Giulio Paolini, collage utilizzato per la copertina del volume di Marco Belpoliti L’occhio di Calvino (Einaudi, 1997), collezione privata / © Giulio Paolini
«Insomma il cervello comincia nell’occhio». Italo Calvino scrive la frase, dopo aver perlustrato ipotesi fisiologie e filosofie della vista, e aggiunge: «Quest’ultima frase la dico io e speriamo sia giusto». In ogni caso è insieme affascinante e perturbante immaginare che una parte del nostro cervello sia a vista, a contatto con l’aria e gli altri elementi; e che dunque dobbiamo stare attenti, attentissimi, a evitare che questa parte così preziosa di noi non abbia traumi. L’occhio pensa le immagini del mondo mentre altri occhi lo stanno osservando, come avviene ne La spirale, una delle Cosmicomiche più pregnanti, dove assistiamo alla nascita dell’occhio, resasi necessaria perché la bellezza di una conchiglia ha sviluppato con i suoi barbagli cromatici il desiderio di essere vista e goduta e contemplata. Quando si sono poggiati i primi occhiali sul naso di Calvino?
Eh sì, perché gli occhi spesso hanno necessità di correzioni; non basta la sola mente a poggiare le immagini correttamente sulla retina. È con gli occhiali sul naso che Italo ragazzino ha cominciato a disegnare? A volte disegnava se stesso come uno che un po’ ubriaco va a zonzo senza meta; le mani affondate nelle tasche; le sopracciglia unite come ali di corvo; i calzoni cadenti; i piedi attenti a non incespicare. Disegnandosi si preparava alla scrittura come pratica dell’auto-osservazione, come mescolio tra sé e il mondo, come filo d’inchiostro che corre «per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune…». Sia disegnando sia scrivendo la mano si muove sul foglio e traccia segni che possono dare l’illusione che l’inseguimento di se stessi possa produrre figure, tracciati, paesaggi, passaggi obbligati, ombrose, riflessi opachi, luci improvvise.
La matita plana sul foglio e le immagini cominciano a formarsi. Sembrano già i disegni di Saul Steinberg, scoperti e amati più in là nella vita, quando lo scrittore è diventato tale e ha desiderio e necessità di abbeverare i propri occhi scrutando immagini fatte da altre mani. Lo scrittore Italo Calvino segue l’insegnamento di Stevenson, quando diceva che scrivere significa socchiudere gli occhi contro il bagliore del mondo. Fare dunque della vista una fessura, lasciare da parte l’inessenziale, usare le palpebre come cornici, stilizzare il visibile.
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