27 giugno 2010

IL POMPIDOU? MICA SOLO A PARIGI

 
Ne abbiamo visitato il cantiere, abbiamo dato conto della mostra inaugurale, ci siamo soffermati su dubbi ed entusiasmi. Dall’architettura alla gestione. Mancava solo l’intervista al direttore. Ed ecco come la pensa Laurent Le Bon, boss del Centre Pompidou-Metz...

di

A un mese dall’inaugurazione, 100mila
presenze. Soddisfatto?

è difficile essere obiettivi in questi casi,
soprattutto nella mia posizione. Quello che possiamo dire è che il Centro è
stato riconosciuto a tutti gli effetti come una nuova istituzione culturale
europea. La gente si dimostra sorpresa, sia per il complesso architettonico che
per la qualità dell’esposizione inaugurale, e questo fa senz’altro piacere.
100mila visitatori a tre settimane dall’apertura è un ottimo risultato per
un’istituzione “de-centralizzata”.

Com’è nata l’idea di creare questo centro d’arte? Il
Pompidou aveva bisogno di rinnovarsi?

Ho avuto il piacere di partecipare al progetto fin
dall’inizio, nel 2000, quando a Parigi riapriva il Pompidou. L’idea era quella
di pensare uno spazio architettonico adeguato a un nuovo progetto museale, che
avesse un proprio respiro e una propria valenza culturale, pur mantenendosi in
linea con i principi cardine del Pompidou. L’obiettivo era quello di trovare
sostegno nelle istituzioni territoriali locali, e Metz ha subito dimostrato un
interesse reale e concreto, credendo e impegnandosi a fondo nel progetto. Per
noi era importante scegliere una zona in cui non sussistessero altri importanti
centri culturali, in modo da ampliare il più possibile il pubblico dell’arte.
Si voleva da una parte radicare in un contesto diverso e per certi versi
difficile l’ambiente culturale del Pompidou, dall’altra modernizzarne le
strutture, realizzando un progetto che potesse essere confrontato con i più
importanti e moderni complessi museali.

Il Pompidou di Metz
Qual è stata la battaglia o la difficoltà più dura
incontrata e superata?
Critiche qui in Francia se ne ricevono sempre. Abbiamo
lottato per dimostrare l’importanza del nuovo polo culturale. Abbiamo dovuto
lottare per convincere che potevamo sul serio realizzare qualcosa di nuovo nel
panorama culturale francese. Anche il complesso architetturale aveva destato
perplessità. Noi abbiamo sempre mantenuto un atteggiamento di ascolto e apertura,
ma l’apprezzamento del pubblico oggi ci ripaga ampiamente.

La posizione “marginale” condiziona la direzione
artistica?

A costo di risultare un po’ naïf, devo dire che quando si
sente qualcuno fra i visitatori affermare che è emozionato vedendo per la prima
volta dal vivo un Picasso, significa qualcosa di importante. Noi ragioniamo e
operiamo nella logica di una democratizzazione del sapere. Come dicevo, Metz è
stata scelta anche per questo, perché la regione necessitava di un polo
culturale importante. A livello di scelte direttive si è deciso di proporre non
solo arte contemporanea, ma tutta la parabola artistica del XX secolo, anche
questo nell’ottica di una massimalizzazione dell’offerta culturale.

Il Pompidou non è troppo vicino?
Credo sia una vicinanza stimolante per entrambi i
complessi museali, come spesso accade quando due istituzioni di spessore
crescono vicine. Comunque il Pompidou-Metz sarà palcoscenico di altre storie,
si faranno altre cose. Le esposizioni di Parigi non ruoteranno anche qui.

Louise Bourgeois - Precious Liquids - 1992 - istallazione in legno di cedro, ferro, acqua, vetro alabastrato, gomma, tessuto, ricamo, elettricità - h. cm 427, diam. cm 442 - Centre Pompidou, Parigi
A proposito di mostre, la prima esposizione riguarda il
concetto di capolavoro. Un inizio un po’ romantico, quasi nostalgico…

È stato scelto questo tema perché il concetto di
capolavoro, benché non interessi più molto gli artisti, ha influenzato e in parte
continua a influenzare la critica, la storia dell’arte… Sì, potrebbe essere
definito un inizio romantico, ma la verità è che non ci si è mai veramente
soffermati a riflettere adeguatamente sugli effetti di senso e sulle
potenzialità di tale parola: la prospettiva diventa al contrario avveniristica.
Noi insistiamo sul plurale e sul punto di domanda (Chefs-d’œuvre?
), perché la mostra non vuol
essere per il visitatore una risposta, bensì un motivo di riflessione. E un
modo per ri-concentrarsi sulla figura dell’artista e dare fiducia al suo ruolo
e alle sue capacità.

Avrete un budget per le acquisizioni?
No. Può essere una posizione criticabile, ma restiamo
dell’idea di non volere una collezione. Vogliamo piuttosto creare una forma
ibrida tra museo e centro d’arte.

A quali mostre parigine potremo incrociarla?
Sicuramente andrò a rivedere la mostra Delitto e
Castigo
al Museo
d’Orsay, che mi davvero ha molto colpito.

Jackson Pollock - Number 26 A, Black and White - 1948 - pittura gliceroftalica su tela - cm 205x121,7 - Centre Pompidou, ParigiDomanda un filo generica, non ce ne voglia: come riconosce in un’opera, in
una produzione personale, i segni della cultura contemporanea? Cosa la colpisce
di più di un artista, e come?

Quello dell’artista è un lavoro che permette di cogliere
in maniera inedita i fatti. Non è certo una definizione nuova, ma è quella in
cui meglio mi ritrovo. Cerco nelle opere una diversa prospettiva sugli stati di
cose. È difficile a definirsi, ma credo sia questo il compito dell’arte.

La Francia apre un nuovo Pompidou mentre l’Italia apre
il Maxxi…

Il Maxxi è già di per sé un capolavoro. Per contenuti è forse
l’anti-Pompidou-Metz, perché mi sembra che, mentre qui gli spazi sono a totale
disposizione degli artisti, a Roma gli artisti in qualche modo dedicano
un’opera al museo, ed è
l’esposizione che si adegua alla struttura. Quello che è comunque importante sottolineare,
e su cui sarebbe utile soffermarsi, è che, indipendentemente da somiglianze o
differenze, due importanti musei sono stati inaugurati oggi, in regime di piena
crisi, sia in Francia che in Italia. è
un atto di coraggio e di fiducia che ci rende molto ottimisti.

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