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«La cultura è una proprietà collettiva». Intervista a Daniel Pennac sul rapporto tra letteratura e attualità
Personaggi
A Narni è l’alba. Alle 5.30 di una domenica che si preannuncia afosa, il sole è appena germogliato. Sul palcoscenico naturale dell’Ala Diruta, lo scrittore francese Daniel Pennac apre il nuovo giorno del Narni Città Teatro raccontandosi nel momento dell’atto creativo, condividendo come nascono le sue storie: a partire da un sogno, da un incontro, da un’amicizia profonda, grazie al caso. E lo fa recitando, mimando, condividendo racconti che narrano di lupi, di migranti giunti da Paesi lontani, di bambini, di empatia. Parlando di vita e di morte. E dopo aver trascinato il pubblico presente, che riempiva quella terrazza naturale sospesa in un cielo immoto, attraverso storie in bilico tra realtà e fantasia, Pennac ha affondato la sua voce nelle emozioni di chi ascoltava rapito.
In un silenzio diventato quasi religioso, dopo applausi e risate, un semplice “a proposito” sembra lasciare spazio a un nuovo ricordo di un vecchio atto creativo.
<<A proposito di immigrazione – esordisce Pennac cambiando tono – vorrei ricordarvi che pochi giorni fa sono morte 500 persone nel Mediterraneo, di cui 100 bambini. Questo perché la politica europea nei riguardi dell’asilo e dei rifugiati è diventata di una mostruosità assoluta. Una mostruosità che ha distrutto una legge sacra, la legge del diritto del mare. Secondo la legge del mare si salvano tutti. Senza eccezioni. Invece, oggi, le compagnie marittime non soltanto hanno ricevuto l’ordine di non salvare le persone, ma, soprattutto, quando sentono le richieste di soccorso, devono aggirare quelle zone dove le persone stanno affogando. Sapete qual è la parola più diffusa tra i rifugiati? La parola che pronunciano più spesso quando arrivano da noi? Non è grazie: è pardon, scusate. È una ricerca che ho fatto personalmente, perché è un argomento del quale mi sono occupato, incontrando queste persone. Chiedono scusa per qualsiasi cosa: scusate per essere arrivati, scusate per essere qui senza documenti, scusate perché chiediamo da mangiare. Scusa è la parola più usata nella lingua dei rifugiati. La cosa che mi chiedo io è se un giorno potranno loro, tutti coloro i quali sono affogati nel Mediterraneo, perdonare noi europei per la mostruosità del nostro egoismo>>.
Un incontro che ha lasciato un segno in chi, ancora assonnato, ha salutato la nascita del nuovo giorno parlando di libri, storie umane e giovani. Un incontro con uno scrittore che ha donato al pubblico del festival non solo un evento, ma il suo cuore, soprattutto per le generazioni future alle quali ha ricordato l’importanza della lettura e della letteratura. Dirigendomi verso Daniel Pennac al termine del suo intervento, gli rivolgo ancora un paio di domande.
Professore, leggere è importante, ma assistiamo a un impoverimento della lingua, a livelli di istruzione sempre più bassi, a politici con un linguaggio limitato. Grandi opere della letteratura mondiale sono state scritte in periodi di diffuso analfabetismo, spesso in opposizione a regimi autoritari. Dove sono i nuovi Proust, Joyce, Dostoevskij… Pennac?
Lei è troppo pessimista: parla come se tutte le responsabilità fossero sempre esterne a noi. Dopo tutto, questo è un mondo che è stato fatto collettivamente. Il punto è che non siamo riusciti a farlo a livello collettivo. Quindi gli individui si devono ri-responsabilizzare.
In che modo può essere possibile questo?
Come? Educando i loro figli, rifiutando di fare di questi figli dei clienti di una società di consumo. E, se vi piace leggere, avete il dovere di raccontare storie ai vostri figli prima che si addormentino. È importante leggere loro delle storie fin da quando sono piccoli e che la lettura sia associata ad un atto di amore materno o paterno. L’educazione comincia in quel momento. Quando si accusa il Governo di aver distrutto l’educazione dei figli o di educarli male, è come se pretendessimo che il Governo li educhi al posto nostro.
E invece?
Invece siamo noi a doverlo fare. Siamo noi in prima linea. L’amore per la lettura si comunica molto facilmente: facendolo, leggendo con piacere. E questo è un messaggio per il futuro, perché cresceranno con questi valori.
È lamentela diffusa che gli studenti non leggono. Si è rotto il legame tra ragazzi e letteratura?
Dovete mettervi una cosa in testa. Quello che noi sappiamo dal punto di vista intellettuale, le opere liriche che abbiamo ascoltato, i drammi che abbiamo visto, i quadri che abbiamo ammirato, i libri che abbiamo letto, i film, non ci appartengono. La nostra cultura non ci appartiene: non è una proprietà privata. È una proprietà collettiva e il nostro primo dovere intellettuale è condividerla con tutti. A cominciare dei nostri figli, ma continuando con i nostri amici e con le persone attorno a noi.