Categorie: Personaggi

LA CINA, LA LIBERTÀ E AI WEIWEI

di - 21 Dicembre 2010
Sunflower Seeds, l’installazione di Ai Weiwei (Beijing, 1957) per il
progetto Unilever Series alla Tate
Modern di Londra è una buona occasione per lanciare una riflessione su cosa
comporta oggi essere un artista in Cina.

Una distesa di semi di girasole di porcellana occupa i 1.000
mq della Turbine Hall: oltre 100mila pezzi sono stati realizzati e dipinti a
mano da più di 1.600 lavoratori della città cinese di Jingdezhen, antico centro
produzione della porcellana imperiale.

I sunflower seeds
simboleggiano per Ai Weiwei quei milioni di cinesi che hanno sofferto le
carestie durante il governo di Mao Zedong ma, ricorda l’artista, scambiarsi un
seme in Cina, alimento che viene comunemente mangiato come snack, rappresenta anche
un gesto di simpatia, condivisione e compassione. La quantità di semi,
apparentemente uguali ma in realtà tutti diversi, fa riferimento alla massa
indistinta di lavoratori cinesi che sono occupati nell’industria del “made in
China” e allude alla possibilità, per ogni singolo, di trovare riscatto
attraverso la conoscenza della propria cultura e la forza del numero.

La Cina, Paese leader nell’economia mondiale, sta dettando
legge anche in merito al mercato dell’arte ma, a parte il potere commerciale delle
opere cinesi, che ne è di quella intellighenzia
politicamente impegnata di cui fa parte anche Ai Weiwei? Pechino e Shanghai
sono riferimenti costanti nel contemporaneo, dalle aste di New York e Londra alle
rassegne di tutto il mondo. Se parliamo di Ai Weiwei, non è a caso: oltre a
essere uno dei protagonisti della scena internazionale, è anche uno dei
maggiori rappresentanti di quanto succede all’interno di un Paese in cui
l’ombra della Rivoluzione Culturale grava ancora pesantemente.


La difficoltà di trovare libera espressione nella
Repubblica popolare era evidente fin dalla celebre mostra Fuck Off, co-curata da Ai Weiwei con Feng Boyl, che nel 2000 lanciava
una nuova generazione di artisti cinesi in occasione della Biennale di Shangai e che venne chiusa anzitempo e messa sotto
censura dal Governo. Il punto è questo, e non ci discostiamo da un
interrogativo attuale che tra l’altro è in linea con le idee della curatrice
nominata per la prossima Biennale di
Venezia
: qual è il ruolo dell’arte contemporanea? Se il mondo globalizzato
facilita gli scambi (anche) intellettuali tra i Paesi, perché la censura
all’interno dei singoli stati in molti casi è ancora un grave ostacolo da
superare? Forse guardare l’erba del vicino può farci pensare anche alla nostra
che non è molto migliore in fin dei conti.

E ci vorremmo anche chiedere se l’artista ha ancora la
posizione privilegiata che gli ha garantito nei secoli piena libertà espressiva.
Pensiamo al processo a Paolo Caliari
detto il Veronese presso il
Tribunale dell’Inquisizione e al processo di Norimberga che ha coinvolto Leni Riefenstahl.

La stessa assoluzione che entrambi hanno ottenuto, in virtù
del fatto che l’arte segue parametri estetici che la collocano super partes nelle faccende terrene, non
viene concessa nel 2010 in Cina. Dagli anni ’80 a oggi a quanto pare il Governo
non si è realmente aperto alla libera circolazione del pensiero.

Il poeta Liu Xiaobo
ha ricevuto il Premio Nobel per la pace che gli è stato assegnato per la sua
battaglia per i diritti umani nazionali, ma non l’ha potuto ritirare perché si
trova in prigione, condannato a undici anni con l’accusa di tradimento al Governo
e neppure una delegazione che facesse le sue veci ha potuto farlo.


Come lui anche Ai
Qing
, il padre di Ai Weiwei, era un poeta giudicato dissidente e fu esiliato
per vent’anni in un “campo di lavoro”. La stessa sorte sta capitando ad Ai
Weiwei che, dopo anni di denunce e attentati alla sua persona, si è trovato
agli arresti domiciliari dopo una pretestuosa controversia con il Governo. Come
comunicare con l’esterno se non attraverso l’arte? Ma questa deve compiacere e
ammiccare, come dice Ai Weiwei, per poter attirare l’attenzione.

