Categorie: Personaggi

LA FEMMINA DI BANSKY? È BAMBI

di - 21 Ottobre 2015
Popular e misteriosa. Ma anche un pochino populista: «L’arte dovrebbe essere fatta dal popolo, per il popolo, e bisognerebbe essere liberi di realizzarla in strada». Un bel “fuck off” invece a lavori elitari e introvabili, pensiero rivolto anche a un altro britannico celebre, Damien Hirst: «Chi vorrebbe davvero tenere un bellissimo squalo selvaggio ucciso e marinato nel proprio appartamento? Penso sia solo merda». Ecco il Bambi-pensiero, ecco la street artist in gonnella che non vuole essere definita l’alter ego rosa di Banksy, ma che con il writer più celebre del globo, condivide diversi tratti, primo tra tutti quello dell’anonimato.
Bambi dice che lo fa per difendersi, lavorativamente parlando, per potersi districare meglio tra i muri del nord di Londra dove la polizia per tanti anni l’ha inseguita come qualsiasi imbrattamuri, ma la realtà dei fatti è ben diversa: la nuova eroina della bomboletta non solo è stata scovata dal Guardian, che gli ha dedicato diversi lunghi articoli, tra cui uno molto recente, ma ha iniziato proprio “ritraendo” celebrità. La prima, manco a dirlo, era stata Amy Winehouse, scoperta dai passanti su un muro di Camdem town, il celebre quartiere dove viveva la mitica ragazza dalla voce soul e blues, nel 2011, anno della morte.

I pregressi, come ben si confanno a queste storie, sono quelli della ribellione: Bambi ha affermato che tutto iniziò con un regalo, da bambina: una chitarra elettrica e un aerografo: «Scarabocchiai le ceramiche preziose di mia madre, poi i muri di casa, finché mio padre non mi guardò con aria arrabbiata e allora continuai fuori dal palazzo, in strada, decorando anche la carrozzeria di una Rolls Royce. Quando mi accorsi di quel che avevo fatto me la diedi a gambe». Tutto, poi, continua alla Central St. Martin, e oggi Bambi decora le case di Adele o Robbie Williams, Rihanna e altre pop star, alternando nei suoi soggetti (sempre realizzati con lo stencil) David Beckham, Ai Weiwei, la Regina Elisabetta, eroi di guerra dell’Afghanistan, o immagini di politica-costume, che prendono spunto dalla cronaca e guardano a temi anche femministi, come le mutilazioni genitali femminili, «perché non possiamo ignorare quel che accade nel mondo», dice.
Pare che si sia fatta anche un po’ di carcere la ragazza (non si quanto, né dove, né perché) ma, afferma «Vi posso dire che non è molto bello. Troppe serrature e un gabinetto in acciaio inossidabile con la carta igienica dura».

Dalle poche battute che si scorgono qui e là, e dalla breve biografia, appare chiarissimo perché questa nuova figura stia facendo impazzire i media inglesi, da sempre attenti all’arte: primo c’è quel tocco di “mistery”, che funziona sempre piuttosto bene, specialmente quando si lavora con chi è sotto ai riflettori quotidianamente, basti pensare che sempre in Inghilterra stanno impazzendo per la nostra Elena Ferrante, intervistata (?) a più non posso. Secondo motivo di tanta popolarità è che alla base di questi graffiti ci sono messaggi che potrebbero essere riassunti nei caratteri di un tweet, con gli hashtag chiave.
#No alle #mutilazioni. #Freedom #Africa.
Un po’ come il vecchio “God save the queen”: in fin dei conti anche i Sex Pistols erano schegge impazzite fagocitate dallo showbiz, ma il problema del gruppo punk, o forse la sua salvezza, è stato il fatto che Sid Vicious fosse una mina vagante per davvero.
Bambi, nome dolce che ricorda il cerbiatto di Walt Disney, di vagante sembra invece avere poco: pedina congrua al sistema, con originalità che ben collimano alla costruzione di un nuovo mito di carta. Anzi, di stencil.
Già, perché in fondo l’artista ha un agente esclusivo, che porta il nome di Michael Sakhai, direttore del Walton di Londra, che tiene la sua identità ben al sicuro ma che piazza i suoi pezzi da una parte e dall’altra, nelle case dei ricchi così come in galleria, e non è un caso che proprio dal Walton, nel 2013, sia partito un po’ tutto, con la mostra “When Banksy met Bambi”. «Mi piace intrattenere e divertire la gente con la mia arte. So che quello che faccio è illegale e sono molto nervosa quando lavoro in esterno, specialmente nelle prime ore. Il problema è che non sono mai stata in grado di resistere a un muro bianco».

Qualcuno però, al di là del clamore, “resistibile” Bambi la trova davvero; per esempio il gallerista e mercante Paul Jones, direttore della Elms Lesters Painting Rooms di Tottenham, che dal 1984 rappresenta street artist e che ha definito il caso di Bambi (e anche Banksy) gli ultimi riflussi di un movimento che, nato negli Stati Uniti, in Gran Bretagna oggi funziona per “print collectors”, collezionisti di stampe (stencil). E non è stata magnanima nemmeno la giornalista Vanessa Thorpe, che l’anno scorso definì “la femmina di Bansky” priva del genio creativo del suo modello.
Forse, in effetti, in tutta questa storia ci sono un po’ troppi lustrini e un po’ di indizi sospetti, ma tanto va la gatta al largo che anche Bambi ci ha lasciato un nuovo disegnino. Che racconta di quanto ancora la street art possa avere successo, e che avrebbe l’epilogo perfetto se un giorno si scoprisse che Bambi e Banksy si sono fidanzati. O, meglio ancora, che sono lo stesso autore.
Matteo Bergamini

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