È entrato nel mondo spirituale la notte di questo 24 dicembre, Eugenio Riccomini, senza neanche accorgersene, e avendo qualche ora prima riposto A caccia di farfalle, il suo “manuale semplice e breve per guardar quadri e sculture senza complessi d’inferiorità”, appena ristampato da Pendragon. E avrà avuto una bella sorpresa, l’ “illuminista e non credente” Professore, nel ritrovarsi in quella strana dimensione di cui, è vero, si è occupato per tutta la vita, ma solo perché l’altro mondo è uno dei temi iconografici più frequentati nell’arte, sua passione totalizzante, insieme a quella per il genere femminile. Era nato casualmente a Sassari nel 1936, il 5 maggio, data che gli era particolarmente cara perché vettore di storia, direi primo nutriente di Riccomini per la comprensione dell’arte, insieme alla geografia, senza cui, di storia, non si comprende alcunchè. Poi laurea a Bologna, dove l’insegnamento e l’attività di Roberto Longhi erano ancora modelli di riferimento imprescindibili, e le frequentazioni strette con Cesare Gnudi, Soprintendente e Direttore della Pinacoteca Nazionale, che con un gruppo di energici studiosi tra cui Carlo Volpe, Francesco Arcangeli, Andrea Emiliani, lo stesso Eugenio, dà ulteriore impulso alle Biennali d’Arte Antica e ne fa efficacissimo strumento per la conoscenza dell’arte emiliana.
Io conobbi Riccomini nel 1979, l’anno in cui dirigeva la Biennale d’Arte sul 700’ emiliano, una valanga di quadri e disegni a Bologna, Parma e Piacenza, eseguiti da artisti che in buona parte venivano alla luce riscattati da qualche secolo di silenzio. Era da due anni Soprintendente ai Beni Storici e Artistici di Parma e Piacenza, un giovane Soprintendente di strana tipologia, un genere ammaliante abbastanza raro, che carezzava con voce pastosa e musicale quadri e sculture per dispiegarle a masse di ascoltatori ipnotizzati. A Bologna nacque così una pratica inedita, durata anni, che vide questo studioso parlare per ore di arte medioevale e moderna prima in una sala, poi in un cinema, poi in piazza. La gente arrivava per tempo per trovare il posto, e a nessuno sarebbe mai venuto in mente di lasciarlo prima che il Professore col papillon pronunciasse l’ultima vocale. Certo, lo ricorderemo per avere curato una straordinaria mostra di dipinti emiliani del ‘700 a Leningrado; per avere diretto il restauro degli affreschi di Correggio nella cupola della Cattedrale di Parma (La più bella di tutte, si intitolò il libro che seguì a quest’impresa) e avere avuto l’eccezionale idea di far salire i visitatori sui ponteggi. Lo ricorderemo per le indagini sulla scultura del ‘600 e ‘700 emiliano, per il suo insegnamento nelle Università di Messina e Milano, per la direzione del Museo medioevale di Bologna e per essere stato vicesindaco e assessore alla cultura della stessa città… Ma fino a due ore fa giovani e anziani davanti alla bara di Eugenio dicevano grazie Professore, per avere fatto capire anche a noi l’immensa potenza dell’arte, e la capacità della bellezza, di migliorare la vita.
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