso, ammasso di procedimenti meccanici, mi guardo intorno, ogni nuova impronta è un bilancio inevitabile, una nuova fobia.
Perché mi sento inutile se tutto quello che mi circonda è indispensabile? L’artista è un disorganizzato?
L’ identità non ha più bisogno di un corpo, troppi corpi non hanno identità, i miei pensieri non si identificano in un solo corpo, sono inutilmente presente e scarto l’ipotesi di essere io.
Identificare equivale a controllare, il controllo del potere, il potere psicopatico, l’identificazione occidentale della felicità, la creatività è un lusso. L’identificazione attuale della creatività, oscura la reale incapacità di milioni di uomini di riconoscersi nelle proprie capacità, l’autenticazione è un lusso.
L’identità si svuota davanti alla miseria, alla morte di massa, all’organizzazione e rifiuta di autenticare ciò che ad essa appartiene: l’intuizione.
Rifiuto di rilasciare una mia visione, forse perché non mi interessa, non interessa, o semplicemente perché non mi basta più. Odio gli artisti, odio la creatività, l’affermazione economica di essa, odio i divi isterici, le riviste specializzate, le classifiche, i contatti, i riconoscimenti, l’omosessualità legata alla credibilità, odio la sessualità, odio l’arte, il mio corpo, qualsiasi corpo, quelli esteticamente gradevoli, quelli meno, odio la rappresentazione didascalica dell’esperienza, odio sprecare la mia vita per un’idea, una sola idea, un’idea distrugge un poco alla volta, ti lascia solo e disperato, inutile.
Rifiuto tutto quello che da bambino amavo, la capacità di trasmettere “misteriosamente” una visione, preferisco cambiare nome e usare il mio solo con le persone che amo.
Amo le cose facili, le cose che non devo fare, le cose che non dovrò mai imparare, non leggo più le avvertenze, ho paura della decomposizione dei prodotti, della loro scadenza, ho paura del frigo, di cosa può nascondere, ho paura dei ripiani troppo pieni e con troppe cose da verificare.
Pasto felicità, i soldi per un pasto, cibo inestetico, massa voluminosa di materiale commestibile misto a liquido, prassi del benessere, ogni volta che mangio, ogni volta che mangio tre volte al giorno, più volte al giorno, quando decido di farlo ogni volta mangio, porzioni per gatto, pasto per gatti, croccantini modulari dai sapori mediterranei, la cultura del mediterraneo, cucina mediterranea, tipo mediterraneo, mora culo tette bocca surgelato, pronto in cinque minuti l’equivalente di una sega, un organo fra le mani, a volte le mani diventano altro.
Lo sperma rinchiuso in un recipiente si decompone, produce un odore nauseante, troppe cose e troppi uomini stanno per decomporsi.
La decomposizione parte da prima, inizia fra gli scaffali, al momento della disposizione, del “taglio”, della presentazione commerciale, durante il percorso, la scadenza è una menzogna.
Anoressia-sciopero-compassione, il prodotto confezionato è una visione, la visione è un virus.
Non ho bisogno di un oggetto in particolare, per comprendere che la felicità è un premio, è il premio di ciò che ho prodotto. Non riesco a gestire le mie viscere, lo sguardo, l’odore, sono lontano anni luce da ciò che dovrei essere, sono più felice di una macchina.
Se ho fame mi rifornisco di alimenti, mi infastidisce il reparto “fai da te”, sempre troppo vicino ad altri bisogni, ingegnere avvocato imprenditore chirurgo parlamentare … fai da te.
Un operaio vale meno di ciò che produce, è uno scandalo senza visione, arrapa meno di un paio di tette-silico-vip. L’ingiustizia ha una forma perfetta, proprio come alcune tette.
Tette da quarantenne ancora in buono stato.
Stato apparente.
Profumo profondo, pensiero persistente, pallore precoce, prostituta per piacere pensaci tu, fammi scordare che la mia vita è di merda, che lo è anche la tua, che non mi amerai mai, che mai ti amerò, ti pago prima di iniziare, nella stanza con non chalance appoggio la retta, fingi di non vedere.
Puttana felice di vedermi, di augurarmi buon compleanno, di ascoltarmi per quasi tre ore ad un prezzo ragionevole, donna madre di viados, donna madre di operaio, donna madre di sogni, donna madre di soldi.
Soldi di confine, segnano il territorio come gatti. La felicità conosce una strada.
Sarocaro da Punta Vagno, se ci sei batti un colpo (senza mandarmi virus nel computer, te ne prego): ti vorrei chiedere una cosa.
Zak Manzi, Angelo Rossi, Cecilie Dahl, Lisa Holden dal 10 al 28 febbraio 2002.
Galleria Marconi, Cupra Marittima (Ascoli Piceno).
A cura di Mauro Bianchini.