Si capisce pensando alla mostra The Revolution Continues: New Chinese Art esposta alla Saatchi
Gallery nel 2009, che coinvolgeva molti dei partecipanti alla collettiva Fuck Off; si notava un certo
compiacimento nei confronti del mercato occidentale, un adeguamento a certi
codici estetici ormai per noi superati. Ma se dal punto di vista contenutistico
la volontà di denuncia non è venuta meno, questo stile “all’occidentale” fa
desumere, oltre alla necessità – comune a tutti gli artisti – di sottostare
alle leggi di mercato, anche un tentativo di diffondere un appello di aiuto
rivolto all’Occidente utilizzando i codici comunicativi che appartengono alla
nostra cultura mediatica, così diversa da quella orientale.


Londra del resto ha rappresentato l’emblema della libertà
di pensiero ed evidentemente gli intellettuali la identificano ancora come
interlocutore privilegiato. Lo dimostra proprio Ai Weiwei, che si è appellato
al Primo ministro inglese David Cameron, in Cina per una visita d’affari
epocale, per chiedergli di denunciare pubblicamente la finzione e la corruzione
del Governo democratico cinese. Ma economia e morale non sempre sono
conciliabili e le idee di Ai Weiwei, che non sono mai state pubblicate in Cina
e sono state censurate dal Governo anche sul web, sono state ignorate da
Cameron, troppo impegnato a stringere affari con la superpotenza.

federica forti

[exibart]

Visualizza commenti

  • L'opera alla Tate è veramente straordinaria; tanti livelli estremamente efficaci. Da grandi sofferenze e da grandi limiti si formano idee interessanti. Il fatto che WEIWEI si sia dovuto formare in un contesto limitativo e avverso lo ha reso molto efficace: è come se il termine di contrasto avesse reso WEIWEI così com'è: come il fiore che diventa più interessante se trova un ostacolo nella sua crescita.

    Se prendiamo l'italia sembra che sia sospesa, neanche questo berlusconismo estremo sembra offrire un termine di contrasto così forte dar rendere l'italia esotica e interessante. Il "migliore" sistema dell'arte italiano, poi, vive un misto di mafia, precarietà, disinteresse e apatia. A volte penso che, per il bene della Cultura vera, sia necessario un taglio totale dei fondi governativi. Se volete arricchirvi fate i calciatori o i il grande fratello, la cultura, come l'arte contemporanea deve mettersi in discussione ogni giorno. Sarebbe utile per molti artisti italiani una residenza in Cina agli arresti domiciliari, altro che new york o berlino.

  • O luca rossi, ci hai veramente stufato con le tue banali e ripetive sputa sentenze sul sistema dell'arte italiano. Sei la disfunzione perpetua di questo sistema mortifero. Non fai altro che ripetere quello che è già noto a tutti. Non hai da fare altro che scrivere ciò che ovvio da tempo.

  • E' un'icona straordinaria dell'arte contemporanea cinese nella vetrina occidentale più aperta al futuro.
    I semi di girasole in porcellana, come i granelli di sabbia del deserto, sono le migliaia di storie dell'infinito/finito universo cinese, prendono la forma dell'ambiente che li contiene e gli danno contenuto e forma.
    Simbolicamente e realmente è/non è l'opera della vita di un solo artista, Ai Weiwei, ma della vita di migliaia di individui della Cina e della sua storia.

  • Anche se in modo sgangherato, com'è oggi anche il codice di comunicazione più usato nelle comunicazioni veloci di tutto il mondo,Lucarossi dice e ribadisce Una Parte di verità che esiste nel comportamento di molti aderenti al/del "sistema" dell'Arte Contemporanea vigente e globale.

  • Sono d'accordo con Francesca il troppo stroppia i concetti li abbiamo capiti, ed io diversi li condivido anche se reputo che Rossi sbagli a far iniziare la crisi del sistema italiano negli anni'90, tutto è iniziato nella seconda metà degli anni'80 ma probabilmente la giovane età non gli consente quella memoria storica. Comunque un po' di assenza dalla tribuna dei commenti non guasterebbe.

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