Riccardo Dalisi, fondatore della Global Tool insieme a Ettore Sottsass Jr. e Andrea Branzi, è stato un maestro, un ricercatore a tutto campo, che ha contribuito alla formazione culturale e umana di molti di noi. Ho avuto la fortuna sin da giovane, a Napoli, di conoscerlo e frequentare il suo mitico studio in calata S. Francesco al Vomero: un vero e proprio capolavoro di stratificazioni creative, una sorta di straordinaria e particolare wunderkammer di mille oggetti e progetti; un universo denso in cui ti perdevi e nel quale lui invece si orientava con la disinvoltura di un volatile nei cieli. In quel magma denso del suo studio potevi soffermarti a contemplare una infinità di progetti e relative variazioni, realizzate con cartoncino, cartapesta, poliuretano espanso, filo di ferro, montagne di dipinti su carta stratificati negli angoli, sculturine che pendevano come glicini dal soffitto, fotografie, disegni tracciati con tutte le tecniche possibili.
Ricordo il suo profondo interesse per la poesia che poi andava a confluire nei suoi prototipi di caffettiere (si pensi alla caffettiera Alessi premio Compasso d’Oro) ai cavalieri, stelle e Totocchi realizzati con la latta, materiale quest’ultimo mutuato dall’incontro con i lattonieri e ramaioli di Rua Catalana. Un rapporto di creatività reciproca con questi artigiani durato tantissimi anni che confermava la sua costante immersione nel fluido antropologico di Napoli.
I ricordi non si contano, così come le cose che lui ha realizzato. L’ultimo incontro che ho avuto con lui è stato a casa sua, nell’autunno del 2019. Una bella chiacchierata pomeridiana insieme a suo figlio Michelangelo; lui con una penna o matita perennemente in mano e con accanto una risma di fogli.
I laboratori di animazione e le tecniche della cartapesta al rione Traiano che Riccardo, come Professore ordinario di Progettazione Architettonica, aveva avviato coinvolgendo gli studenti d’architettura, appartengono alla storia degli anni Settanta; basti ricordare la sua innovativa didattica di docente fuori dai “canoni”, che portava i giovani a confrontarsi con la realtà viva delle classi del sottoproletariato.
I ricordi indelebili mi portano a ripensare anche a tutto il lavoro, sotterraneo e necessario, forse poco conosciuto, dei seminari di ricerca autoeducativa e di ricerca musicale e poetica che si svolgevano nel suo studio con cadenza settimanale, e i seminari estivi sulle colline di Morosolo, un paesino vicino Varese.
La tempra di Riccardo si manifestava in una tensione spirituale continua che spaziava a trecentosessanta gradi, come continua ricerca di sé attraverso quel costante “diario” che, in fondo, era la sua attività di architetto, designer, artista, animatore ed educatore.
La sua opera è sparsa nel mondo, dal Guggenheim Museun di New York al Museo Madre di Napoli, che ci auguriamo possa dedicargli un importante e significativo tributo.
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